Calvino interpreta l’Orlando furioso

Luca Pirola
7 min readOct 24, 2023

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Calvino e Ariosto

Di Alessandro Cane

Nel 1970 Einaudi pubblica l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino. In quest’opera, suddivisa in ventuno capitoli, Italo Calvino parafrasa e commenta alcuni passi scelti del poema cavalleresco, che, per stessa ammissione dello scrittore, figura sempre tra le sue letture preferite. Ariosto, soprattutto nella trilogia de I nostri antenati, si presenta come modello letterario di Calvino, nella misura in cui coniuga razionalismo e libertà inventiva, ironia e rappresentazione lucida e limpida della realtà in tutte le sue sfaccettature.

Calvino lettore di Ariosto: la scacchiera, il mondo, i personaggi

L’autore contemporaneo, nel suo commento, sceglie così di seguire separatamente i molteplici intrecci che costituiscono la tecnica dell’entrelacement ariostesco , per poi mostrare come essi, abilmente maneggiati dall’autore, si ricongiungano nel finale. In tal modo le tematiche dell’Orlando furioso e le sue mille trame e sottotrame sono ricondotte ad un’unità superiore, che coincide con la prospettiva e la visione del mondo di Ariosto stesso. Calvino sceglie di leggere il poema seguendo le vicende dei protagonisti, e sottraendosi alla scansione in canti; così emergono ai suoi occhi la complessità dell’opera e suoi molti livelli di lettura. Dice Calvino:

L’Orlando Furioso è un’immensa partita di scacchi che si gioca sulla carta geografica del mondo, una partita smisurata, che si dirama in tante partite simultanee. La carta del mondo è ben più vasta d’una scacchiera, ma su di essa le mosse d’ogni personaggio si susseguono secondo regole fisse come per i pezzi degli scacchi.

Quella calviniana è un’immagine che esalta la natura poliedrica e con mille sfaccettature del testo di Ariosto che, dice Calvino, può essere letto come un romanzo d’inchiesta, come un libro d’avventura, come una riflessione filosofica dell’autore stesso sulla condizione dell’uomo e della sua esistenza sulla Terra. Addirittura, c’è nell’Orlando furioso una evidente componente metaromanzesca e metaletteraria, attraverso cui Ariosto ragiona sulla natura della narrazione umana, che descrive il mondo reale e gli uomini con gli strumenti dell’invenzione (e quindi, in una certa misura, dell’illusione).

In questo senso, Calvino è affascinato dalla componente avventurosa e “meravigliosa” del poema: la vastità dell’ambientazione (che comprende Occidente e Oriente, luoghi incantati e paesi reali, selve misteriose e isole lontane) è simbolo della fantasia e della creatività dell’autore. Agli spazi reali si affiancano, senza soluzione di continuità. i luoghi magici ed allegorici, come il castello di Atlante o quella “selva” in cui tutti i personaggi (come Angelica nel primo canto dell’Orlando furioso) prima o poi si incontrano, si confrontano e si scontrano.

I personaggi dell’Orlando furioso costituiscono poi un elemento fondamentale per comprendere la poetica di Ariosto; Calvino spiega che l’autore non si concentra tanto nella descrizione della loro psicologia, ma privilegia il racconto delle loro azioni. Ogni personaggio si definisce così, nella sua individualità, più per ciò che fa piuttosto che per ciò che pensa. Quelli ariosteschi non sono così personaggi completi, ma sono tutti insieme delle sfaccettature di un medesimo carattere, quello dell’autore. Così viene descritto Orlando:

Orlando continua a essere un personaggio allo stesso tempo centrale e distante; come era fuori della misura umana nella virtù, immune dalle passioni secondo i cantari popolari, innamorato che reprime ogni tentazione secondo il Boiardo, qui esce dalla misura umana per entrare nella bestialità più cieca. In questa nuova inattesa incarnazione d’ossesso ignudo che sradica le querce, Orlando diventa, se non un vero e proprio personaggio, certo un’immagine poetica vivente, quale non era mai stato nella lunga serie di poemi che lo rappresentavano con elmo ed armatura.

Ruggiero, capostipite della dinastia estense destinato a una morte prematura, appare spesso mosso da forze esterne; una su tutte Atlante che lo imprigiona per amore paterno nei suoi castelli incantati. E così lo presenta Calvino:

Duro destino è l’avere un destino. L’uomo predestinato avanza e i suoi passi non possono portarlo che là […] come a Ruggiero, un matrimonio d’amore, una discendenza gloriosa, e pure ahimè una fine prematura. […] Sappiamo bene che tutti gli ostacoli saranno vani […] ma ci resta il dubbio se ciò che veramente conta sia il lontano punto d’arrivo, oppure siano il labirinto interminabile, gli ostacoli, gli errori, le peripezie che danno forma all’esistenza.

Infine è interessante come Calvino trovi una correlazione tra Ariosto e uno dei suoi personaggi d’invenzione, cioè Astolfo:

l’anima ariostesca è riconoscibile soprattutto in lui, esploratore lunare che non si meraviglia mai di nulla, che vive circondato dal meraviglioso e si vale di oggetti fatati, libri magici, metamorfosi e cavalli alati con la leggerezza di una farfalla, ma sempre per raggiungere fini di pratica utilità e del tutto razionali.

La fantasia per riflettere il mondo
di Giuseppe iannaccone, Anticipare il Novecento
L’amore per Ariosto non spinge mai Calvino al disimpegno intellettuale o alla costruzione di favole di semplice intrattenimento.

È evasione il mio amore per l’Ariosto? No, egli ci insegna come l’intelligenza viva anche, e soprattutto, di fantasia, d’ironia, d’accuratezza formale, come nessuna di queste doti sia fine a se stessa ma come esse possano entrare a far parte del mondo, possano servire a meglio valutare virtù e vizi umani. Tutte lezioni attuali, necessarie oggi, nell’epoca dei cervelli elettronici e dei voli spaziali.

Il percorso di lettura dell’Orlando furioso che Calvino propone valorizza, perciò, in particolare il gioco fantastico on i personaggi, il senso illusionistico della rappresentazione letteraria, il piacere dell’avventura come strumento di riflessione filosofica sulla condizione umana, il gusto labirintico della deviazione e della digressione. Indicativo di questo approccio è il brano dedicato al castello d’Atlante:

Il poema che stiamo percorrendo è un labirinto nel quale si aprono altri labirinti, nel cuore del poema c’è un trabocchetto, una specie di vortice che inghiotte uno ad uno i principali personaggi: il palazzo incantato del mago Atlante. Già il mago ci aveva fatto incontrare, tra le giogaie dei Pirenei, un castello tutto d’acciaio; poi l’aveva fatto dissolvere nel nulla. Ora, in mezzo a un prato non lontano dalle coste della Manica, vediamo sorgere un palazzo.

Attraversando un bosco, Ruggiero sente un grido: vede un gigante che lotta con un cavaliere. Sotto un colpo di mazza del gigante il cavaliere cade: dall’elmo slacciato esce un’onda di capelli biondi: è Bradamante! >Ruggiero insegue il gigante che fugge trascinando la guerriera esamine e sparisce in un palazzo di marmo dalla porta d’oro. Ruggiero entra, percorre sale e logge e scale; si perde; perlustra il palazzo da cima a fondo più volte: nessuna traccia né del rapitore né della rapita.

Come Cerere cercava Proserpina rapita da Plutone, così rapimenti e ricerche affannose i intrecciano per le contrade di Francia. Anche a orlando, a suo tempo, quando andava in cerca di Angelica, era successa la stessa identica storia che a Ruggiero: veder rapita la sua bella, inseguire il rapitore, entrare in un misterioso palazzo, girare e girare per androni e corridoi deserti. Ossia: il palazzo è deserto di quel che si cerca, e popolato solo dai cercatori. Atlante ha dato forma al regno dell’illusione; se la vita è sempre varia e imprevista e cangiante, l’illusione è monotona, batte e ribatte sempre sullo stesso chiodo.

Tutti cercando il van, tutti gli dànno
colpa di furto alcun che lor fatt’abbia:
del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno;
ch’abbia perduta altri la donna, arrabbia;
altri d’altro l’accusa: e così stanno,
che non si san partir di quella gabbia;
e vi son molti, a questo inganno presi,
stati le settimane intiere e i mesi. (XII, 12)

Questi che vagano per androni e sottoscala, che frugano sotto arazzi e baldacchini sono i più famosi cavalieri cristiani e mori: tutti sono stati attratti nel palazzo da una visione d’una donna amata, d’un nemico irraggiungibile, d’un cavallo rubato, d’un oggetto perduto. Non possono più staccarsi da quelle mura: se uno fa per allontanarsene, si sente richiamare, si volta e l’apparizione invano inseguita è là, affacciata a una finestra che implora soccorso.
[è appunto quello che capita a Ruggiero]

18
Tosto che pon dentro alla soglia il piede,
per la gran corte e per le logge mira;
né più il gigante né la donna vede,
e gli occhi indarno or quinci or quindi aggira.
Di su di giù va molte volte e riede;
né gli succede mai quel che desira:
né si sa imaginar dove sì tosto
con la donna il fellon si sia nascosto.

19
Poi che revisto ha quattro volte e cinque
di su di giù camere e logge e sale,
pur di nuovo ritorna, e non relinque
che non ne cerchi fin sotto le scale.
Con speme al fin che sian ne le propinque
selve, si parte: ma una voce, quale
richiamò Orlando, lui chiamò non manco;
e nel palazzo il fe’ ritornar anco.

20
Una voce medesma, una persona
che paruta era Angelica ad Orlando,
parve a Ruggier la donna di Dordona,
che lo tenea di sé medesmo in bando.
Se con Gradasso o con alcun ragiona
di quei ch’andavan nel palazzo errando,
a tutti par che quella cosa sia,
che più ciascun per sé brama e desia.

Lo stesso grido d’aiuto, la stessa visione che a Ruggiero parve di Bradamante e a Orlando di Angelica, a Bradamante parrà di Ruggiero. Il desiderio è una corsa verso il nulla, l’incantesimo di Atlante concentra tutte le brame inappagate nel chiuso d’un labirinto, ma non muta le regole che governano i movimenti degli uomini nello spazio aperto del poema e del mondo.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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