Alessandro Manzoni
Il valore morale della letteratura
Alessandro Manzoni, figlio di Giulia Beccaria (quindi nipote del Cesare Beccaria, autore Dei delitti e delle pene) e — probabile figlio naturale di Giovanni Verri, uno dei due fondatori de Il caffé, è un illuminista per nascita e discendenza. In questo ambiente si forma con solide idee democratiche e anticlericali, non ché profondo sostenitore di rigorosi principi di onestà e sincerità.
Il giovane Manzoni, dunque, professa gli ideali dell’illuminismo di uguaglianza, libertà e avversione per la tirannide. Nel solco della tradizione pariniana egli concepisce l’arte come espressione del pensiero civico, in quanto la letteratura deve essere utile e concreta. Inoltre, la frequentazione degli intellettuali di orientamento liberale fa sì che Manzoni scopra il valore della Storia e il sentimento della patria, ritenendo necessaria una rivoluzione che riscatti i popoli oppressi (soprattutto gli Italiani). Infine, Manzoni aderisce al sensismo, così che imposti la sua produzione sull’analisi dei sentimenti e sull’indagine psicologica in quanto considera tale approccio elemento di conoscenza.
Nel 1810 la conversione al cattolicesimo conclude un periodo di crisi spirituale. L’avvicinamento di Manzoni alla religiosità è maturata in ambienti vicino al giansenismo e al clavinismo della moglie Enrichetta Blondel. Tale riflessione — conclusa con l’adesione alla fede cattolica — fa crescere in Manzoni l’esigenza di rigore morale da esprimere in ogni sua azione e, di conseguenza la sua conversione non è acritica adesione ai dogmi e alle posizione della Chiesa, ma pur nella piena ortodossia, vive la religiosità come espressione dello spirito individuale in romantica rottura con il potere laico ed ecclesiastico, poiché il messaggio evangelico rappresenta per Manzoni la realizzazione degli ideali di eguaglianza, giustizia e libertà che derivano dalla sua non rinnegata formazione illuministica. Mazoni, infatti, arricchisce la sua propensione culturale per la Storia con una riflessione sull’intreccio tra destino individuale e Storia, impensabili al di fuori del disegno cristiano di salvezza, ma segnati dal male e dalla violenza.
La riflessione sulla Storia
La Storia, dunque, è suprema educatrice, perché in essa si ritrova l’eterna vicenda dell’uomo in lotta tra Salvezza e violenza. Lo sviluppo degli eventi rappresenta un progresso lineare verso un mondo migliore, anche se interrotto da cadute e rallentamenti, poiché nella Storia si realizza il disegno provvidenziale di Dio; ogni periodo del passato è giudicato secondo il criterio della Ragione e della Religione: le epoche sono giudicate positive o negative in base a come si è usata la ragione, ma anche in base a quanto l’uomo ha ascoltato la voce di Dio.
La poetica del Vero
Da tali premesse discende la concezione poetica di Manzoni, che il poeta stessa ha sintetizzato nel principio di fondo:“Il santo Vero mai non tradir”, enunciato nel carme In morte di Carlo Imbonati pubblicato nel 1806.
I problemi che Manzoni si pone nell’attuazione di questo programma poetico sono essenzialmente tre:
1. Quali sono i contenuti del Vero?
2. Come conciliare il Vero con l’invenzione letteraria?
3. In che modo trovare una lingua letteraria che potesse essere compresa da tutti?
Per rispondere a tali questioni, Manzoni partecipa attivamente al dibattito culturale in corso nell’Italia risorgimentale. Le conclusioni a cui giunge sono ben definite e chiaramente espresse nei suoi scritti, tanto che si può leggere tutta la produzione manzoniana come una sperimentazione per realizzare l’ideale poetico.
Innanzitutto Manzoni afferma che il poeta non è uno storico, perciò se il ruolo dello storico è ricostruire i fatti del passato, il compito del poeta è interpretare la Storia, illuminando avvenimenti reali con l’analisi psicologica, finalizzata a chiarire “ciò che gli uomini hanno sentito, voluto, sofferto”.
In secondo luogo egli individua diverse tipologie di Vero: esistono il Vero storico e il Vero morale; il primo si attiene alla verità dei fatti, il secondo alla verità cristiana. Il poeta deve essere fedele a tutte le manifestazioni del Vero pertanto deve scrivere opere che si propongano di avere “l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo” Il Vero morale deve raccontare con lo scopo di mostrare il disegno divino di Salvezza, ma la letteratura deve essere efficace a far progredire la società e la moralità dei lettori attraverso delle narrazioni interessanti, al fine di raggiungere il pubblico più ampio possibile.
La comunicazione e la divulgazione sono fondamentali per la letteratura manzoniana, infatti egli ritiene che il linguaggio sia mezzo di comunicazione fra tutto un popolo, perciò la individuazione di una lingua nazionale è necessaria all’unità politica. Egli sceglie come lingua letteraria il fiorentino parlato dalle persone colte, salvando tradizione e uso quotidiano.
Gli inni sacri (1815 e 1822)
La pubblicazione degli Inni sacri rappresenta il primo tentativo di opera che realizzi la poetica del Vero. Manzoni ritiene necessario attenersi al tema religioso per rispondere all’esigenza di divulgazione del Vero morale, perciò sceglie di rievocare in versi le principali festività del calendario cristiano. Pur se inizialmente egli progetta 12 poesie, ne scrive solo cinque 5 poesie: il Natale, la Resurrezione, il nome di Maria, la Passione nel 1815 e la Pentecoste nel1822.
Le liriche seguono uno schema narrativo fisso che è costituito dall’enunciazione del tema, un episodio centrale per terminare con la descrizione delle conseguenze dell’evento.
La fede religiosa è vissuta come meditazione sulla Storia degli uomini, sulle loro responsabilità morali, sul loro travagliato passaggio sulla Terra.
Manzoni interpreta gli inni come un tentativo di poesia popolare per la tematica della tradizione religiosa e per la scelta di un ritmo scandito e agile nonché per l’assunzione di un lessico quotidiano, ma anche religioso e liturgico. In realtà il poeta si accorge ben presto che i risultati sono poco equilibrati, perchè il linguaggio aulico, fitto di arcaismi e latinismi e la sintassi complessa contraddicono il carattere “popolare” delle liriche.
Le odi civili (1821)
Hanno caratteristiche formali simili, ma accoglienza migliore da parte del pubblico, le due odi civili scritte nel 1821.
Marzo 1821 fu composta durante i moti liberali piemontesi, quando si pensava che Carlo Alberto potesse liberare la Lombardia dal dominio austriaco. La poesia, dunque nasce da un’aspettativa di guerra patriottica e si conclude con un appello agli Italiani affinché si uniscano alla lotta. Nei versi compare il nuovo concetto di nazione
una d’arme, di lingua, d’altare
di memorie, di sangue e di cor
concepita come un patrimonio di tradizioni che ogni popolo deve difendere.
Inoltre manzoni afferma che La libertà è un diritto di ogni popolo e salvaguardato da Dio, quindi il motivo politico si trasforma in celebrazione di fede.
Il Cinque Maggio fu scritta quando il poeta ebbe la notizia che Napoleone era morto nella solitudine di Sant’Elena.
Nell’ode troviamo la trasfigurazione del motivo civile (morte di Napoleone) in religioso, infatti Napoleone è ritratto come uomo dolente, oppresso dalle memorie e affidato a Dio per il suo riscatto.
La celebrazione del personaggio storico è finalizzata a demitizzare Napoleone stesso di cui è smontata la dimensione eroica, per poter celebrare la comune condizione umana anche per mezzo dello stile con una sintassi semplice e immagini di facile comprensione.
Nel Cinque Maggio si assiste all’integrazione del Vero con la poesia attraverso la penetrazione dei sentimenti dell’esule: Napoleone si rivela uno sconfitto nel momento in cui comprende la vanità di ogni azione umana non compiuta per realizzare il disegno provvidenziale. La lirica, tuttavia, si conclude con l’immagine di un Napoleone redento grazie al riconoscimento della sua debolezza umana.
Le tragedie
Considerati i difetti delle produzioni precedenti, Manzoni considera la tragedia come genere letterario più consono a rappresentare la Storia e le passioni umane.
Le tragedie manzoniane sono, però, scritte dopo un lungo processo di riflessione letteraria, che porta Manzoni a rifiutare la tragedia classica degli eroi dalle passioni titaniche in favore della scelta di narrare situazioni storiche concrete. Le vicende portano in ogni caso verso la Catastrofefinale, che rappresenta la conclusione della vicenda, essa è un evento tragico verso cui tutto tende e che dà significato alla traversie dei personaggi.
Inoltre Manzoni rifiuta le unità classiche di unità di tempo, luogo e azione, perché falsano il vero storico e psicologico, sono legate alle necessità della tragedia greca, non più adeguate alla contemporaneità ed esagerano le passioni, coinvolgendo in modo esagerato il pubblico.
Dalla tradizione Manzoni recupera il Coro, trasformandone la funzione, perché lo presenta come lo spazio in cui l’autore può esprimere le sue idee senza “la tentazione di introdursi nell’azione”.
Il conte di Carmagnola (1816–1819) narra le vicende del capitano di ventura Francesco Bussone, conte di Carmagnola, che dopo aver servito il duca di Milano passa a dirigere l’esercito di Venezia e sconfigge i Milanesi a Maclodio. Accusato di tradimento è condannato a morte dal Senato di Venezia.
La vicenda serve a Manzoni per sviscerare il conflitto tra libertà e potere, tra amicizia e ragion di Stato, espresso soprattutto da Marco, amico del conte. Il protagonista è esempio di virtù civile e religiosa, perché accetta l’ingiusta condanna sperando nella Redenzione.
Il significato politico e religioso della tragedia sottolinea la vanità della gloria terrena e la condanna della logica di potere; il messaggio politico è sintetizzato nel coro di commento alla battaglia, nel quale il poeta condanna le guerre fratricide
L’Adelchi (1820–1822) narra il crollo del regno longobardo ad opera dei Franchi.
Il concetto principale che Manzoni vuole comunicare tramite i suoi personaggi consiste nell’evidenziare come il conflitto tra eserciti stranieri opprima le popolazioni innocenti; tra i grandi si riconoscono due schiere: coloro che seguono la logica del potere, destinati alla dannazione, e coloro che saranno salvati per la “provvida sventura”; Adelchi ed Ermengarda, figli del re longobardo Desiderio, soffrendo per le loro disgrazie, otterranno la Salvezza eterna. Adelchi, in particolare, è combattuto tra la condanna cristiana della violenza e il dovere di figlio che lo obbliga a combattere.
La trasmissione del messaggio politico è affidata nel coro dell’atto III “Dagli atri muscosi, dai fori cadenti” in cui si esprime l’esortazione agli Italiani a combattere per la propria libertà, senza affidarsi ad aiuti stranieri.
I Promessi sposi
La ricerca di Manzoni approda necessariamente al romanzo anche in seguito all’affermazione del romanzo storico in Europa. Il genere del romanzo è adatto a conciliare il reale con il fantastico; è inoltre utile a mostrare i contrasti della Storia (conflitto tra individuo e società; tra bene individuale e collettivo) e i contrasti della vita (cuore e ragione, amore e dovere). Infine è vicino alle esigenze borghesi di storie con forti passioni.
L’evoluzione verso il romanzo prende avvio dai risultati raggiunti con le tragedie in cui i protagonisti erano oppressori, mentre il popolo rimane sull sfondo; nei drammi, infine, la contrapposizione tra condannati e salvati è troppo netta per essere realistica.
Ne I promessi sposi, dunque, i protagonisti sono popolani e nobili e si contempla la possibilità di riscatto per gli oppressori e di felicità per gli oppressi. Nel romanzo Manzoni vuole esprimere un chiaro messaggio politico dall’analisi delle conseguenze della dominazione straniera (carestia, guerra, pestilenza) si arriva a condannare il governo austriaco e a incitare la lotta risorgimentale. L’analisi storica prepara l’attuazione di un progetto di sviluppo e progresso, per la costruzione di una nuova società che sia attui le idee dell’Illuminismo e della borghesia liberale (il miglioramento dei poveri mostra la bontà della politica). Non meno importante il messaggio religioso, morale, come direbbe Manzoni, infatti gli “umili” del Vangelo diventano i veri protagonisti della storia; essi rappresentano i personaggi positivi. La fede è assunta a criterio di interpretazione della realtà.
La lavorazione al romanzo è molto lunga, poichè Manzoni pubblica una prma versione nel 1823 con il titolo di Fermo e Lucia; dopo una rielaborazione sostanziale e formale arriva alla edizione de I promessi sposi nel1827 e, infine a quella definitiva del 1840 dopo un’accurata revisione linguistica e lessicale.
Le scelte linguistiche nei Promessi sposi
Manzoni in precedenza ha espresso l’esigenza di scrivere in una lingua quotidiana, ma rimane consapevole del ruolo di trasmissione culturale, politica e sociale del romanzo. Pertanto il lavoro di revisione linguistica dal 1827 al 1840 è svolto per ottenere una lingua popolare e viva.
L’autore attua una precisa differenziazione dei livelli stilistici: ogni personaggio parla in modo coerente alla sua situazione sociale e culturale (Renzo pratica una comunicazione diretta; l’Azzeccagarbugli, fra’ Cristoforo, cardinale usano un linguaggio colto, anche se con scopi ed esiti differenti). uUn secondo livello di intervento è riscontrabile nell’armonizzazione dello stile storico e quello narrativo, prima troppo distanti uno dall’altro.
Infine, Manzoni va a “sciacquare i panni in Arno”, cioè attua una revisione lessicale che porti la lingua del romanzo a una maggiore attenzione all’uso quotidiano, ad esempio l’accidioso del 27 diventa uggioso nel 40; allo stesso modo egli si trasforma in lui e confabulare in chiacchierare.
Il criterio principale di selezione lessicale del Manzoni rimane l’attestazione dei termini nel fiorentino parlato dalle persone colte, tuttavia in caso di pluralità di scelte, egli propende per la forma toscana utilizzata anche in Lombardia, scenario delle vicende dei protagonisti. il modo di dire matto da legare è dunque preferito a quello prettamente toscano pazzo da catena.
Vero storico e Vero poetico
Vicenda è ambientata nel Seicento: età “sudicia e sfarzosa”. È il secolo della falsa religione (cerimonie, monacazione forzata) della falsa cultura (biblioteca di don Ferrante), della falsa giustizia (gride). Il contesto è fondamentale perché il romanzo, che inizia come storia di due popolani, diventa quadro di tutto il secolo.
In particolare Renzo è il raccordo narrativo tra eventi storici, in quanto si reca a Milano dove assiste e — suo malgrado — è coinvolto nel tumulto del forno delle grucce, causato dalla carestia, mentre la seconda volta in cui arriva in città descrive una Milano sconvolta dalla peste con gli occhi del testimone dopoché Manzoni ha delineato le cause storiche nel capitolo precedente.
Renzo, poi, consente di parlare della guerra e delle sue conseguenze durante il suo soggiorno a Bergamo presso il cugino Bortolo e nel corso del suo ritorno al paese natio dopo il passaggio dei lanzichenecchi.
Lucia, invece, serve da raccordo tra personaggi storici; la giovane incontra Gertrude, l’Innominato e il cardinale Federigo Borromeo. Personaggi realmente esistiti a cui Manzoni dona pensieri ed emozioni.
Alla fine la vicenda si chiude ancora sulla storia personale dei due popolani che si ritrovano a Milano. La città è il luogo significativo, perché tutti vi giungono in momenti diversi: Renzo scopre le dimensioni storiche della sua tragedia (oppressione dei potenti sui deboli), Lucia risolve la sua questione morale con don Rodrigo.
La Provvidenza
Carestia, guerra e peste sono interpretate diversamente dai personaggi, ad esempio la peste è per fra’ Cristoforo “castigo e misericordia” [per don Rodrigo], mentre per don Abbondio “è stato un gran flagello, questa peste; ma è stata anche una scopa: ha spazzato via certi soggetti che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più …”
Manzoni inserisce gli eventi tragici dei protagonisti e degli altri personaggi in un disegno provvidenziale, anche se ne analizza le case e le conseguenze, individuandone errori e responsabilità.
Si può affermare che tutta la vicenda del romanzo è storia della Provvidenza: l’intervento divino nella Storia dell’uomo , superiore alla comprensione umana; l’uomo deve aver fiducia in Dio, pur se tale fiducia non elimina le responsabilità individuali.