A mia moglie
La celebrazione della donna
La lirica è un elogio alla moglie attuato attraverso le similitudini con animali insoliti perché abitualmente non inadatti alla lode dell’amata. Il poeta racconta l’occasione nella quale nacque l’ispirazione: mentre si trovava solo, seduto sui gradini del solaio, una cagna (quella rappresentata nella terza strofa) gli si avvicinò, guardandolo con occhi insieme dolci e feroci. Quando, poche ore dopo, la moglie Lina rientrò a casa, la poesia era completata. La moglie inizialmente restò mortificata dal contenuto del componimento a lei dedicato, ma Saba la rassicurò dicendo che “era la sua più bella poesia, e che la doveva a lei”.
La lirica, articolata in sei strofe di versi di varia lunghezza, fu composta a Montebello, una collina sopra Trieste dove, nel 1909, appena sposati, Saba e Lina andarono ad abitare: in questo contesto di campagna il poeta trasse ispirazione per stabilire le somiglianze tra gli animali e la moglie
Tu sei come una giovane,
una bianca pollastra.
Ogni strofa presenta come incipit in ripresa anaforica l’espressione Tu sei come, che reitera una similitudine tra la moglie Lina e le femmine degli animali della campagna: è su questo paragone che si regge tutta la lirica.
La prima similitudine, che paragona la donna a una giovane gallina (pollastra), è inedita: nessun letterato prima di Saba aveva paragonato la donna amata a un animale così semplice. Ma qui Saba sta usando un nuovo linguaggio, quello dell’infanzia, che è privo di qualsiasi ironia e di senso del grottesco: proprio come un bambino, il poeta ama tutti gli animali che conosce e li eleva a presenze importanti nella sua vita
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell’andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull’erba
pettoruta e superba.
Un elemento importante della poesia è la natura duplice delle similitudini: la donna è come la pollastra (v.1), ma la pollastra è come la donna (v.6 e seguenti), in modo tale che i due termini di paragone si scambiano le parti senza che la sintassi ne renda sempre adeguatamente conto. Con la figura retorica della similitudine Saba compie una scelta stilistica ben precisa: nella similitudine entrambi i termini di paragone rimangono se stessi, non c’è fusione di immagini come nella metafora o nell’analogia, ma un rispecchiamento dell’uno nell’altro termine.
Si nota, inoltre, come il linguaggio e lo stile impiegato da Saba in questa lirica sono molto simili al parlato. Per elevare l’espressione il poeta fa un uso frequente dell’anastrofe, come nell’espressione il collo china (v.4), che gli consente di invertire l’ordine abituale delle parole. Più oltre, al verso 8, il verbo incede, che indica l’atto di camminare con portamento solenne, proprio come una regina, mostra l’impiego di parole più ricercate.
Gli enjambements prolungano il settenario, sottolineando l’alternanza tra misure brevi e lunghe, a volte ricreando il ritmo dell’endecasillabo; in questo modo donano alla lirica un andamento piano, elementare e musicale, che ricorda il ritmo di una preghiera (confermato dai versi 12–14 e 84–86 = “le femmine di tutti/i sereni animali/che avvicinano a Dio”).
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio.
Emerge in questi versi la ragione profonda della poesia (infatti saranno ripresi nella conclusione della lirica nei versi 83–87). La primitiva vitalità e l’innata mansuetudine rendono la moglie simile alle femmine degli animali cui il poeta la va paragonando. Con la naturale semplicità del loro essere, le femmine degli animali sono più vicine e Dio più di qualsiasi donna. Nello sguardo innocente del bambino gli esseri viventi sono elevati a figure “mistiche”: poiché seguono docilmente le leggi della natura (in questo senso sereni) questi animali avvicinano a Dio, in particolare le femmine degli animali, in quanto portano nascosto in sé il mistero della vita.
Per il poeta Lina è una donna unica al mondo, proprio per il suo essere così simile alle femmine degli animali, con le quali condivide una naturale armonia. Gli animali dunque ci rivelano qui qualcosa di Lina, perchè ognuno di quelli a cui è assimilata diventa simbolo di una sua determinata virtù o qualità.
Così se l’occhio, se il giudizio mio
non m’inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun’altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Come la bianca pollastra, Lina di giorno si muove con portamento superbo da regina, mentre la sera, in privato, si abbandona talvolta ai lamenti per i propri mali, e queste lamentele sono paragonate alla dolce e al contempo triste musica dei pollai.
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la sua carne.
Se l’incontri e muggire
l’odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l’erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t’offro quando sei triste.
Anche il paragone con la gravida giovenca rivela gli aspetti contraddittori della gioia (festosa) e della tristezza (triste). Per rimediare a questa tristezza il poeta fa il suo dono alla donna, che non può essere altro che la poesia. Emerge inoltre qui il tema della maternità e dell’attesa di una vita nuova, che solo la donna può offrire
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d’un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Lina ha anche qualcosa della cagna placidamente distesa (lunga) ai piedi del padrone, una cagna che ha dolcezza negli occhi e ferocia nel cuore. Anche in questo caso Saba ci presenta una condizione ambivalente: da un lato la donna nutre per il marito un amore totale che arriva quasi all’adorazione (quasi fosse il suo Dio e Signore), dall’altro è gelosa di lui in maniera possessiva
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l’angusta
gabbia ritta al vederti
s’alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
La similitudine con la pavida coniglia evidenzia altre particolarità di Lina: la tendenza alla solitudine, la cura premurosa verso la famiglia, la dedizione e la gratitudine verso il suo uomo, che provvede al sostentamento della famiglia e che lei aspetta ogni giorno quando torna dal lavoro.
La serie di domande retoriche rivela l’esigenza psicologica del poeta di rassicurare la donna, per convincerla (e convincere se stesso) che non la si vuol far soffrire.
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest’arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere;
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un’altra primavera.
Lina, come le rondini, ha portato la primavera nel cuore di Saba, ha fatto vivere una nuova giovinezza al poeta che, sebbene di qualche anno più giovane della moglie, si sentiva psicologicamente molto più anziano di lei. Con la sua vitalità la moglie risveglia nel poeta il desiderio di vivere, quasi portandogli una nuova vita.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l’accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun’altra donna.
Gli ultimi due paragoni della lirica sono alla formica e alla pecchia (ape), due insetti laboriosi e previdenti, capaci di amministrare i beni, risparmiare e accumulare per il futuro.