Dialogo di Malambruno e Farfariello

Infelicità e desiderio del piacere

Luca Pirola
5 min readMay 11, 2024

Questo dialogo è la più breve delle Operette morali di Leopardi. Il tema dell’operetta è l’impossibilità per l’uomo di raggiungere la felicità. Leopardi sviluppa qui alcuni principi espressi già nella teoria del piacere. Malambruno è un mago che evoca un diavolo dagli inferi per chiedergli di renderlo per un istante veramente felice.

MALAMBRUNO. Spiriti d’abisso, Farfarello, Ciriatto, Baconero, Astarotte, Alichino, e comunque siete chiamati; io vi scongiuro nel nome di Belzebù, e vi comando per la virtù dell’arte mia, che può sgangherare la luna, e inchiodare il sole a mezzo il cielo: venga uno di voi con libero comando del vostro principe e piena potestà di usare tutte le forze dell’inferno in mio servigio.

Tutti i nomi dei diavoli hanno un’origine letteraria: Astarotte è menzionato nella Bibbia e nel Morgnate di Pulci, gli altri sono nella Commedia di Dante.

FARFARELLO. Eccomi.
MALAMBRUNO. Chi sei?
FARFARELLO. Farfarello, a’ tuoi comandi.
MALAMBRUNO. Rechi il mandato di Belzebù?
FARFARELLO. Sì recolo; e posso fare in tuo servigio tutto quello che potrebbe il Re proprio, e più che non potrebbero tutte l’altre creature insieme.
MALAMBRUNO. Sta bene. Tu m’hai da contentare d’un desiderio.
FARFARELLO. Sarai servito. Che vuoi? nobiltà maggiore di quella degli Atridi?
MALAMBRUNO. No.
FARFARELLO. Più ricchezze di quelle che si troveranno nella città di Manoa quando sarà scoperta?

La città di Manoa è un luogo favoloso, chiamata anche El Dorado “la quale immaginarono gli Spagnuoli, e la credettero essere nell’America meridionale tra il fiume dell’Orinoco e quel delle Amazzoni” (nota al testo originale di Leopardi)

MALAMBRUNO. No.
FARFARELLO. Un impero grande come quello che dicono che Carlo quinto si sognasse una notte?
MALAMBRUNO. No.
FARFARELLO. Recare alle tue voglie una donna più salvatica di Penelope? MALAMBRUNO. No. Ti par egli che a cotesto ci bisognasse il diavolo?

Le battute sulle donne esprimono l’ironia di Leopardi, infatti il riferimento classico è a Penelope, moglie fedele di Ulisse che non cede alle lusinghe dei Proci. La risposta di Malambruno lascia presagire che al tempo dei Leopardi le donne non avessero la medesima integrità morale. Lo stile è ironico, come è tipico delle Operette morali: Leopardi mette in scena due personaggi fantastici e per lui del tutto improbabili, cioè un mago e un diavolo. Con questa scelta l’ironia di Leopardi colpisce anche il tema romantico del patto col diavolo (Faust), perché per il poeta neppure il diavolo — se esistesse — potrebbe dare all’uomo la piena felicità.

FARFARELLO. Onori e buona fortuna così ribaldo come sei?
MALAMBRUNO. Piuttosto mi bisognerebbe il diavolo se volessi il contrario.

Altra ironia di Leopardi sul tempo presente, poiché tale risposta sottintende che onori, e ricchezze sono già nelle mani dei ribaldi.
La riflessione di Leopardi si svolge con uno stile dialogico netto e diretto, in cui l’angoscia personale dello scrittore lascia spazio all’amarezza dell’ironia e del sarcasmo.

FARFARELLO. In fine, che mi comandi?
MALAMBRUNO. Fammi felice per un momento di tempo.
FARFARELLO. Non posso.
MALAMBRUNO. Come non puoi?
FARFARELLO. Ti giuro in coscienza che non posso.
MALAMBRUNO. In coscienza di demonio da bene.
FARFARELLO. Sì certo. Fa conto che vi sia de’ diavoli da bene come v’è degli uomini.
MALAMBRUNO. Ma tu fa conto che io t’appicco qui per la coda a una di queste travi, se tu non mi ubbidisci subito senza più parole.
FARFARELLO. Tu mi puoi meglio ammazzare, che non io contentarti di quello che tu domandi.
MALAMBRUNO. Dunque ritorna tu col mal anno, e venga Belzebù in persona.
FARFARELLO. Se anco viene Belzebù con tutta la Giudecca e tutte le Bolge, non potrà farti felice né te né altri della tua specie, più che abbia potuto io. MALAMBRUNO. Né anche per un momento solo?
FARFARELLO. Tanto è possibile per un momento, anzi per la metà di un momento, e per la millesima parte; quanto per tutta la vita.
MALAMBRUNO. Ma non potendo farmi felice in nessuna maniera, ti basta l’animo almeno di liberarmi dall’infelicità?
FARFARELLO. Se tu puoi fare di non amarti supremamente.

La sola possibilità di essere liberati dall’infelicità è rinunciare all’amor proprio, cioè alla vita stessa. Illustrare la teoria del piacere è il tema principale dell’operetta: è impossibile per l’uomo ottenere la felicità assoluta che concepisce e desidera. I piaceri possibili sono imperfetti e fuggevoli e non possono soddisfare il suo desiderio.

MALAMBRUNO. Cotesto lo potrò dopo morto.
FARFARELLO. Ma in vita non lo può nessun animale: perché la vostra natura vi comporterebbe prima qualunque altra cosa, che questa.
MALAMBRUNO. Così è.
FARFARELLO. Dunque, amandoti necessariamente del maggiore amore che tu sei capace, necessariamente desideri il più che puoi la felicità propria; e non potendo mai di gran lunga essere soddisfatto di questo tuo desiderio, che è sommo, resta che tu non possi fuggire per nessun verso di non essere infelice.
MALAMBRUNO. Né anco nei tempi che io proverò qualche diletto; perchè nessun diletto mi farà né felice né pago.
FARFARELLO. Nessuno veramente.
MALAMBRUNO. E però, non uguagliando il desiderio naturale della felicità che mi sta fisso nell’animo, non sarà vero diletto; e in quel tempo medesimo che esso è per durare, io non lascerò di essere infelice.
FARFARELLO. Non lascerai: perchè negli uomini e negli altri viventi la privazione della felicità, quantunque senza dolore e senza sciagura alcuna, e anche nel tempo di quelli che voi chiamate piaceri, importa infelicità espressa.

La piena felicità è ontologicamente impossibile per l’uomo, perché l’uomo amandosi necessariamente e desiderando quindi per sé il massimo della felicità propria, in altre parole avendo in sé il desiderio assoluto e infinito di felicità, non può trovare soddisfazione in nessun piacere imperfetto, parziale, momentaneo e fuggevole. Nemmeno la cessazione dell’infelicità è possibile per l’uomo, perché la condizione di infelicità è una dimensione esistenziale.

MALAMBRUNO. Tanto che dalla nascita insino alla morte, l’infelicità nostra non può cessare per ispazio, non che altro, di un solo istante.
FARFARELLO. Sì: cessa, sempre che dormite senza sognare, o che vi coglie uno sfinimento o altro che v’interrompa l’uso dei sensi.

Anche quando l’uomo non è sottoposto a sofferenze acute o prova momentanei diletti, è sufficiente la coscienza del proprio esistere e conseguentemente dell’impossibilità — connaturata al suo esistere — di raggiungere la felicità per renderlo infelice. Questa infelicità esistenziale, legata alla coscienza di sé e della propria condizione, in assenza di dolori espressi è chiamata da Leopardi noia.
La scelta di attribuire tali riflessioni a due personaggi lontanissimi da ogni implicazione autobiografica, quali il negromante e il diavolo, permette a Leopardi di rendere universali le sue considerazioni.

MALAMBRUNO. Ma non mai però mentre sentiamo la nostra propria vita. FARFARELLO. Non mai.
MALAMBRUNO. Di modo che, assolutamente parlando, il non vivere è sempre meglio del vivere.
FARFARELLO. Se la privazione dell’infelicità è semplicemente meglio dell’infelicità.
MALAMBRUNO. Dunque?
FARFARELLO. Dunque se ti pare di darmi l’anima prima del tempo, io sono qui pronto per portarmela.

L’amara conclusione, in cui il mago invoca la morte perché razionalmente è l’unico scampo possibile all’infelicità, è una decisa liquidazione di ogni illusione di redenzione sovrannaturale. L’uomo non può in alcun modo sfuggire alle leggi di natura, neppure venendo a patti con il demonio, perché non esiste alcun diavolo con cui venire a patti.

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