Chichibio e la gru

Decameron, sesta giornata, 4

Luca Pirola
6 min readMar 2, 2022

La sesta giornata è dedicata ai motti di spirito che risolvono situazioni di pericolo; questa novella inscena un vivace contrasto tra due interlocutori socialmente impari: un nobile fiorentino e il suo cuoco, che grazie a una trovata estemporanea schiva il pur meritato castigo. Il signore, a sua volta, dimostra di apprezzare la comicità della battuta.

Chichibio, cuoco di Currado Gianfigliazzi, con una presta parola a sua salute l’ira di Currado volge in riso e sé scampa dalla mala ventura minacciatagli da Currado.

I Gianfigliazzi erano una nota famiglia di banchieri fiorentini, in particolare Currado era famoso per la sua generosità in contrasto con la meschinità di alcuni suoi discendenti.

Currado affida la gru al cuoco perché sia preparata per il banchetto

Currado Gianfigliazzi sì come ciascuna di voi e udito e veduto puote avere, sempre della nostra città è stato nobile cittadino, liberale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo, continuamente in cani e in uccelli s’è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare. Il quale con un suo falcone avendo un dì presso a Peretola una gru ammazata, trovandola grassa e giovane, quella mandò ad un suo buon cuoco, il quale era chiamato Chichibio, ed era viniziano, e sì gli mandò dicendo che a cena l’arrostisse e governassela bene.

Chichibio è un nome parlante. È infatti una voce onomatopeica, che si connette al verso e al nome che in area settentrionale viene attribuito ad alcune varietà di uccelli. Il nome del cuoco è interpretabile come “cervello di fringuello”, dunque “sciocco” o “buono a nulla”.

Chichibio dà a Brunetta una coscia della gru

Chichibio, il quale come riuovo bergolo (dal veneziano: “chiacchierone”) era così pareva, acconcia la gru, la mise a fuoco e con sollicitudine a cuocerla cominciò.

La novella si caratterizza subito per il suo ritmo veloce: i due protagonsti sono immediatamente presentati nelle loro peculiarità. Currado Gianfigliazzi è un fiorentino che, pur vantando una ricchezza monetaria più che terriera, ha saputo integrarsi nel mondo aristocratico dei magnati. Egli, infatti, rappresenta l’ideale alleanza tra ricchezza e cortesia, essendo definito nobile cittadino, liberale e magnifico, che si comporta secondo le regole della cortesia (vita cavalleresca tenendo); Chichibio, il suo cuoco, appartiene a una fascia sociale inferiore: è un cuoco e uno straniero. Infatti è veneziano, perciò furbo e disonesto secondo l’opinione comune a Firenze, ma oltre lo stereotipo è davvero pettegolo, imbroglione e bugiardo.

La quale essendo già presso che cotta grandissimo odor venendone, avvenne che una feminetta della contrada, la qual Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte innamorato, entrò nella cucina; e sentendo l’odor della gru e veggendola, pregò caramente Chichibio che ne le desse una coscia.

Chichibio le rispose cantando e disse:

- “Voi non l’avrì da mi, donna Brunetta, voi non l’avrì da mi”.

La lingua parlata da Chichibio è diversa da quella degli altri personaggi, infatti parla in veneziano con Brunetta. Molti critici hanno evidenziato il fallimento del tentativo i Boccaccio di rendere la parlata veneta, in qunato la frase del cuoco non corrisponde all’uso del tempo.

Chichibio, al di là della goffaggine del tentativo, nella novella dimostra di conoscere diversi registri linguistici, perché nel dialogo con Currado si esprime in fiorentino. Anche in questo il personaggio si dimostra un’abile competenza nell’uso della parola.

Di che donna Brunetta essendo un poco turbata, gli disse:

- In fè di Dio, se tu non la mi dai, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia; — e in brieve le parole furon molte. Alla fine Chichibio, per non crucciar la sua donna, spiccata l’una delle cosce alla gru, gliele diede.

Chichibio si giustifica dicendo che le gru hanno solo una coscia

Essendo poi davanti a Currado e ad alcun suo forestiere messa la gru senza coscia, e Currado maravigliandosene, fece chiamare Chichibio e domandollo che fosse divenuta l’altra coscia della gru. Al quale il vinizian bugiardo subitamente rispose:

La narratrice della novella esprime lo stereotipo che associa l’essere veneziano al mentire. Tale nomea derivava anche dalla rivalità storica, politica e commerciale tra Venezia e Firenze.

- Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una gamba.

Currado allora turbato disse:

- Come diavol non hanno che una coscia e una gamba? Non vid’io mai più gru che questa?

Chichibio seguitò:

- Egli è, messer, com’io vi dico; e quando vi piaccia, io il vi farò veder né vivi.

Currado, per amor dei forestieri che seco aveva, non volle dietro alle parole andare, ma disse:

- Poi che tu dì di farmelo vedere né vivi, cosa che io mai più non vidi né udii dir che fosse, e io il voglio veder domattina e sarò contento; ma io ti giuro in sul corpo di Cristo, che, se altramenti sarà, che io ti farò conciare in maniera che tu con tuo danno ti ricorderai, sempre che tu ci viverai, del nome mio.

Il giorno dopo Chichibio cerca di dimostrare a Currado di aver affermato il vero

Finite adunque per quella sera le parole, la mattina seguente come il giorno apparve, Currado, a cui non era per lo dormire l’ira cessata, tutto ancor gonfiato si levò e comandò che i cavalli gli fosser menati; e fatto montar Chichibio sopra un ronzino, verso una fiumana, alla riva della quale sempre soleva in sul far del dì vedersi delle gru, nel menò dicendo:

- Tosto vedremo chi avrà iersera mentito, o tu o io.

La distanza sociale tra Currado e Chichibio è segnata un’altra volta dalle cavalcature dei due: Currado è in sella a un cavallo, Chichibio a un ronzino.

Chichibio, veggendo che ancora durava l’ira di Currado e che far gli convenia pruova della sua bugia, non sappiendo come poterlasi fare, cavalcava appresso a Currado con la maggior paura del mondo, e volentieri, se potuto avesse, si sarebbe fuggito; ma non potendo, ora innanzi e ora addietro e da lato si riguardava, e ciò che vedeva credeva che gru fossero che stessero in due piedi.

Chichibio vede soltanto gru con due zampe (come in effetti è) e si ritiene ormai spacciato. Lo sgomento del personaggio prepara il capovolgimento della situazione mediante il motto di spirito che conclude la novella.

Ma già vicini al fiume pervenuti, gli venner prima che ad alcun vedute sopra la riva di quello ben dodici gru, le quali tutte in un piè dimoravano, si come quando dormono soglion fare. Per che egli prestamente mostratele a Currado, disse:

- Assai bene potete, messer, vedere che iersera vi dissi il vero, che le gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle che colà stanno.

La trovata di Chichibio e il riso di Currado

Currado vedendole disse:

- Aspettati, che io ti mosterrò che elle n’hanno due; — e fattosi alquanto più a quelle vicino gridò: — Ho ho; — per lo qual grido le gru, mandato l’altro piè giù, tutte dopo alquanti passi cominciarono a fuggire. Laonde Currado rivolto a Chichibio disse:

- Che ti par, ghiottone? Parti ch’elle n’abbian due?

Chichibio quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde si venisse, rispose:

- Messer sì, ma voi non gridaste — ho ho — a quella di iersera; ché se così gridato aveste, ella avrebbe così l’altra coscia e l’altro piè fuor mandata, come hanno fatto queste.

A Currado piacque tanto questa risposta, che tutta la sua ira si convertì in festa e riso, e disse:

- Chichibio, tu hai ragione, ben lo dovea fare.

Così adunque con la sua pronta e sollazzevol risposta Chichibio cessò la mala ventura e paceficossi col suo signore.

La battuta di spirito ripristina l’equilibrio spezzato dall’inganno della coscia di gru, svelando la forza della parola, che travolge lo stesso “dicitore”. L’essenza del motto di spirito si fonda sulla concatenazione tra “fortuna”, nel senso di occasione o circostanza favorevole, e “ingegno”, ovvero capacità creativa, prontezza. Queste due condizioni si realizzano alla perfezione nella novella, perché se è vero che la situazione di pericolo è stata creata da Chichibio, è proprio la sua prontezza a salvarlo, e lui stesso per primo se ne stupisce (non sappiendo egli stesso donde si venisse). Il motto, infatti, è frutto di una trovata improvvisa, spontanea, tanto che nemmeno lui stesso è consapevole da dove venisse.

Questa novella conferma la centralità della parola, che non conosce barriere sociali, anzi spesso unisce persone che altrimenti non avrebbero occasione di condividere il proprio tempo insieme.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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