Alla scoperta del mondo e di se stesso

Vita scritta da esso — Vittorio Alfieri

Luca Pirola
4 min readMar 9, 2021
François-Xavier Fabre, Ritratto di Alfieri e della contessa d’Albany, 1796. Torino, Museo civico di arte antica.

La Vita [1806]

La struttura
Al 1790 va datata la prima redazione dell’autobiografia di Alfieri, il cui titolo completo è Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso; fra il 1798 e il 1803 fu realizzata una significariva revisione del testo.
La Vita appare divisa in quattro epoche: la Puerizia, dedicata ai primi nove anni di vita; l’Adolescenza, che abbraccia gli otto anni di non-studio presso l’Accademia Reale di Torino; la Giovinezza, che comprende anni di viaggi e dissolutezze; la Virilità, che abbraccia circa trent’anni dedicati agli studi e alla composizione letteraria.

Un racconto idealizzato
L’autobiografia di Alfieri non è sempre pienamente attendibile come documento storico; l’autore tende a fornire di se stesso un ritratto idealizzato, quello cioè di un uomo che, grazie a una straordinaria forza di volontà, ha saputo realizzarsi superando ogni ostacolo; in particolare viene messa in risalto la «conversione» alla letteratura, che ha dato senso a tutta la sua esistenza. Per Alfieri dedicarsi alla composizione letteraria non significa svolgere un mestiere, ma servire una passione. Altro aspetto costantemente sottolineato nell’opera è la perfetta coerenza fra vita e arte; per Alfieri non è l’eccellenza artistica a nobilitare la vita dello scrittore, ma al contrario è la sua tempra morale a caratterizzare in modo inconfondibile le esperienze da lui vissute, oltre che le sue creazioni artistiche.

L’infinito di Marsiglia

Vita scritta da esso, III, 4

Cezanne, Estaque e il golfo di Marsiglia

Il viaggio per Alfieri è un’attività vitale per il soddisfacimento della sua sete di sapere. Nella Satira 9 scrive: Certo, l’andar qua e là peregrinando Ell’è piacevol molto ed util arte; Pur ch’a piè non si vada, ed accattando. Vi s’impara più assai che in su le carte, Non dirò se a stimare o spregiar l’uomo, Ma a conoscer se stesso e gli altri in parte.

Nell’ottobre del 1766 il diciassettenne Alfieri parte e visita in due anni le maggiori città italiane e vari paesi europei. Nel 1767 soggiorna a Marsiglia, da qui poi riparte per Parigi.

Oltre il teatro, era anche uno de’ miei divertimenti in Marsiglia il bagnarmi quasi ogni sera nel mare. Mi era venuto trovato un luoghetto graziosissimo ad una certa punta di terra posta man dritta fuori del porto, dove sedendomi su la rena con le spalle addossate ad uno scoglio ben altetto che mi toglieva ogni vista della terra da tergo, innanzi ed intorno a me non vedeva altro che mare e cielo; e così fra quelle due immensità abbellite anche molto dai raggi del sole che si tuffava nell’onde, io mi passava un’ora di delizie fantasticando; e quivi avrei composte molte poesie, se io avessi saputo scrivere o in rima o in prosa in una lingua qual che si fosse.

Alfieri apprezza più di ogni altra cosa i paesaggi naturali incontaminati, in cui si perde in solitaria contemplazione. Gli spazi ampi e sconfinati suscitano nel giovano viaggiatore riflessioni che inducono a considerare lo smarrimento dell’individuo di fronte all’immensità e la vertigine dell’abisso. Tali sensazioni riportano al sublime idealizzato dai preromantici, pensiero rafforzato dal rammarico dello scrittore — ormai adulto — che interpreta tali esperienze come occasione poetica perduta a causa della mancanza di strumenti linguistici adeguati. In quest’ultima annotazione si intravede l’importanza che Alfieri, maturo autore della biografia, attribuisce al quella che lui chiama la conversione letteraria.

L’autore adotta uno stile naturale e spontaneo, caratterizzato dal predominio della paratassi e da una grande inventiva a livello lessicale. Spicca l’uso di diminutivi neologismi, che danno alla narrazione un tono più intimo e personale.

Ma tediatomi pure anche del soggiorno di Marsiglia, perché ogni cosa presto tedia gli oziosi; ed incalzato ferocemente dalla frenesia di Parigi; partii verso il 10 d’agosto, e più come fuggitivo che come viaggiatore, andai notte e giorno senza posarmi sino a Lione. Non Aix col suo magnifico e ridente passeggio; non Avignone, già sede papale, e tomba della celebre Laura; non Valchiusa, stanza già sì gran tempo del nostro divino Petrarca; nulla mi potea distornare dall’andar dritto a guisa di saetta in verso Parigi. In Lione la stanchezza mi fece trattenere due notti e un giorno; e ripartitone con lo stesso furore, in meno di tre giorni per la via della Borgogna mi condussi in Parigi.

La descrizione emotiva ed esistenziale verte sulle parole frenesia, fuggitivo e furore, le quali evidenziano l’irrequietezza di Alfieri. Egli viaggia per soddisfare una forza interiore indefinita che si esprime attraverso l’incapacità di trovare un luogo in cui riposarsi e in cui mettere radici. La necessità di spostarsi e di viaggiare senza sosta per tutta la Francia costituiscono una perenne fuga dalla noia e dalla malinconia, che corrispondono a una fuga da se stesso alla ricerca di stabilità.

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Luca Pirola
Luca Pirola

Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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