Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti

Adelchi, coro dell’atto III

Luca Pirola
5 min readJan 4, 2023

Il coro dell’atto III dell’Adelchi è un esempio di poesia storica di ambientazione medioevale, secondo il gusto romantico, che recupera sia l’evocazione storica sia il richiamo al Medioevo come radice del presente. Manzoni ricostruisce i pensieri e i sentimenti dei tre popoli pro- tagonisti: il risvegliarsi dei latini tra speranza e timore, lo sgomento dei longobardi preoccupati per la prospettiva della sconfitta, la nostalgia per la patria e nel contempo la speranza di conquista dei franchi. Ma l’attenzione è rivolta, più che ai due popoli contendenti, alla sorte di quel volgo disperso, privo di unità, di libertà e di coscienza nazionale, ignorato dalla storia ufficiale: al comportamento di quella immensa mol- titudine, che di solito non lascia traccia nel teatro della storia, Manzoni riserva uno spazio nel «cantuccio» del coro.

1^ parte: descrizione delle paure e delle incertezze dei latini sullo sfondo di una patria in rovina.

Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti,
dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
dai solchi bagnati di servo sudor,
un volgo disperso repente si desta;
intende l’orecchio, solleva la testa
percosso da novo crescente romor.

Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
qual raggio di sole da nuvoli folti,
traluce de’ padri la fiera virtù:
ne’ guardi, ne’ volti confuso ed incerto
si mesce e discorda lo spregio sofferto
col misero orgoglio d’un tempo che fu.

S’aduna voglioso, si sperde tremante,
per torti sentieri, con passo vagante,
fra tema e desire, s’avanza e ristà;
e adocchia e rimira scorata e confusa
de’ crudi signori la turba diffusa,
che fugge dai brandi, che sosta non ha.

Nell’incipit viene rappresentato il risveglio delle genti latine al rumore della battaglia tra franchi e longobardi. Manzoni usa l’espressione volgo disperso per denunciare la mancanza di una coscienza nazionale. Gli italici sono qualificati con attributi che richiamano un senso di inquietudine, dubbio, incertezza sulla propria sorte che dipende da altri (guardi dubbiosi, pavidi volti, S’aduna voglioso, si perde tremante).

Il dodecasillabo con la sua ampiezza e una pausa fissa a metà verso crea un ritmo fortemente scandito, da poesia epica. La metrica è in accordo con la sintassi: il periodo non oltrepassa mai la misura della sestina , che si chiude sempre con un punto fermo. Le proposizioni paratattiche e coordinate per asindeto di solito coincidono con la misura del verso e si susseguono con simmetria mediante una serie di anafore, che costruiscono una facile scansione ritmica. È evidente la tendenza manzoniana a creare una poesia «popolare» (nel significato romantico del termine), che coinvolga con immediatezza il lettore borghese. Solo il lessico tende a essere colto e ricco di latinismi (tema, desire, brandi, fere, latèbre, speme, prandi, membrando, volgo, perigli, ruine).

2^ parte: rappresentazione del dinamismo dei longobardi in fuga dinanzi all’incalzare dei franchi e del punto di vista del popolo latino, che osserva la battaglia e spera in una soluzione positiva per sé.

Ansanti li vede, quai trepide fere,
irsuti per tema le fulve criniere,
le note latèbre del covo cercar;
e quivi, deposta l’usata minaccia,
le donne superbe, con pallida faccia,
i figli pensosi pensose guatar.

E sopra i fuggenti, con avido brando,
quai cani disciolti, correndo, frugando,
da ritta, da manca, guerrieri venir:
li vede, e rapito d’ignoto contento,
con l’agile speme precorre l’evento,
e sogna la fine del duro servir.

La fuga del popolo longobardo è descritta con caratteri animaleschi (trepide fare, irsuti, criniere); tale caratterizzazione è accentuata dalla descrizione dei franchi come cani da caccia (cani disciolti).

3^ parte: narrazione della condizione dei guerrieri franchi, che hanno sopportato fatiche e disagi per conquistare la vittoria.

Udite! Quei forti che tengono il campo,
che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
son giunti da lunge, per aspri sentier:
sospeser le gioie dei prandi festosi,
assursero in fretta dai blandi riposi,
chiamati repente da squillo guerrier.

Lasciar nelle sale del tetto natio
le donne accorate, tornanti all’addio,
a preghi e consigli che il pianto troncò:
han carca la fronte de’ pesti cimieri,
han poste le selle sui bruni corsieri,
volaron sul ponte che cupo sonò.

A torme, di terra passarono in terra,
cantando giulive canzoni di guerra,
ma i dolci castelli pensando nel cor:
per valli petrose, per balzi dirotti,
vegliaron nell’arme le gelide notti,
membrando i fidati colloqui d’amor.

Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
per greppi senz’orma le corse affannose,
il rigido impero, le fami durâr;
si vider le lance calate sui petti;
a canto agli scudi, rasente agli elmetti,
udiron le frecce fischiando volar.

4^ parte: riflessiva esortazione del poeta ai latini: facciano ritorno al lavoro servile, due padroni si divideranno le ricchezze di un volgo privo di dignità e di virtù. Solo questo può essere il triste destino di chi non conquista autonomamente la propria libertà.

E il premio sperato, promesso a quei forti,
sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
d’un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
all’opere imbelli dell’arse officine,
ai solchi bagnati di servo sudor.

Il forte si mesce col vinto nemico,
col novo signore rimane l’antico;
l’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
si posano insieme sui campi cruenti
d’un volgo disperso che nome non ha.

La coscienza politica delle genti italiche non subisce alcuna maturazione: esse restano inerti e incapaci di preparare il riscatto sperato. L’amara constatazione che gli italiani sono un popolo senza l’Italia è sottolineata dal sarcasmo dagli ultimi versi, che riprendono quasi letteralmente i versi iniziali; il tono chiude ogni possibilità di riscatto per gli “umili”. I parallelismi (dividon i servi, dividon gli armenti) e il chiasmo (il forte si mesce col vinto nemico) rafforzano il senso di immutabilità.

Manzoni attualizza il passato, di conseguenza il motivo storico si fonde con il messaggio politico. Il poeta, con un’amara esortazione ai latini (Udite!, v. 31), evidenzia la vanità delle loro speranze, ma i destinatari reali del suo ammonimento sono gli italiani suoi contemporanei, affinché non contino sull’aiuto dello straniero ma prendano in mano le proprie sorti per il Risorgimento nazionale.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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