Calandrino e l’elitropia
Decameron, ottava giornata, novella terza
II racconto si suddivide in tre momenti. Il primo è ambientato in un interno, quello della chiesa di San Giovanni in cui Calandrino incontra Maso del Saggio. Il secondo si sviluppa all’esterno, al Mugnone, dove Calandrino, in compagnia di Bruno e Buffalmacco, cerca l’elitropia, e poi lungo la strada del ritorno in città. Con il terzo siamo di nuovo in un interno, quello della casa di Calandrino, subito dopo il suo ritorno, e vi compare un altro personaggio, la moglie Tessa.
Tutti i personaggi della novella sono storici: Calandrino è il soprannome di Giannozzo di Perino, un pittore formatosi probabilmente alla scuola fiorentina di Andrea Tafi. Era conosciuto per la sua ingenuità, per il suo egoismo e per la sua presunzione nel volersi mostrare furbo. In questa novella, dopo un colloquio con Maso del Saggio (un burlone molto conosciuto che svolgeva la professione di sensale) che gli parla del fantastico paese di Bengodi e della pietra dell’elitropia (la quale, rendendo invisibile chi la possiede, potrebbe permettergli di arricchire), è vittima della beffa di altri due pittori, Bruno e Buffalmacco.
Calandrino, Bruno e Buffalmacco giú per lo Mugnone vanno cercando di trovar l’elitropia, e Calandrino la si crede aver trovata; tornasi a casa carico di pietre; la moglie il proverbia ed egli turbato la batte, ed a’ suoi compagni racconta ciò che essi sanno meglio di lui.
Finita la novella di Panfilo, della quale le donne avevan tanto riso, che ancora ridono, la reina ad Elissa commise che seguitasse; la quale, ancora ridendo, incominciò:
Io non so, piacevoli donne, se egli mi si verrá fatto di farvi con una mia novelletta non men vera che piacevole tanto ridere quanto ha fatto Panfilo con la sua: ma io me ne ’ngegnerò.
La beffa di Maso
Nella nostra cittá, la qual sempre di varie maniere e di nuove genti è stata abbondevole, fu, ancora non è gran tempo, un dipintore chiamato Calandrino, uom semplice e di nuovi costumi, il quale il piú del tempo con due altri dipintori usava chiamati l’un Bruno e l’altro Buffalmacco, uomini sollazzevoli molto, ma per altro avveduti e sagaci, li quali con Calandrino usavan per ciò che de’ modi suoi e della sua simplicitá sovente gran festa prendevano. Era similmente allora in Firenze un giovane di maravigliosa piacevolezza, in ciascuna cosa che far voleva astuto ed avvenevole, chiamato Maso del Saggio, il quale, udendo alcune cose della simplicitá di Calandrino, propose di voler prender diletto de’ fatti suoi col fargli alcuna beffa o fargli credere alcuna nuova cosa: e per ventura trovandolo un dí nella chiesa di San Giovanni e veggendolo stare attento a riguardare le dipinture e gl’intagli del tabernáculo il quale è sopra l’altare della detta chiesa, non molto tempo davanti postovi, pensò essergli dato luogo e tempo alla sua intenzione. Ed informato un suo compagno di ciò che fare intendeva, insieme s’accostarono lá dove Calandrino solo si sedeva, e faccendo vista di non vederlo, insieme incominciarono a ragionare delle vertú di diverse pietre, delle quali Maso cosí efficacemente parlava come se stato fosse un solenne e gran lapidario; a’ quali ragionamenti Calandrino posto orecchi, e dopo alquanto levatosi in piè, sentendo che non era credenza, si congiunse con loro, il che forte piacque a Maso. Il quale seguendo le sue parole, fu da Calandrin domandato dove queste pietre cosí virtuose si trovassero. Maso rispose che le piú si trovavano in Berlinzone, terra de’ baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, [Berlinzone è il nome favoloso di paese immaginario inserito per evidenziare la burla, l’altro toponimo favoloso è formato dall’unione di “ben” e di “godi”, che fa pensare al paese della Cuccagna] nella quale si legano le vigne con le salsicce, ed avevavisi una oca a denaio ed un papero giunta, ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giú: e chi piú ne pigliava piú se n’aveva; ed ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua. — Oh! — disse Calandrino — cotesto è buon paese; ma dimmi, che si fa de’ capponi che cuocon coloro? — Rispose Maso: — Mangianglisi i baschi tutti. — Disse allora Calandrino: — Fostivi tu mai? — A cui Maso rispose: — Di’ tu se io vi fu’ mai? Si, vi sono stato cosí una volta come mille! — Disse allora Calandrino: — E quante miglia ci ha? — Maso rispose: — Haccene piú di millanta, che tutta notte canta. —
Il primo momento è caratterizzato dal discorso di Maso del Saggio, che con frasi allusive e talora senza senso, che dicono e non dicono o dicono negando, prospetta alla fantasia di Calandrino il paese di Bengodi e le virtù dell’elitropia: la descrizione del paese di Bengodi è un piccolo capolavoro di comicità. Maso, infatti, utilizza le tecniche caratteristiche del linguaggio burlesco: si noti il carattere equivoco di tale locuzione: assonanze come maccheroni, cuocion e capponi che danno un ritmo incalzante; la oscurità del linguaggio “cosí una volta come mille” affermazione nella quale è celata una negazione; l’inserimento di quantità indefinite millanta è altro termine equivoco e senza senso ottenuto dall’unione di mille e dal suffisso -anta per analogia con “quaranta”, “cinquanta”
Disse Calandrino: — Adunque dèe egli essere piú lá che Abruzzi. — Sí bene, — rispose Maso — si è cavelle. — Calandrino semplice, veggendo Maso dir queste parole con un viso fermo e senza ridere, quella fede vi dava che dar si può a qualunque veritá è piú manifesta, e cosí l’aveva per vere; e disse: — Troppo c’è di lungi a’ fatti miei: ma se piú presso ci fosse, ben ti dico che io vi verrei una volta con essoteco pur per veder fare il tomo a que’ maccheroni e tórmene una satolla. Ma dimmi, che lieto sii tu: in queste contrade non se ne truova niuna di queste pietre cosí virtuose? — A cui Maso rispose: — Sì, due maniere di pietre ci si truovano di grandissima vertú. L’una sono i macigni da Settignano e da Montisci, per vertú de’ quali, quando son macine fatti, se ne fa la farina, e per ciò si dice egli in que’ paesi di lá che da Dio vengon le grazie e da Montisci le macine: ma ècci di questi macigni sì gran quantitá, che appo noi è poco prezzata, come appo loro gli smeraldi, de’ quali v’ha maggior montagne che Montemorello, che rilucon di mezzanotte vatti con Dio; e sappi che chi facesse le macine belle e fatte legare in anella prima che elle si forassero, e portassele al soldano, n’avrebbe ciò che volesse. L’altra si è una pietra, la quale noi altri lapidari appelliamo elitropia, pietra di troppo gran vertú, per ciò che qualunque persona la porta sopra di sé, mentre la tiene, non è da alcuna altra persona veduto dove non è. —
L’ultima frase di Maso contiene un doppio messaggio: uno falso e ingannevole, tutto giocato sulla conclusione equivoca (dove non è), per Calandrino, il quale comprende che l’elitropia rende invisibili; e uno vero, logico, per il lettore che è in grado di comprendere l’effetto burlesco della frase.
Allora Calandrin disse: — Gran vertú son queste; ma questa seconda dove si truova? — A cui Maso rispose che nel Mugnone se ne solevan trovare. Disse Calandrino: — Di che grossezza è questa pietra o che colore è il suo? — Rispose Maso: — Ella è di varie grossezze, ché alcuna n’è piú, alcuna meno: ma tutte son di colore quasi come nero. —
La ricerca dell’elitropia
Alla prima burla segue la beffa di Bruno e Buffalmacco, che fanno finta di credere alla virtù dell’elitropia e di non vedere più Calandrino, associando al loro inganno anche i doganieri che lo lasciano passare come se egli fosse davvero diventato invisibile.
Calandrino, avendo tutte queste cose seco notate, fatto sembianti d’avere altro a fare, si partì da Maso, e seco propose di volere cercare di questa pietra: ma diliberò di non volerlo fare senza saputa di Bruno e di Buffalmacco, li quali spezialissimamente amava. Diessi adunque a cercar di costoro, acciò che senza indugio e prima che alcuno altro n’andassero a cercare, e tutto il rimanente di quella mattina consumò in cercargli. Ultimamente, essendo giá l’ora della nona passata, ricordandosi egli che essi lavoravano nel monistero delle donne di Faenza, quantunque il caldo fosse grandissimo, lasciata ogni altra sua faccenda, quasi correndo n’andò a costoro, e chiamatigli, cosí disse loro: — Compagni, quando voi vogliate credermi, noi possiamo divenire i piú ricchi uomini di Firenze, per ciò che io ho inteso da uomo degno di fede che in Mugnone si truova una pietra, la qual chi la porta sopra non è veduto da niuna altra persona; per che a me parrebbe che noi senza alcuno indugio, prima che altra persona v’andasse, v’andassimo a cercare. Noi la troverem per certo, per ciò che io la conosco; e trovata che noi l’avremo, che avrem noi a fare altro se non mettercela nella scarsella ed andare alle tavole de’ cambiatori, le quali sapete che stanno sempre cariche di grossi e di fiorini, e tôrcene quanti noi ne vorremo? Niuno ci vedrá: e cosí potremo arricchire subitamente, senza avere tuttodí a schiccherare le mura a modo che fa la lumaca. — Bruno e Buffalmacco, udendo costui, tra se medesimi cominciarono a ridere; e guatando l’un verso l’altro, fecer sembianti di maravigliarsi forte e lodarono il consiglio di Calandrino: ma domandò Buffalmacco come questa pietra avesse nome. A Calandrino, che era di grossa pasta, era giá il nome uscito di niente; per che egli rispose: — Che abbiam noi a far del nome, poi che noi sappiamo la vertú? A me parrebbe che noi andassimo a cercare senza star piú. — Or ben, — disse Bruno — come è ella fatta? — Calandrin disse: — Egli ne son d’ogni fatta, ma tutte son quasi nere; per che a me pare che noi abbiamo a ricogliere tutte quelle che noi vedrem nere, tanto che noi ci abbattiamo ad essa: e per ciò non perdiam tempo, andiamo. — A cui Bruno disse: — Or t’aspetta. — E vólto a Buffalmacco, disse: — A me pare che Calandrino dica bene: ma non mi pare che questa sia ora da ciò, per ciò che il sole è alto e dá per lo Mugnone entro ed ha tutte le pietre rasciutte; per che tali paion testé bianche, delle pietre che vi sono, che la mattina, anzi che il sole l’abbia rasciutte, paion nere: ed oltre a ciò, molta gente per diverse cagioni è oggi, che è dí da lavorare, per lo Mugnone, li quali, veggendoci, si potrebbono indovinare quello che noi andassimo faccendo e forse farlo essi altressí: e potrebbe venire alle mani a loro, e noi avremmo perduto il trotto per l’ambiadura. A me pare, se pare a voi, che questa sia opera da dover far da mattina, che si conoscon meglio le nere dalle bianche, ed in dì di festa, che non vi sará persona che ci veggia. —
L’espressione avremmo perduto il trotto per l’ambiadura allude alla maniera di far camminare un cavallo facendogli muovere le due zampe dello stesso fianco e impedendogli così di trottare. Il senso della frase è: avremmo perduto la pietra per il nostro desiderio di volerla subito.
Buffalmacco lodò il consiglio di Bruno, e Calandrino vi s’accordò, ed ordinarono che la domenica mattina vegnente tutti e tre fossero insieme a cercar di questa pietra: ma sopra ogni altra cosa gli pregò Calandrino che essi non dovesser questa cosa con persona del mondo ragionare, per ciò che a lui era stata posta in credenza. E ragionato questo, disse loro ciò che udito avea della contrada di Bengodi, con saramenti affermando che cosí era. Partito Calandrino da loro, essi quello che intorno a questo avessero a fare ordinarono tra se medesimi. Calandrino con disidèro aspettò la domenica mattina; la qual venuta, in sul far del dì si levò, e chiamati i compagni, per la porta a San Gallo usciti e nel Mugnon discesi, cominciarono ad andare ingiú, della pietra cercando.
Calandrino va con Bruno e Buffalmacco a cercare l’elitropia nel Mugnone; e poiché i due fingono di non vederlo, pensa di averla trovata e subisce senza lamentarsi i colpi e i lanci di pietre dei due amici: diviene, insomma, una specie di martire della propria dabbenaggine.
Calandrino andava, come piú volenteroso, avanti, e prestamente or qua ed or lá saltando, dovunque alcuna pietra nera vedeva, si gittava, e quella ricogliendo si metteva in seno. I compagni andavano appresso, e quando una e quando un’altra ne ricoglievano: ma Calandrino non fu guari di via andato, che egli il seno se n’ebbe pieno; per che, alzandosi i gheroni della gonnella, che all’analda non era, e faccendo di quegli ampio grembo, bene avendogli alla coreggia attaccati d’ogni parte, non dopo molto gli empiè, e similmente, dopo alquanto spazio, fatto del mantello grembo, quello di pietre empiè. Per che, veggendo Buffalmacco e Bruno che Calandrino era carico e l’ora del mangiare s’avvicinava, secondo l’ordine da sé posto, disse Bruno a Buffalmacco: — Calandrino dove è? — Buffalmacco, che ivi presso sei vedea, volgendosi intorno ed or qua ed or lá riguardando, rispose: — Io non so, ma egli era pur poco fa qui dinanzi da noi. — Disse Bruno: — Benché fa poco, a me pare egli esser certo che egli è ora a casa a desinare, e noi ha lasciati nel farnetico d’andar cercando le pietre nere giú per lo Mugnone. — Deh! come egli ha ben fatto — disse allor Buffalmacco — d’averci beffati e lasciati qui, poscia che noi fummo sí sciocchi, che noi gli credemmo. Sappi chi sarebbe stato sì stolto, che avesse creduto che in Mugnone si dovesse trovare una cosí virtuosa pietra, altri che noi! — Calandrino, queste parole udendo, imaginò che quella pietra alle mani gli fosse venuta e che per la vertú d’essa coloro, ancor che loro fosse presente, nol vedessero. Lieto adunque oltre modo di tal ventura, senza dir loro alcuna cosa, pensò di tornarsi a casa: e vòlti i passi indietro, se ne cominciò a venire. Veggendo ciò Buffalmacco, disse a Bruno: — Noi che faremo? Ché non ce n’andiam noi? — A cui Bruno rispose: — Andianne; ma io giuro a Dio che mai Calandrino non me ne fará piú niuna: e se io gli fossi presso come stato sono tutta mattina, io gli darei tale di questo ciotto nelle calcagna, che egli si ricorderebbe forse un mese di questa beffa! — Ed il dir le parole e l’aprirsi ed il dar del ciotto nel calcagno a Calandrino fu tutto uno. Calandrino, sentendo il duolo, levò alto il piè e cominciò a soffiare, ma pur si tacque ed andò oltre. Buffalmacco, recatosi in mano un de’ codoli che raccolti avea, disse a Bruno: — Deh! vedi bel codolo: cosí giugnesse egli testé nelle reni a Calandrino! — E lasciato andare, gli die’ con esso nelle reni una gran percossa: ed in brieve, in cotal guisa, or con una parola ed or con un’altra, su per lo Mugnone infino alla porta a San Gallo il vennero lapidando; quindi, in terra gittate le pietre che ricolte aveano, alquanto con le guardie de’ gabellieri si ristettero, le quali, prima da loro informate, faccendo vista di non vedere, lasciarono andar Calandrino con le maggior risa del mondo. Il quale senza arrestarsi se ne venne a casa sua, la quale era vicina al Canto alla macina; ed intanto fu la fortuna piacevole alla beffa, che, mentre Calandrino per lo fiume ne venne e poi per la cittá, niuna persona gli fece motto, come che pochi ne scontrasse, per ciò che quasi a desinare era ciascuno. Entrossene adunque Calandrino cosí carico in casa sua.
Perché Bruno e Buffalmacco organizzano una beffa nei confronti del povero Calandrino? Perché Maso del Saggio si diverte a ingannarlo? Il gusto dello scherzo è in loro gratuito, fine a se stesso. Vogliono solo dar prova della loro intelligenza, della loro abilità nel parlare e nel convincere. A muoverli è il gusto di mettere alla prova il proprio ingegno e di ridere della inferiorità altrui. Essi mostrano la nascita dell’individualismo borghese, esaltato nei valori dell’intelligenza, della prontezza di spirito, della capacità di approfittarsi della dabbenaggine altrui. Nel mondo mercantile, la mancanza di queste doti condanna allo scacco. Così, sotto il tono bonario, la comicità non nasconde del tutto la punta di sadismo («e in brieve, in cotal guisa, or con una parola or con un’altra, su per lo Mugnone e infino alla porta San Gallo il vennero lapidando») e persino di prevaricazione che è implicita nell’affermazione di superiorità di un individuo sugli altri. D’altronde, l’autore si guarda bene dal condannarla. Se Calandrino non risulta antipatico, tanto meno lo sono Bruno e Buffalmacco che rappresentano pienamente le nuove qualità dell’uomo borghese.
La magia della pietra svanisce
Calandrino, tornato a casa, è ovviamente visto dalla moglie, che egli allora batte accusandola di avere interrotto l’incantesimo che lo rendeva invisibile.
Era per ventura la moglie di lui, la quale ebbe nome monna Tessa, bella e valente donna, in capo della scala: ed alquanto turbata della sua lunga dimora, veggendol venire, cominciò proverbiando a dire: — Mai, frate, il diavol ti ci reca! Ogni gente ha giá desinato quando tu torni a desinare. — Il che udendo Calandrino e veggendo che veduto era, pieno di cruccio e di dolore cominciò a gridare: — Oimè! malvagia femina, o eri tu costi? Tu m’hai diserto: ma in fé di Dio io te ne pagherò! — E salito in una sua saletta e quivi scaricate le molte pietre che recate avea, niquitoso corse verso la moglie, e presala per le trecce, la si gittò a’ piedi, e quivi, quanto egli potè menar le braccia ed i piedi, tanto le die’ per tutta la persona pugna e calci, senza lasciarle in capo capello o osso addosso che macero non fosse, niuna cosa valendole il chieder mercé con le mani in croce.
Calandrino rappresenta il contadino inurbato, guardato con sufficienza dai cittadini e vittima delle beffe dei suoi colleghi fiorentini. Per quanto semplice, credulone e ingenuo, la sua figura non è priva di complessità. Non è solo uno sciocco, ha una sua vitalità e una sua intraprendenza, una capacità di illudersi, un desiderio di ricchezza (il suo sogno, ingenuamente espresso, è quello di «arricchire subitamente, senza avere tuttodì a schiccherare le mura a modo che fa la lumaca») che ne fanno un personaggio vivo e a volte imprevedibile. Fra questi due aspetti — la dabbenaggine e l’intraprendenza — esiste anzi un rapporto: proprio l’ingordigia e il desiderio di novità lo rendono così credulone. E tuttavia l’entusiasmo con cui salta «prestamente» di qua e di là alla ricerca dell’elitropia ha qualcosa di fanciullesco che può procurargli la simpatia del lettore.
Buffalmacco e Bruno, poi che co’ guardiani della porta ebbero alquanto riso, con lento passo cominciarono alquanto lontani a seguitar Calandrino; e giunti a piè dell’uscio di lui, sentirono la fiera battitura la quale alla moglie dava, e faccendo vista di giugnere pure allora, il chiamarono. Calandrino tutto sudato, rosso ed affannato si fece alla finestra e pregògli che suso a lui dovessero andare. Essi, mostrandosi alquanto turbati, andaron suso e videro la sala piena di pietre, e nell’un de’ canti la donna scapigliata, stracciata, tutta livida e rotta nel viso, dolorosamente piagnere: e d’altra parte, Calandrino, scinto ed ansando a guisa d’uom lasso, sedersi. Dove come alquanto ebbero riguardato, dissero: — Che è questo, Calandrino? Vuoi tu murare, ché noi veggiamo qui tante pietre? — Ed oltre a questo, soggiunsero: — E monna Tessa che ha? El par che tu l’abbi battuta; che novelle son queste? — Calandrino, faticato dal peso delle pietre e dalla rabbia con la quale la donna aveva battuta e dal dolore della ventura la quale perduta gli pareva avere, non poteva raccoglier lo spirito a formare intera la parola alla risposta; per che soprastando, Buffalmacco rincominciò: — Calandrino, se tu avevi altra ira, tu non ci dovevi per ciò straziare come fatto hai; ché, poi sodotti ci avesti a cercar teco della pietra preziosa, senza dirci a Dio né a diavolo, a guisa di due becconi nel Mugnon ci lasciasti e venistitene, il che noi abbiamo forte per male: ma per certo questa fia la sezzaia che tu ci farai mai. — A queste parole Calandrino, sforzandosi, rispose: — Compagni, non vi turbate: l’opera sta altramenti che voi non pensate. Io, sventurato, aveva quella pietra trovata: e volete udire se io dico il vero? Quando voi primieramente di me domandaste l’un l’altro, io v’era presso a men di diece braccia, e veggendo che voi ve ne venivate e non mi vedevate, v’entrai innanzi, e continuamente poco innanzi a voi me ne son venuto. — E cominciandosi dall’un de’ capi, infino alla fine raccontò loro ciò che essi fatto e detto aveano, e mostrò loro il dosso e le calcagna come i ciotti conci gliel’avessero, e poi seguitò: — E dicovi che, entrando alla porta con tutte queste pietre in seno che voi vedete qui, niuna cosa mi fu detta, ché sapete quanto esser sogliano spiacevoli e noiosi que’ guardiani a volere ogni cosa vedere; ed oltre a questo, ho trovati per la via piú miei compari ed amici, li quali sempre mi soglion far motto ed invitarmi a bere, né alcun fu che parola mi dicesse né mezza, sí come quegli che non mi vedeano.
Alla fine, giunto qui a casa, questo diavolo di questa femina maladetta mi si parò dinanzi ed ebbemi veduto, per ciò che, come voi sapete, le femine fanno perder la vertú ad ogni cosa; di che io, che mi poteva dire il piú avventurato uom di Firenze, sono rimaso il piú sventurato: e per questo l’ho tanto battuta quanto io ho potuto menar le mani, e non so a quello che io mi tengo che io non le sego le veni, che maladetta sia l’ora che io prima la vidi e quando ella mai venne in questa casa! — E raccesosi nell’ira, si voleva levare per tornare a batterla da capo. Buffalmacco e Bruno, queste cose udendo, facevan vista di maravigliarsi forte e spesso affermavano quello che Calandrino diceva, ed avevano sí gran voglia di ridere, che quasi scoppiavano: ma veggendolo furioso levare per battere un’altra volta la moglie, levatiglisi alla ’ncontro, il ritennero, dicendo, di queste cose niuna colpa aver la donna ma egli, che sapeva che le femine facevano perdere la vertú alle cose, e non l’aveva detto che ella si guardasse d’apparirgli innanzi quel giorno; il quale avvedimento Iddio gli aveva tolto o per ciò che la ventura non doveva esser sua o perché egli aveva in animo d’ingannare i suoi compagni, a’ quali, come s’avvedeva d’averla trovata, il dovea palesare. E dopo molte parole, non senza gran fatica la dolente donna riconciliata con essolui, e lasciandol malinconoso con la casa piena di pietre, si partirono.
La stizza di Calandrino è proporzionale alla forza della sua precedente illusione. Lo scherzo, tuttavia, prosegue perché i due compari dopo aver evitato altre botte alla moglie, dimostrano a Calandrino che ha commesso due errori: poiché sapeva che le donne fanno perdere ogni virtù agli incantesimi, doveva impedire alla moglie di comparirgli davanti; poiché aveva trovato la pietra miracolosa senza dir nulla a loro due, aveva voluto ingannarli e dunque era stato giustamente punito. Così Calandrino, oltre a essere stato beffato, si giudica anche colpevole dell’accaduto, subendo una seconda beffa.