Eugenio Montale

La poetica della negatività in Ossi di seppia

Luca Pirola
7 min readApr 14, 2020

Eugenio Montale è uno dei massimi interpreti della crisi dell’uomo del Novecento, poiché nella sua ricerca poetica individua come primo elemento caratterizzante se stesso e tutta l’umanità la profonda solitudine di ciascuno, pur nella immersione costante nella socialità; altro carattere della modernità è la mancanza di certezze derivato dalla crisi di ogni valore tradizionale, senza che altre interpretazioni abbiano preso il loro posto nel dare senso alla vita, da questa idea deriva la concezione della vita come esperienza di dolore. La ricerca di senso è segnata dalla sofferenza per la sua inutilità, infatti Montale non trova una consolazione nella Fede, rimane aconfessionale pur desiderando fortemente di trovare un Dio che possa dare una lettura al caos della contemporaneità.

Nonostante la poesia sia per Montale un’indagine esistenziale, nel Ventennio il poeta si schiera esplicitamente contro i totalitarismi prima di tutto per uno sdegno morale, che non gli permette di accettare la violenza, l’ignoranza e la grettezza del regime, che lede la dignità dell’uomo; in secondo luogo per un innato sentimento di libertà, che a suo parere è insito nella natura umana.

La poetica

Montale concepisce la poesia come espressione del dolore del vivere, ma anche ricerca inappagata di verità e senso, nonché difesa della civiltà dalla barbarie del presente. Il poeta non può comprendere la realtà, ma può solamente registrare la situazione della condizione umana da un punto di vista lontano, tendenzialmente privo di emozioni per cercare di condurre un’analisi razionale. La parola poetica, infatti, è tanto più cristallina e significativa quanto più lo sguardo del poeta è distaccato e presbite; quanto più è vicino alla condizione di “divina indifferenza” che permette una visione distaccata e oggettiva. Proprio sulle cose si concentra l’attenzione di Montale, perché oggetti, situazioni ed eventi sono correlativi oggettivi dello stato d’animo del poeta. Ogni immagine descritta svela una verità nel caos indecifrabile del reale. L’intuizione non dà adito a una conoscenza strutturata, ma la vertià si rivela a tratti, è improvvisa e insperata come un miracolo. Montale scrive una poesia “delle cose”, la quale mira a rappresentare gli oggetti della realtà concreta, intesi come “correlativi oggettivi”, emblemi del destino dell’uomo e della sua condizione esistenziale; il linguaggio scabro e antiretorico nelle prime raccolte, diventa estremamente preciso in quelle successive, includendo termini rari e aulici.
Ogni termine è ponderato, studiato e intriso di un significato simbolico tanto che la concentrazione semantica del linguaggio, lo stile alto e le scelte lessicali stranianti (ottenute attraverso l’uso di termini arcaici, desueti o decontestualizzati) contribuiscono a comunicare una visione astratta e disincantata del mondo.
Lo stile elevato, colto, è ricco di rimandi ad altri autori e ad altre opere che hanno contribuito a formare la sensibilità di Montale, infatti è forte l’influsso della moderna poesia europea (simbolisti francesi, Eliot, Pound) e della tradizione letteraria italiana (Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi). le scelte metriche si ispirano alle forme tradizionali in modo allusivo, senza tuttavia ricalcarle fedelmente perché Montale adatta la tradizione al suo percorso personale. Percorso ch è soprattutto una ricerca interiore: la dimensione autobiografica della memoria si intreccia con tematiche di carattere generale, relative alla condizione umana e alla storia recente; particolare rilievo hanno le figure femminili, allegorie di valori etici ed estetici. Nella impossibilità di conoscere il mondo reale e il fine dell’esistenza, Montale trova nelle donne un supporto, un aiuto a cui si aggrappa, in quanto alla figura femminile è attribuito il ruolo salvifico di angelo o di guida nell’oscurità dell’esistenza individuale.

La visione della realtà, dunque, è caratterizzata da un radicale pessimismo che trae origine dal tramonto di ogni sicurezza metafisica: il mondo è senza senso e il dolore è insito nella condizione umana.

La negatività è la parola che definisce in modo più preciso la poesia di Montale, infatti la lirica parte dalla constatazione che il poeta vive in un mondo arido e disumano, perciò può esprimere solo “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, perché non esistono intuizioni improvvise o rivelazioni trascenti del reale. Di fronte a tale realtà il poeta, per interpretare la condizione dell’uomo, deve cercare modesti accenti che esprimano fatti di pena e di stento. Per questo lo stile delle sue poesie è lontano dal ritmo musicale dei decadenti, da cui si discosta anche per l’ammissione che la parola non può reinventare la realtà, quindi Montale sceglie un linguaggio quotidiano di parole umili, neologismi, forme dialettali, quasi a esprimere la fatica del poetare e del comunicare.

Dunque il tono antidillico e antimusicale corrisponde alla visione negativa della vita, tanto che la produzione lirica di Montale si esprime attraverso una poesia concreta, che pone al centro l’oggetto: muri, crepe, spacchi alludono alla sofferenza dell’uomo, diventando emblema della condizione umana, secondo il procedimento del correlativo oggettivo.

Ossi di seppia (1925)

Ossi di seppia è la prima raccolta con un marcato tono esistenzialista e filosoficamente negativo. Il titolo scelto dal poeta è espressione del sentimento di emarginazione ed aridità nel rapporto con la realtà che caratterizza la prima parte della sua opera poetica, difatti il paesaggio ligure diventa nudo e desolato come un osso di seppia. Il sole è una presenza costante che secca tutto ciò che raggiunge coi suoi raggi, e l’aspro paesaggio che l’occhio del poeta descrive è un trasparente simbolo di un suo profondo ed inestirpabile disagio esistenziale.
Montale, dunque, rinuncia a trattare argomenti e valori alti, perché non riesce più ad utilizzare la poesia per spiegare realmente la vita e il rapporto dell’uomo con se stesso.
La natura descritta nelle liriche di Ossi di seppia si caratterizza per l’assenza della vita umana, animale o vegetale che sia perché rappresenta l’incapacità dell’uomo di aderire ad un mondo senza significato; il nulla esistenziale è descritto in un paesaggio ligure pietroso e scalcinato, in cui il poeta si sofferma sulle “forme della vita che si sgretola”. La realtà stessa appare incomprensibile e inesprimibile, ed il poeta non può che mettere in evidenza questa percezione negativa del suo stare al mondo, che descrive attraverso una un paesaggio aspro e scabro, e un linguaggio poetico che si modella su questa profonda inquietudine personale. Infatti gli oggetti che compongono il paesaggio corrispondono a simboli di dolore. Solo di tanto in tanto intravediamo qualche guizzo di speranza, in cui sembra che, per un breve momento, l’uomo possa scoprire la verità ultima che si cela dietro le apparenze del mondo. Questo è rappresentato dal mare lontano, contemplato, ma risulta irraggiungibile. L’immagine esprime l’inappagabile ansia metafisica destinata a suscitare semplicemente un senso di vuoto. Dunque l’unica saggezza per l’uomo è l’indifferenza, l’unico conforto è il ricordo. Il male di vivere, tuttavia, non è superabile, perchè nell’aridità interiore del poeta solo la rinuncia alle emozioni (la “divina indifferenza”) può essere un rimedio al dolore e anche il ricordo è vano, perché non si può rivivere il passato.

Questi toni pessimistici e il connesso “male di vivere” montaliano si riflettono nello stile prevalente delle poesie di Ossi di seppia, scritte in un linguaggio antilirico e quotidiano, che privilegia un lessico non aulico, una sintassi tendenzialmente prosastica resa vivida da un’accurata ricerca fonico-simbolica sui termini prevalentemente usati.

Non chiederci la parola — analisi del testo

La lirica apre la seconda sezione di Ossi di seppia, in cui Montale esprime il suo disorientamento che causa la frammentazione della sua percezione della realtà. Tale sensazione investe non solo la realtà esterna, ma anche l’interiorità del poeta che ormai si definisce anima informe.

In questa lirica, Montale riflette sul ruolo del poeta, rifiutando il ruolo di guida della società. Egli, infatti, è un uomo come gli altri, che può osservare il mondo, senza la pretesa di dare risposte che diano una spiegazione definitiva. Si comprende bene che cosa significhi “poetica del negativo”: le uniche certezze che ha il poeta riguardano ciò che egli non è, come viene ripetuto costantemente in questa lirica. L’altro aspetto fondamentale della poetica montaliana sono gli oggetti: essi “riempiono” le poesie, portando con sé un significato nuovo, su cui occorre riflettere.

Schema rimico: tre quartine (schema ritmico ABBA CDDC EFEF)

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Sin dall’esordio, infatti, con il plurale negativo “Non chiederci”, si avverte un’aria di solennità; lo stesso uso del “noi” è insolito per Montale, che in genere esprime l’Io poetico alla prima persona singolare; qui, tuttavia il plurale vuole fare riferimento alla generazione di poeti a cui lo stesso autore appartiene, verso cui non si può nutrire l’aspettativa di una parola che restituisca una verità oggettiva in modo netto e solenne. Questa generazione non coglie tutto del proprio animo e, dunque, non riesce nemmeno ad esprimerlo.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Il poeta non evita la difficoltà del cammino di conoscenza della verità e guarda con un certo disprezzo (o una certa invidia) l’uomo superficiale che rinuncia a interrogarsi e assume atteggiamenti di infondata sicumera.

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Gli elementi naturali presenti nelle tre strofe (il croco nel polveroso prato, lo scalcinato muro, il ramo che definisce la forma secca e storta dei versi di Montale) mostrano un aspetto ostile ed estraneo della natura. Essi sono il correlativo oggettivo del male di vivere dell’uomo e sottolineano l’incomunicabilità tra uomo e paesaggio. Si registra, infatti, una rottura dolorosa tra l’uomo e la natura: l’esperienza di divisione diventa anche incapacità di conoscere e di comunicare.

Il poeta percepisce se stesso come un frammento espulso e separato dalla natura, privo di valore universale: la poesia, quindi, non è più in grado di cogliere l’essenza del mistero delle cose, così che si possa solo definire ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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