Chi è questa che vèn ch’ogn’om la mira
Lo sconvolgimento per la passione amorosa
Guido Cavalcanti affronta il tema dell’Amore in modo inedito, poiché pone l’accento della sua rappresentazione sullo sconvolgimento e sulla distruzione dello spirito dell’amante operata dalla passione. L’amante vive un conflitto tra sentimento e ragione, che gli toglie ogni serenità.
Il sonetto proposto presenta il tema della lode della donna amata, centrale nella produzione dello Stilnovo, ma Cavalcanti lo affronta in maniera inedita.
Metro: sonetto ABBA ABBA CDE CDE
Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira,
E fa tremar di chiaritate l’are,
E mena seco Amor, sì che parlare
Null’omo pote, ma ciascun sospira?
Il primo verso vuole dare immediatamente il senso dell’apparizione miracolosa della donna, infatti è ispirato ad alcuni passi della Bibbia Chi è costei c’avanza dal Cantico dei Cantici (6, 9) e Chi è costui che viene? da Isaia (63, 1). Sempre dal testo biblico Cavalcanti riprende la luminosità che caratterizza la donna (v.2), caratteristica unica in tutto il sonetto che descrive l’amata, che per il resto tratta della sensazione di smarrimento prodotta dalla presenza femminile.
L’apparizione improvvisa e stupefacente della donna, colta mentre è in movimento, è descritta come una visione grazie a:
- le parole che annunciano la comparsa e il procedere della donna sono di ispirazione biblica;
- il verbo mira ( = contemplare) che indica l’atteggiamento dell’amante nei suoi confronti;
- il silenzio che deriva dall’apparizione il quale sottolinea la sospensione del corso degli eventi e il verificarsi di un fatto straordinario.
Lo stupore ammirato del poeta davanti alla presenza della dama è intensificato dall’interrogazione che costituisce la prima strofa. Il sonetto, dunque, inizia richiamando il tema dell’eccellenza della donna amata, descrivendo gli effetti straordinari prodotti dalla sua comparsa sull’anima non solo del poeta, ma di tutti coloro che la incontrano, come chiaramente espresso dal ciascun sospira al v. 4.
O Deo! che sembra quando li occhi gira!
Dical’Amor, ch’i’ nol savria contare:
Cotanto d’umiltà donna mi pare,
Ch’ogn’altra ver di lei la chiam’ ira.
La seconda strofa introduce il tema dell’ineffabilità della propria esperienza, insistendo sull’inadeguatezza della propria parola di fronte al manifestarsi di una visione. L’essenza della donna è talmente elevata e irraggiungibile da non poter essere descritta a parole né compresa intellettualmente. Dunque il tema della lode sfocia in una denuncia dei limiti della conoscenza umana, incapace di afferrare e descrivere ciò che l’uomo desidera più di ogni altra cosa.
Non si poria contar la sua piagenza,
Ch’a le s’inchin’ogni gentil vertute,
E la beltate per sua dea la mostra.Non fu sì alta già la mente nostra,
E non si pose ’n noi tanta salute
Che propriamente n’avian conoscenza.
Il tema dell’incapacità di descrivere la donna è ripreso nelle terzine e sottolineato dall’anafora di non (vv. 9 e 12): la negazione, comparsa per la prima volta al v. 6 (nol) torna al v. 13 (e non) ad affermare l’impossibilità di conoscere razionalmente l’oggetto d’amore.
La difficoltà espressiva è resa anche mediante la sintassi, infatti se la prima quartina risponde ai canoni di semplicità del Dolce Stilnovo, le strofe successive hanno un andamento più faticoso come per sottolineare la tensione della mente nel tentativo di raggiungere un concetto che è al di là delle sue possibilità.
La domanda della prima strofa, si può notare infine, è lasciata volutamente senza risposta, a significare l’inconoscibilità della donna, che è il vero tema del sonetto.