Dialogo diPlotino e Porfirio
L‘importanza della solidarietà tra gli uomini
Composto nel 1827, il dialogo tra Plotino e Porfirio è centrato sul tema del suicidio. Leopardi immagina che il filosofo greco Plotino (III sec. d.C.) cerchi di dissuadere il suo discepolo Porfirio dall’intenzione di togliersi la vita, basata su una lucida analisi della vanità dell’esistenza.
Nel corso del colloquio il filosofo riconosce che dal punto di vista razionale le conclusioni di Porfirio sono inattaccabili, ma lo esorta ugualmente a vivere, in nome della solidarietà e dell’amicizia.
Il dialogo mette a confronto la giustificazione del suicidio secondo ragione — sostenuta da Porfirio — e il suo rifiuto secondo natura — Plotino — , dando voce all’alternanza, presente in tutta l’opera di Leopardi, tra il desiderio di morte e l’amore per la vita.
La ragione per cui Porfirio ha maturato il proposito di togliersi la vita non è un male concreto e positivo (la mia inclinazione non procede da alcuna sciagura), ma è un’avversione profonda e violenta (veemente) alla vita (fastidio) che assomiglia al dolore, dalla consapevolezza razionale (conoscere) e sensoriale della vanità, cioè della mancanza di significato di tutto ciò che accade.
Si propone la lettura e l’analisi dell’ultima parte del dialogo
Plotino. Così è veramente, Porfirio mio. Ma con tutto questo, lascia ch’io ti consigli, ed anche sopporta che ti preghi, di porgere orecchie, intorno a questo tuo disegno, piuttosto alla natura che alla ragione. […]
Plotino riconosce che, dal punto di vista della ragione, gli argomenti di Porfirio a favore del suicidio sono incontestabili. Lo invita, però, a dare ascolto alla voce della natura, che, pur rendendo l’uomo infelice, continua a suscitare in lui illusioni, speranze, affetti che lo legano, nonostante tutto alla vita.
Sia ragionevole l’uccidersi; sia contro ragione l’accomodar l’animo alla vita: certamente quello è un atto fiero e inumano. E non dee piacer più, né vuolsi elegger piuttosto di essere secondo ragione un mostro, che secondo natura uomo.
Non è giusto preferire il suicidio, che è un comportamento razionale, ma disumano, a un comportamento “contro ragione” ma naturale e pienamente umano.
E perché anche non vorremo noi avere alcuna considerazione degli amici; dei congiunti di sangue; dei figliuoli, dei fratelli, dei genitori, della moglie; delle persone familiari e domestiche, colle quali siamo usati di vivere da gran tempo; che, morendo, bisogna lasciare per sempre: e non sentiremo in cuor nostro dolore alcuno di questa separazione; né terremo conto di quello che sentiranno essi, e per la perdita di persona cara o consueta, e per l’atrocità del caso? Io so bene che non dee l’animo del sapiente essere troppo molle; né lasciarsi vincere dalla pietà e dal cordoglio in guisa, che egli ne sia perturbato, che cada a terra, che ceda e che venga meno come vile, che si trascorra a lagrime smoderate, ad atti non degni della stabilità di colui che ha pieno e chiaro conoscimento della condizione umana. Ma questa fortezza d’animo si vuole usare in quegli accidenti tristi che vengono dalla fortuna, e che non si possono evitare; non abusarla in privarci spontaneamente, per sempre, della vista, del colloquio, della consuetudine dei nostri cari. Aver per nulla il dolore della disgiunzione e della perdita dei parenti, degl’intrinsechi, dei compagni, o non essere atto a sentire di sì fatta cosa dolore alcuno; non è di sapiente, ma di barbaro. Non far niuna stima di addolorare colla uccisione propria gli amici e i domestici; è di non curante d’altrui, e di troppo curante di se medesimo. E in vero, colui che si uccide da se stesso, non ha cura né pensiero alcuno degli altri; non cerca se non la utilità propria; si gitta, per così dire, dietro alle spalle i suoi prossimi, e tutto il genere umano: tanto che in questa azione del privarsi di vita, apparisce il più schietto, il più sordido, o certo il men bello e men liberale amore di se medesimo, che si trovi al mondo.
Nell’appassionata perorazione conclusiva Plotino fa appello ai sentimenti del suo discepolo, proponendogli un ideale di umanità e di saggezza che va oltre la freddezza della nuda ragione: la scelta del suicidio, incontestabile se limitata allo stretto ambito individuale, perde valore di fronte alle esigenze dell’amicizia e della solidarietà tra gli esseri umani. Infatti il non preoccuparsi della sofferenza provocata ai propri cari è tipico di chi non si cura degli altri e si cura troppo di se stesso.
In ultimo, Porfirio mio, le molestie e i mali della vita, benché molti e continui, pur quando, come in te oggi si verifica, non hanno luogo infortuni e calamità straordinarie, o dolori acerbi del corpo; non sono malagevoli da tollerare; massime ad uomo saggio e forte, come tu sei. E la vita è cosa di tanto piccolo rilievo, che l’uomo, in quanto a se, non dovrebbe esser molto sollecito né di ritenerla né di lasciarla. Perciò, senza voler ponderare la cosa troppo curiosamente; per ogni lieve causa che se gli offerisca di appigliarsi piuttosto a quella prima parte che a questa, non dovria ricusare di farlo. E pregatone da un amico, perché non avrebbe a compiacergliene? Ora io ti prego caramente, Porfirio mio, per la memoria degli anni che fin qui è durata l’amicizia nostra, lascia cotesto pensiero; non volere esser cagione di questo gran dolore agli amici tuoi buoni, che ti amano con tutta l’anima; a me, che non ho persona più cara, né compagnia più dolce. Vogli piuttosto aiutarci a sofferir la vita, che così, senza altro pensiero di noi, metterci in abbandono. Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve. E quando la morte verrà, allora non ci dorremo: e anche in quest’ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrerà il pensiero che, poi che saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora.
Gli argomenti di Porfirio non vengono in nulla sconfessati da Plotino, il quale, per convincere l’amico fa appello all’affettività e all’etica, cioè a «quel senso dell’animo», che va al di là e a volte contro la ragione, un senso grazie a cui l’uomo si riconosce legato agli altri da legami di amore e di compassione che non può infrangere o disattendere. La vita va dunque tollerata per amore degli altri, anche contro la ragione che mostra invece inequivocabilmente come essa meriti di essere infranta.
Secondo Plotino, dunque, le molestie e i mali della vita, anche se sono tanti e continui, non sono paragonabili a «infortuni e calamità straordinari» e possono dunque facilmente essere tollerati, specialmente da chi, come Porfirio, è saggio e forte. In secondo luogo la vita è «cosa di così tanto piccolo rilievo», cioè è insignificante che l’uomo non dovrebbe nemmeno porsi il problema di mantenerla o di abbandonarla. Perciò egli dovrebbe in ogni caso praticare la conservazione della sua vita piuttosto che rifiutarla.
Plotino, dunque, rappresenta il punto di vista della morale pragmatica: l’uomo saggio, pur non nascondendo a se stesso e agli altri i dolori connaturati alla condizione umana, ma anzi accettandoli con coraggio eroico , sa sopportare «una vita contro natura», costellata di sofferenze e priva di senso, per amore nei confronti degli altri.
La solidarietà umana (confortiamoci insieme) si fonda su un richiamo al sentimento, alla natura, contro le amare e fredde conclusioni della ragione. L’argomentazione di Plotino è sottolineata dal cambio di stile, infatti l’intonazione appassionata dell’esortazione di Porfirio è particolarmente avvertibile nell’ultimo paragrafo, quando il filosofo passa dall’argomentazione razionale e filosofica all’appello diretto e personale all’amico. Si noti come la struttura sintattica dell’ultimo capoverso imponga un proressivo mutamento del ritmo della lettura, passando dall’ampiezza dei periodi iniziali alla brevità delle frasi conclusive, spesso coordinate fra loro con la figura del polisindeto e intervallate dalle forti pause determinate dalla punteggiatura.