A Zacinto

L’esilio e la poesia

Luca Pirola
4 min readMar 22, 2020

Il sonetto, composto nel 1803, costituisce una perfetta sintesi della dominante tradizione neoclassica e degli innovativi orientamenti romantici dell’autore. Richiama il mondo della Grecia arcaica e manifesta i sentimenti tipici delle tendenze dello Sturm und Drang: l’amor di patria, l’ossessione della morte, la precarietà del tempo, la poesia, che celebra eroismo e sventura. Tra le due componenti, è l’anima romantica a prevalere. Infatti, l’errare senza meta che si conclude con la morte dell’eroe in terre lontane è un tema tipicamente romantico e coincide con l’impossibilità di identificarsi con i valori della società in cui il poeta vive. Proprio perché si sente estraneo, smarrito e ribelle, l’eroe romantico ama rappresentarsi come un esule, costretto ad un perenne vagabondaggio, destinato a concludersi tragicamente.

La poesia è costruita sul confronto tra le vicende individuali e quelle mitiche: le quartine creano un parallelismo tra Zante, per Foscolo terra natale, ma contemporaneamente simbolo universale di patria e bellezza grazie alla nascita di Venere. I contenuti hanno una struttura circolare, poiché il sonetto inizia trattando il tema dell’esilio (il poeta è certo che non tornerà più a Zacinto), prosegue con la descrizione di Zacinto legata al mito di Venere che dona prosperità all’isola; in seguito il “diverso esilio” di Ulisse rende universale l’esperienza attraverso il mito, per terminare con il poeta che riafferma il suo destino di esule. Quindi lo schema dei contenuti si può sintetizzare in
esilio personale — mito di Venere — mito di Ulisse — esilio personale.

Metro: sonetto (ABAB, ABAB, CDE, CED)

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque

Il sonetto prende avvio da un dato autobiografico, la nascita di Foscolo nell’isola greca di Zacinto (odierna Zante), di cui egli celebra qui la bellezza e i miti (la nascita di Venere dalle sue acque). L’incipit è la confessione di un pensiero che assilla il poeta, quello di morire in esilio. Le sponde sono dette sacre perché il poeta vi è nato e per il mito della nascita di Venere — tema descritto tra le prime due strofe per segnare la continuità del discorso. La dea rappresenta anche la forza fecondatrice della natura che dona a Zacinto l’aspetto lussureggiante

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque

Senza soluzione di continuità Foscolo costruisce un confronto tra se stesso, destinato a morire in terra straniera, e Ulisse, l’eroe cantato da Omero, che dopo varie peregrinazioni potè tornare alla sua Itaca. Il legame tra la celebrazione dell’isola natia e l’assimilarsi ad Ulisse risiede nella bellezza dell’isola, causata dal sorriso fecondatore di Venere, ragion per cui Omero la celebra.

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Proprio l’Omero, il cui verso illustre cantò le peregrinazioni di Ulisse da un luogo all’altro a seguito delle quali, nobilitato dalla fama e dalla sventura, l’eroe potè finalmente baciare la sua petrosa Itaca. La prima terzina, dunque, prosegue il confronto sull’esilio di Foscolo e Ulisse; l’eroe greco, tuttavia, diventa universale solo grazie al canto di Omero, ricordando così il valore della poesia.

Sintatticamente il sonetto composto da due periodi (vv. 1–11; vv. 12–14), legati da riprese e contrapposizioni: entrambi iniziano con una negazione “Né più mai” e “Tu non altro”, in cui l’ultimo verso (illacrimata sepoltura) spiega la negazione del primo (Né più mai toccherò le sacre sponde), introducendo contemporaenamente la contrapposizione tra l’infanzia “fanciulletto giacque” e il presagio di morte “sepoltura

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

Nella seconda terzina la comune sorte dell’esilio non accomuna più l’eroe omerico e il poeta, perché Ulisse torna a Itaca, mentre Foscolo è destinato a morire lontano da tutti. La distanza tra i due è resa ancora più ampia dai luoghi: Itaca è pietrosa, ma può accogliere il figlio che torna, mentre Zacinto, florida e lussureggiante, patirà per sempre la lontananza del poeta.

L’accostamento del poeta all’eroe omerico permette a Foscolo di creare un altro, forse più significativo parallelismo: tra se stesso e Omero. Foscolo si presenta, infatti, come il novello Omero (“canto”/”cantò” al verso 9, rende evidente tale intenzione). La poesia, dunque rende universale l’esperienza personale, poiché Ulisse di Omero è il paradigma dell’uomo che ricerca se stesso, così come Foscolo è il poeta di se stesso, che trasforma la propria esperienza in ricerca della dignità dell’uomo.
Foscolo,infatti, grazie alla forza eternatrice della poesia, potrà rendere imperitura la fama della sua Zacinto. Tale concetto è sottolineato dai tempi verbali, che passano dal futuro, che corrisponde al tempo della profezia (“toccherò” v. 1; “avrai” v. 12) al passato, cioè il tempo dell’infanzia e del mito (“giacque” v. 1; “nacque” v. 4; “fea” v. 5; “non tacque” v. 6; “cantò” v. 9; “baciò” v. 11), attraverso il presente, che esprime la realtà eterna, l’illusione dell’esistenza costante della patria (“specchi” v. 3).

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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