Autoritratto
Corrado Govoni, Rarefazioni e parole in libertà
testo presente nel calligramma:
Occhio sinistro
portali / gotici della / cattedrale di fosforo del / mio cervelloCiglia
raggi sguardi / diventano / tutto quello che guardano / un mare di fiori / un cielo di stelle / un albero tutto fresco / un grano di polvere / si librano con l’aeroplano / si curvano con l’arcobaleno / fuggono col treno in fiammeOcchio destro
cerchio della morte delle lagrimeCiglia
sono grandi come il sole / hanno la portata / di milioni di chilometriOrecchio destro
tamburi / imbuti / orecchio 20 chilometri di circonferenza / c’entra lo schricchiolio dei fili di pioggia / lo spappolamento / del colpo di cannoneNaso
polpa elastica degli odori / proboscide lunga 20 metriLabbra
macchina dattilografica / delle parole / divano pallido dei baci / porta umida della sala da pranzo / della bocca dove i denti giorno / e notte come bianchi convitati / banchettano intorno alla tavola / rossa della linguabuco per insaccare i cibi nel sozzo sacco
di mendicante dello stomacotromba d’oro suonata dall’angelo bianco
verso un mezzodí di mare azzurroBarba
erba di cimitero / che il barbiere falcia la domenica / davanti allo specchio
L’autoritratto di Govoni è un esempio di poesia visiva che offre un accavallarsi di impressioni che non hanno la funzione di decifrare la realtà, ma piuttosto di coglierne la varietà attraverso frammenti e sensazioni. Raffigurato con i tratti di una geometria infantile, questo autoritratto sotto forma di un disegno-scarabocchio intreccia il piano verbale e quello figurativo. Attorno alle varie parti del viso si addensa infatti un pulviscolo di emozioni e immagini: fantasie puerili che non obbediscono ad alcun criterio razionale
Le parole vengono disposte su linee diverse — orizzontali, verticali, circolari, ondulate — seguendo le direzioni dello sguardo degli occhi, della forma del naso, delle orecchie, dei peli della barba, della bocca, macchina dattilografica delle parole, tormba d’oro, buco per insaccare i cibi o divano pallido dei baci. Si tratta di un cumulo di didascalie: per comporre il suo autoritratto — ideogramma, Govoni colleziona metafore scenografiche che intendono mettere a nudo il volto e l’anima di un artista vivace e dinamico, pronto a cimentarsi con un mondo ingovernabile e meraviglioso grazie alla fantasia di illogiche analogie.