De l’empia Babilonia, ond’è fuggita
La ricerca della tranquillità
In questo sonetto, indirizzato a un amico (secondo alcuni studiosi il poeta Sennuccio del Bene, secon- do altri il frate Giovanni Colonna da Gallicano), Petrarca esplicita le ragioni della propria fuga da Avignone e confessa quali siano i suoi esclusivi interessi, nella quiete solitaria di Valchiusa (dove aveva acquistato una casa per isolarsi dalla città): la poesia e lo studio, il pensiero e la speranza di tempi migliori, l’amore per Laura e l’affetto per gli amici. La poesia si risolve quindi in un invito, rivolto al destinatario del testo, affinché non esiti a raggiungere l’autore nel suo rifugio.
Metro: sonetto con rime ABBA, ABBA, CDE, CDE.
De l’empia Babilonia, ond’è fuggita
ogni vergogna, ond’ogni bene è fori,
albergo di dolor, madre d’errori,
son fuggito io per allungar la vita.
Petrarca afferma di essersi allontanato sdegnato dall’empia città di Babilonia. La capitale dell’omonimo regno, tristemente nota fin dall’antichità per la sua depravazione morale e politica e perché sede dell’esilio del popolo ebraico, diventa metafora di Avignone, sede della corrotta curia pontificia, perché in città è scomparso ogni sentimento di pudore e vergogna , da dove è scappato ogni bene (v.2), così che quella medesima città non è che sede di dolori e causa (madre, v.3) di peccati. La sua fuga è causata dal desiderio di poter continuare a vivere (cioè per non morirvi subito di sdegno).
La prima quartina del sonetto sviluppa in maniera aspra ma sintetica la polemica contro la corruzione e la degradazione dilaganti ad Avignone, sede del Palazzo Pontificio. Avignone è la nuova Babilonia: questo è il primo messaggio che Petrarca intende trasmettere al lettore
Le tre insegne della ripugnante città sono l’empietà, il dolore e l’errore. La corruzione della Chiesa avignonese è sottolineata dall’ossimoro madre d’errori (v.3), tanto che la fuga del Petrarca risulta essere l’unica possibilità per non essere contaminato dal peccato, l’urgenza del gesto del poeta è espressa dalla ripetizione ond’è fuggita (v. 1) nel son fuggito io (v. 4).
Il v. 4 introduce, in modo antitetico alla corruzione di Avignone, il secondo motivo del sonetto: l’identità del poeta-amante prende consistenza e coscienza di sé mediante la fuga da tutto ciò che la città rappresenta. Come il bene e la vergogna (v.2), così anche Petrarca non può che ripudiare la nuova Babilonia, poiché i suoi valori sono alternativi. É esplicito il richiama alle parole del profeta Geremia, nell’Antico Testamento: Fuggite da Babilonia, ognuno ponga in salvo la sua vita; non vogliate perire per la sua iniquità.
Qui mi sto solo; et come Amor m’invita,
or rime et versi, or colgo herbette et fiori,
seco parlando, et a tempi migliori
sempre pensando: et questo sol m’aita.
Lontano dalla città peccaminosa (Qui mi sto solo, v. 5 il qui indica Valchiusa) Petrarca, ispirato da Amore (v.5) si dedica alla scrittura testi poetici in volgare o in latino (ma versi potrebbe anche rifarsi al provenzale vers, a indicare dunque genericamente un testo poetico), e alla raccolta di fiori e erbe profumate, simbolo della primavera, stagione propizia all’amore.
I valori petrarcheschi, in positivo e in negativo, sono qui: la solitudine e l’amore (v. 5), la letteratura e il contatto con la natura (v. 6), la memoria delle glorie antiche e la speranza in un futuro migliore (vv. 7–8)
Torna in questa strofa il tema del dialogo interiore tra Petrarca e Amore, infatti seco (v.7) indica l’interlocutore dell’io lirico, come nel sonetto Solo et pensoso i più deserti campi. L’argomento della meditazione, tuttavia, non è il tormento amoroso del poeta, perché con tempi migliori (v.7) possono essere intesi i fasti passati e onorandi della società e della Chiesa, ai quali nostalgicamente Petrarca torna col pensiero, oppure i tempi futuri, che Petrarca si augura e spera che avvengano dopo un salutare ravvedimento della società e della Chiesa stessa.
Né del vulgo mi cal, né di Fortuna,
né di me molto, né di cosa vile,
né dentro sento né di fuor gran caldo.
La terzina, dominata dall’insistente anafora del né, descrive la condizione di distacco del poeta dagli elementi mondani (vulgo, Fortuna, v.9, cosa vile, v.10) e da se stesso o dalle passioni interiori (di me, v.10); nulla lo turba, non si sente ardere dentro, nel cuore, di passioni e desideri, né al di fuori, dalle cose e dalle persone, gli provengono allettamenti così forti che mi possano turbare.
I versi esprimono una fermezza psicologica e sentimentale che tiene sgombro il cuore dalle preoccupazioni vili e volgari (ossia, nel catalogo ai vv. 9–11, l’opinione degli altri, i beni della sorte, le proprie fortune, le passioni passeggere); l’io lirico dichiara di aver raggiunto un equilibrio interiore che comporta la capacità di selezionare i propri desideri, rinunciando a ogni aspirazione vana e sciocca.
Sol due persone cheggio: et vorrei l’una
col cor ver’ me pacificato humile,
l’altro col pie’, sì come mai fu, saldo.
La terzina conclusiva isola le due persone la cui presenza concorrerebbe a rendere perfetta l’armonia esistenziale raggiunta da Petrarca nella solitudine di Valchiusa: l’amata Laura, finalmente serena e benevola (col cor ver’ me pacificato humile, v,13), e l’amico a lungo atteso. Nel suo ritiro dal mondo Petrarca, infatti, desidera solamente la compagnia Laura, che sia con lui serenamente, e dell’amico a cui è rivolta la lirica Sennuccio del Bene o Giovanni Colonna, il quale soggiornasse a Valchiusa piè …saldo (v.14), ossia stabilmente e a lungo, come mai si è verificato in passato.