A Silvia
La morte delle illusioni
La morte per tisi (nel 1818) di Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, è il dato biografico alla base del componimento. Il nome della donna è cambiato con quello della ninfa protagonista dell’Aminta del Tasso: Silvia, appunto. Al di là del riferimento concreto della vicenda della ragazza, contano qui, da un lato, la rievocazione appassionata delle dolci speranze giovanili e, dall’altro, la dimostrazione rigorosa dell’infelicità che affligge il genere umano. Infatti, come le attese di Silvia vengono troncate dalla morte prima di essere soddisfatte, così quelle del poeta restano deluse dal contatto con la verità della vita adulta.
Come espresso da numerose pagine dello Zibaldone, il tema centrale del componimento, infatti, non è tanto l’amore, ma il crollo delle speranze concepite nel periodo della giovinezza, di cui Silvia diventa emblema in virtù della sua freschezza e della sua giovanile vivacità.
In tal modo l’esperienza dell’io supera il confine biografico prevalente negli idilli giovanili e assume un significato universale e filosofico.
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?
Il verbo rimembri in frase interrogativa sembra, fin dall’inizio, condensare l’argomento del testo, stabilendo un legame inscindibile tra la figura di Silvia e il tema del ricordo. Nella descrizione di Silvia Leopardi non sta letteralmente affermando che la ragazza fosse bella, quanto piuttosto che in lei risplendeva la freschezza della giovinezza.
Leopardi orchestra la lirica secondo una attenta struttura testuale. La prima strofa introduce il personaggio di Silvia, rievocandolo dal passato. La seconda e la terza strofa sono parallele in quanto descrivono la vita e le speranze di Silvia e del poeta.
Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.
Silvia è un personaggio di grande fascino. Con essa Leopardi ha saputo creare una figura che immediatamente colpisce il lettore sia per la sua concretezza di ragazza, osservata nella bellezza della sua giovinezza, attraverso i suoi sguardi, il suo canto, le sue opre, sia perché si tratta di una figura evocativa e simbolica, che progressivamente si sovrappone al tema della speranza
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.
Il canto di Silvia, il rumore del telaio, lo sguardo che spazia sull’orizzonte sono elementi tipici della poetica del vago e dell’indefinito tanto cari a Leopardi. La scelta stessa di non descrivere dettagli concreti rende rarefatto l’ambiente circostante: ciel sereno, vie dorate, quinci il mar, quindi il monte.
Anche l’espressione d’in su è uno dei nessi indeterminati considerati poeticissimi da Leopardi
Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?
Il ricordo non è sempre un’azione volontaria, ma un atto spontaneo, tanto che Leopardi scrive Quando sovviemmi, cioè quando la memoria fa scattare involontariamente il dato del ricordo.
Nella quarta strofa, dunque, il poeta osserva le sue giovanili speranze e ne comprende il carattere illusorio. L’apostrofe alla natura suona come un’accusa per gli inganni che essa fa nascere nell’uomo.
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.
La quinta e la sesta strofa risultano tra loro parallele (proprio come la seconda e la terza), poiché trattano della morte di Silvia e di quella del poeta, “morto” in quanto ha perso la speranza.
Anche peria fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovanezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.
Nell’ultima strofa la figura di Silvia si dissolve per identificarsi con il simbolo della speranza delusa.
Le domande retoriche (vv. 56 e 58) riferiscono non certo di una conversazione reale del poeta con la giovane ragazza, quanto piuttosto un dialogo ideale, giocato sul livello del comune sentire e delle comuni speranze di due giovani cui si aprono davanti il futuro e la vita.
Con l’ulteriore domanda retorica (v. 59) il poeta non si riferisce tanto alla morte, quanto al crollo delle speranze, alla consapevolezza dell’illusione delle aspirazioni e dei desideri giovanili. Questo è dunque il vero e misero destino dell’uomo.
Il tu finale rimane volutamente ambiguo: da un lato si riferisce a Silvia, che di fronte alla cruda realtà della vita “cade” e dunque muore; ma dall’altro si riferisce alla speranza che, di fronte alla comparsa del vero, crolla lasciando l’uomo nella disperazione della più totale disillusione.
Il tema centrale della lirica è l’inesorabile caduta delle illusioni della giovinezza vista attraverso due vicende parallele: quella di Silvia e del poeta. La semplice ragazza del popolo e il giovane intellettuale aristocratico, al di là delle differenze sociali e individuali, sono affratellati dall’aver subito lo stesso inganno (v.39) da parte della natura, che nella giovinezza li ha colmati di speranze e di sogni destinati a cadere nell’età adulta, di fronte alla durezza del vero (v. 60).
Un ruolo fondamentale svolge il tema del ricordo, ribadito da due verbi presenti in due punti cruciali del testo. Il rimembri (v. 1) introduce la rievocazione degli anni giovanili dei due protagonisti. Mentre il sovviemmi (v.32) introduce il tema del contrasto tra la dolcezza delle speranze giovanili e il disinganno dell’esperienza adulta, sul quale è centrata la seconda parte della poesia. Tutto il testo è giocato su questi due piani temporali: quel passato lontano e indefinito (quel tempo, quel vago avvenir, quel ch’io sentiva in seno, quel che prometti allor), contrapposto a questo presente, considerato con amara consapevolezza (questo è quel mondo? questi/i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi/onde cotanto ragionammo insieme?/Questa la sorte dell’umane genti?).
Gli elementi della poesia sono carichi di significati simbolici: l’evocazion del passato dei due protagonisti ha come sfondo un paesaggio primaverile, limpido e luminoso (Era il maggio odoroso, — 13; Mirava il ciel sereno/le vie dorate e gli orti,/e quinci il mar da lungi e quindi il monte 23 —25) che richiama il carattere dolce e indefinito dei sogni giovanili.
A partire dalla strofa centrale scompaiono le immagini naturali, se si esclude un rapido riferimento all’inverno (v.40), che si può accostare per analogia al tema della malattia e della morte (vv. 41–42).
Gli ultimi versi (vv.62–63) abbandonano ogni intento descrittivo per affidarsi a immagini astratte (la mano che mostra la tomba nuda), adatte a rappresentare il carattere arido e freddo della conoscenza del vero.
Stile
L’apparente andamento scorrevole della lirica deriva da meditate scelte stilistiche volte a creare gli effetti di indefinito nei quali consiste il requisito fondamentale della poesia di Leopardi. La prole non definiscono con precisione gli oggetti che designano, ma suscitano nella mente del lettore immagini indeterminate (ridenti e fuggitivi, lieta e pensosa, vago, da lungi, di lontano …). Leopardi, ppi, utilizza vocaboli “peregrini” suggestivi per la loro lontananza dal linguaggio comune (rimembri, verone, ostello …) Infine sono evocate sensazioni e immagini che non sono nettamente circoscritte nel tempo e nello spazio: luoghi, eventi e persoanggi rievocati sul filo della memoria, un paesaggio sconfinato, il suono di un canto di cui non si vede la fonte.
La sintassi è composta da periodi semplici, fatti di poche frasi brevi, con un ricorso limitato alla subordinazione. Nonostante ciò le scelte sintattiche sottolineano con la loro mobilità i diversi momenti psicologici del poeta. Nella prima parte, infatti, l’andamento del discorso è pacato e piano; nella seconda parte si fa più complicato e drammatico attraverso l’accavallarsi di frasi esclamative e interrogative, l’infittirsi delle negazioni e di altre anafore. Infine, l’andamento fermo e disadorno dell’ultimo periodo conferisce alla chiusa della poesia il tono amaro e definitivo della consapevolezza razionale.
La prima strofa è caratterizzata da una continua presenza di legami ossimorici: vita mortale, ridenti e fuggitivi, lieta e pensosa. In questo modo il poeta suggerisce l’immagine di una figura complessa che già si preannuncia come allegorica dell’età della giovinezza, con le sue gioie e i suoi turbamenti.
In particolare il sintagma occhi tuoi ridenti al verso 4 è tipico della tradizione lirica, ma Leopardi vi infonde nuova energia accostando l’aggettivo fuggitivi, in modo da suggerire una sorta di ossimoro: se ridenti racchiude tutta la vivacità della giovinezza, fuggitivi al contrario ne sottolinea l’evanescenza, quasi prossima alla morte, ma anche l’ansia e il pudore tipici di quell’età, conferendo così una forte connotazione psicologica al ritratto di Silvia.
Inoltre, sempre nella prima strofa, l’immagine il limitare/di gioventù salivi (vv.5–6) si riferisce al topos classico della vita concepita come una parabola, dapprima in salita e poi, con l’arrivo della vecchiaia, in discesa. Il termine limitare contiene in sé il concetto di “confine”, di “limite”, e suggerisce un presagio di morte, che anticipa il destino della protagonista, come apprendiamo dalla lettura del testo. I critici hanno notato come il verbo salivi sia un anagramma di Silvia, che “sale” alla memoria grazie all’evocazione del poeta. Inoltre, tutta la strofa si inarca proprio tra Silvia e salivi, ossia tra le due evocazioni (la prima diretta, la seconda indiretta) del nome della ragazza.
Nell’ultima strofa la ripetizione in anafora di anche (vv. 49 e 51) e l’anadiplosi di come (vv. 52 e 53, ripetizione tra fine verso e inizio verso) sono un esempio di trasformazione semantica degli elementi grammaticali della lingua: la ripetizione di queste congiunzioni è infatti funzionale a sottolineare il tono di malinconica disperazione con cui si accompagna la riflessione dell’io lirico.