Federigo degli Alberighi
Decameron, quinta giornata, novella 9
Nella giornata dedicata agli amori felici, la novella di Federigo degli Alberighi, decreta non solo il coronamento del sogno di un innamorato ma anche il passaggio di un’epoca: l’uomo liberale e cortese, esponente di una tradizione in declino, dovrà trasformarsi in massaio.
Federigo degli Alberighi ama e non è amato, e in cortesia spendendo si consuma e rimangli un sol falcone, il quale, non avendo altro dà da mangiare alla sua donna venutagli a casa; la qual, ciò sappiendo, mutata d’animo, il prende per marito e fallo ricco.
Federigo ama Giovanna e spende tutto il proprio patrimonio per impressionarla
Dovete adunque sapere che Coppo di Borghese Domenichi, il quale fu nella nostra città, e forse ancora è, uomo di grande e di reverenda autorità né dì nostri, e per costumi e per vertù molto più che per nobiltà di sangue chiarissimo e degno d’eterna fama, essendo già d’anni peno, spesso volte delle cose passate co’ suoi vicini e con altri si dilettava di ragionare: la qual cosa egli meglio e con più ordine e con maggior memoria e ornato parlare che altro uomo seppe fare.
L’attribuzione della novella a un personaggio vivente (morì intorno al 1353), appartenente alla classe dirigente cittadina, serve a dare credibilità al racconto e a rafforzarne la cornice storica. A Coppo è attribuita la capacità di con più ordine e con maggior memoria e ornato parlare, ovverosia le qualità richieste al buon narratore: la buona organizzazione del racconto (ordine), l’esattezza nel resoconto degli eventi (memoria), l’accuratezza formale (ornato parlare).
Era usato di dire, tra l’altre sue belle cose, che in Firenze fu già un giovane chiamato Federigo di messer Filippo Alberighi, in opera d’arme e in cortesia pregiato sopra ogni altro donzel di Toscana. Il quale, sì come il più de’ gentili uomini avviene, d’una gentil donna chiamata monna Giovanna s’innamorò, né suoi tempi tenuta delle più belle donne e delle più leggiadre che in Firenze fossero; e acciò che egli l’amor di lei acquistar potesse, giostrava, armeggiava, faceva feste e donava, e il suo senza alcun ritegno spendeva; ma ella, non meno onesta che bella, niente di queste cose per lei fatte né di colui si curava che le faceva.
La novella ha uno spiccato valore esemplare, la cui efficacia è resa ancora più forte dall’ambientazione fiorentina, vicina nel tempo e nello spazio. Federigo degli Alberighi, membro di una delle famiglie aristocratiche più in vista di Firenze nell’epoca precedente a Boccaccio, incarna quegli ideali cortesi che lo inducono a donare e a spendere per omaggiare la donna di cui si è innamorato, ma questa, già sposata, è irremovibile. Ancora una volta Boccaccio propone la dottrina stilnovistica dell’amore: il sentimento nasce dalla nobiltà d’animo, senza essere necessariamente ricambiato (sì come il più de’ gentili uomini avviene, d’una gentil donna […] s’innamorò)
Spendendo adunque Federigo oltre a ogni suo potere molto e niente acquistando, sì come di leggiere adiviene, le ricchezze mancarono e esso rimase povero, senza altra cosa che un suo poderetto piccolo essergli rimasa, delle rendite del quale strettissimamente vivea, e oltre a questo un suo falcone de’ miglior del mondo. Per che, amando più che mai né parendo gli più potere essere cittadino come disiderava, a Campi, là dove il suo poderetto era, se n’andò a stare. Quivi, quando poteva uccellando e senza alcuna persona richiedere, pazientemente la sua povertà comportava.
La prima parte della novella — più breve — è dedicata al racconto del vano corteggiamento di Federigo, i suoi gesto e le sue scelte forniscono il paradigma delle virtù aristocratiche: egli infatti è in opera d’arme e in cortesia pregiato, si dedica alle giostre e alle feste (giostrava, armeggiava, faceva feste), esibisce magnificenza donando e spendendo senza alcun ritegno. Sull’altro fronte monna Giovanna, donna di rango, è lo specchio femminile di queste virtù, essendo presentata come non meno onesta che bella.
Lo spazio della prima parte è interamente cittadino e ad esso corrisponde la dimensione sociale e festiva in cui si consuma la prima fase della vita di Federigo, che precipita verso la rovina economica. La prima parte del racconto è caratterizzata dal donare smodato, che in nome della liberalità cortese conduce il protagonista alla bancarotta (essendo così Federigo divenuto allo stremo).
Ora avvenne un dì che, essendo così Federigo divenuto allo stremo, che il marito di monna Giovanna infermò, e veggendosi alla morte venire fece testamento, e essendo ricchissimo, in quello lasciò suo erede un suo figliuolo già grandicello e appresso questo, avendo molto amata monna Giovanna, lei, se avvenisse che il figliuolo senza erede legittimo morisse, suo erede substituì, e morissi.
La seconda parte, più lunga, è dedicata all’esilio di Federigo, ormai rovinato e costretto a ritirarsi in campagna, non potendo più essere cittadino come disiderava.
Il figlio di Giovanna si ammala e chiede il falcone di Federigo
Rimasa adunque vedova monna Giovanna, come usanza è delle nostre donne, l’anno di state con questo suo figliuolo se n’andava in contado a una sua possessione assai vicina a quella di Federigo. Per che avvenne che questo garzoncello s’incominciò a dimesticare con Federigo e a dilettarsi d’uccelli e di cani; e avendo veduto molte volte il falcon di Federigo volare e stranamente piacendogli, forte disiderava d’averlo ma pure non s’attentava di domandarlo, veggendolo a lui esser cotanto caro.
E così stando la cosa, avvenne che il garzoncello infermò: di che la madre dolorosa molto, come colei che più non n’avea e lui amava quanto più si poteva, tutto il dì standogli dintorno non restava di confortarlo e spesse volte il domandava se alcuna cosa era la quale egli disiderasse, pregandolo gliele dicesse, che per certo, se possibile fosse a avere, procaccerebbe come l’avesse.
Il giovanetto, udite molte volte queste proferte, disse:
- Madre mia, se voi fa che io abbia il falcone di Federigo, io mi credo prestamente guerire.
La donna, udendo questo, alquanto sopra sé stette e cominciò a pensar quello che far dovesse. Ella sapeva che Federigo lungamente l’aveva amata, né mai da lei una sola guatatura aveva avuta, per che ella diceva: — Come manderò io o andrò a domandargli questo falcone che è, per quel che io oda, il migliore che mai volasse e oltre a ciò il mantien nel mondo? E come sarò io sì sconoscente, che a un gentile uomo al quale niuno altro diletto è più rimaso, io questo gli voglia torre?
E in così fatto pensiero impacciata, come che ella fosse certissima d’averlo se ‘l domandasse, senza sapere che dover dire, non rispondeva al figliuolo ma si stava.
Giovanna è spinta dai tragici casi della vita ad avvicinare Federigo per chiedergli aiuto. La vedovanza e la malattia del figlio la inducono a rivolgersi al nobile innamorato di lei proprio nel momento in cui questi — ridotto ormai in povertà — non può più offrirle nulla.
Ultimamente tanto la vinse l’amor del figliuolo, che ella seco dispose, per contentarlo che che esser ne dovesse, di non mandare ma d’andare ella medesima per esso e di recargliele e risposegli:
- Figliuol mio, confortati e pensa di guerire di forza, ché io ti prometto che la prima cosa che io farò domattina, io andrò per esso e sì il ti recherò.
Di che il fanciullo lieto il dì medesimo mostrò alcun miglioramento.
Giovanna si reca da Federigo per chiedergli il falcone
La donna la mattina seguente, presa un’altra donna in compagnia, per modo di diporto se n’andò alla piccola casetta di Federigo e fecelo adimandare. Egli, per ciò che non era tempo, né era stato a quei dì, d’uccellare, era in un suo orto e faceva certi suoi lavorietti acconciare; il quale, udendo che monna Giovanna il domandava alla porta, maravigliandosi forte, lieto là corse.
Tutto nelle condizioni materiali del protagonista di contrappone alla prima parte della novella. A essere rovesciata non è solo la sua condizione economica, ma anche la sua condotta di vita, che si conforma adesso ai modi della campagna: la solitudine si sostituisce alla vita sociale, il lavoro alla festa (quando monna Giovanna si reca in visita lo trova in un suo orto a fare certi suoi lavoretti acconciare).
Nonostante il rovesciamento della sua condizione economica Federigo rimane un esempio di cortesia: pratica la caccia con il falcone (non era tempo […] d’uccellare), secondo un’abitudine aristocratica del tempo, è ancora capace d’intrattenersi in piacevoli ragionamenti e soprattutto di sacrificare quanto gli rimane di più caro per onorar d’alcuna cosa la gentil donna.
La quale vedendol venire, con una donnesca piacevolezza levataglisi incontrò, avendola già Federigo reverentemente salutata, disse:
- Bene stea Federigo! — e seguitò: — Io sono venuta a ristorarti de’ danni li quali tu hai già avuti per me amandomi più che stato non ti sarebbe bisogno: e il ristoro è cotale che io intendo con questa mia compagna insieme destinar teco dimesticamente stamane.
Alla qual Federigo umilmente rispose:
- Madonna, niun danno mi ricorda mai avere ricevuto per voi ma tanto di bene che, se io mai alcuna cosa valsi, per lo vostro valore e per l’amore che portato v’ho adivenne. E per certo questa vostra liberale venuta m’è troppo più cara che non sarebbe se da capo mi fosse dato da spendere quanto per adietro ho già speso, come che a povero oste siate venuta.
E così detto, vergognosamente dentro alla sua casa la ricevette e di quella nel suo giardino la condusse, e quivi non avendo a cui farle tenere compagnia a altrui, disse:
- Madonna, poi che altri non c’è, questa buona donna moglie di questo lavoratore vi terrà compagnia tanto che io vada a far metter la tavola.
Federigo decide di cucinare il falcone per onorare Giovanna
Egli, con tutto che la sua povertà fosse strema, non s’era ancor tanto avveduto quanto bisogno gli facea che egli avesse fuor d’ordine spese le sue ricchezze, ma questa mattina niuna cosa trovandosi di che potere onorar la donna, per amor della quale egli già infiniti uomini onorati avea, il fé ravedere.
L’espressione (il fé ravedere) al passato remoto indica l’improvviso risveglio della coscienza: solo ora Federigo si rende conto delle conseguenze del suo sentimento per Giovanna. Se la prende con la fortuna e cerca di rimediare come può.
E oltre modo angoscioso, seco stesso maledicendo la sua fortuna, come uomo che fuor di sé fosse or qua e or là trascorrendo, né denari né pegno trovandosi, essendo l’ora tarda e il disiderio grande di pure onorar d’alcuna cosa la gentil donna e non volendo, non che altrui, ma il lavorator suo stesso richiedere gli corse agli occhi il suo buon falcone, il quale nella sua saletta vide sopra la stanga per che, non avendo a che altro ricorrere, presolo e trovatolo grasso, pensò lui esser degna vivanda di cotal donna. E però, senza più pensare, tiratogli il collo, a una sua fanticella il fé prestamente, pelato e acconcio, mettere in uno schedone e arrostir diligentemente; e messa la tavola con tovaglie bianchissime, delle quali alcuna ancora avea, con lieto viso ritornò alla donna nel suo giardino e il desinare, che per lui far si potea, disse essere apparecchiato.
Laonde la donna con la sua compagna levatasi andarono a tavola e, senza saper che si mangiassero, insieme con Federigo, il quale con somma fede le serviva, mangiarono il buon falcone.
Nella seconda parte il dono si concretizza nel sacrificio del falcone, che testimonia il risvolto positivo dell’etica cortese: quegli stessi ideali che avevano portato Federigo alla povertà ora lo riscattano agli occhi di monn Giovanna, perché le rivelano un animo pronto a rinunciare all’unico bene rimastogli pur di accontentare l’amata.
Giovanna chiede a Federigo il falcone
E levate da tavola e alquanto con piacevoli ragionamenti con lui dimorate, parendo alla donna tempo di dire quello per che andata era, così benignamente verso Federigo cominciò a parlare:
- Federigo, ricordandoti tu della tua preterita vita e della mia onestà, la quale per avventura tu hai reputata durezza e crudeltà, io non dubito punto che tu non ti debbi maravigliare della mia presunzione sentendo quello per che principalmente qui venuta sono; ma se figliuoli avessi o avessi avuti, per li quali potessi conoscere di quanta forza sia l’amor che lor si porta, mi parrebbe esser certa che in parte m’avresti per iscusata.
Ma come che tu non n’abbia, io che n’ho uno, non posso però le leggi comuni d’altre madri fuggire; le cui forze seguir convenendomi, mi conviene, oltre al piacer mio e oltre a ogni convenevolezza e dovere, chiederti un dono il quale io so che sommamente t’è caro: e è ragione, per ciò che niuno altro diletto, niuno altro diporto, niuna consolazione lasciata t’ha la sua strema fortuna, e questo dono è il falcon tuo, del quale il fanciul mio è sì forte invaghito, che, se io non gliene porto, io temo che egli non aggravi tanto nella infermità la quale ha, che poi ne segua cosa per la quale io il perda. E per ciò ti priego, non per l’amore che tu mi porti, al quale tu di niente sé tenuto, ma per la tua nobiltà, la quale in usar cortesia s’è maggiore che in alcuno altro mostrata, che ti debba piacere di donarlomi, acciò che io per questo dono possa dire d’avere ritenuto in vita il mio figliuolo e per quello averloti sempre obligato.
Nei dialoghi tra Federigo e monna Giovanna si riflette la nobiltà dei due personaggi attraverso la nobiltà del linguaggio. In questo dialogo — che costituisce il punto di maggior tensione drammatica — i due protagonisti si scambiano battute costruite con una raffinata strategia retorica. Monna Giovanna deve vincere l’imbarazzo di chiedere a Federigo ciò che di più prezioso gli è rimasto, e lo fa ponderando bene le parole e gli argomenti, insistendo sulla propria onestà e sul dovere di madre, quindi si appella ala nobiltà di di cuore di Federigo.
Federigo si dispera per il fatto di non poterla accontentare
Federigo, udendo ciò che la donna adomandava e sentendo che servir non ne la potea per ciò che mangiar gliele avea dato, cominciò in presenza di lei a piagnere anzi che alcuna parola risponder potesse. Il quale pianto la donna prima credette che da dolore di dover da sé di partire il buon falcone divenisse più che d’altro, e quasi fu per dire che nol volesse; ma pur sostenutasi, aspettò dopo il pianto la risposta di Federigo, il qual così disse:
- Madonna poscia che a Dio piacque che io in voi ponessi il mio amore, in assai cose m’ho reputata la fortuna contraria e sonmi di lei doluto; ma tutte sono state leggieri a rispetto di quello che ella mi fa al presente, di che io mai pace con lei aver non debbo, pensando che voi qui alla mia povera casa venuta siete, dove, mentre che ricca fu, venir non degnaste, e da me un picciol don vogliate, e ella abbia sì fatto, che io donar nol vi possa: e perché questo esser non possa vi dirò brievemente.
Come io udii che voi, la vostra mercé, meco desinar volavate, avendo riguardo alla vostra eccellenzia e al vostro valore, reputai degna e convenevole cosa che con più cara vivanda secondo la mia possibilità io vi dovessi onorare, che con quelle che generalmente per l’altre persone s’usano: per che, ricordandomi del falcon che mi domandate e della sua bontà, degno cibo da voi il reputai, e questa mattina arrostito l’avete avuto in sul tagliere, il quale io per ottimamente allogato avea; ma vedendo ora che in altra maniera il disideravate, m’è sì gran duolo che servire non ve ne posso, che mai pace non me ne credo dare.
La risposta di Federigo è allo stesso livello retorico della richiesta di monna Giovanna: prima nega (anche contro l’evidenza) che l’amore per una nobile donna possa comportare un danno per l’amante (Madonna, niun danno mi ricorda ma i di aver ricevuto per voi); quindi, enuncia il principio cortese per cui l’amore per una donna gentile eleva l’amante (se io mai alcuna cosa valsi, per lo vostro valore e per l’amore che v’ho addivenne); si noti che, per rafforzare questa dichiarazione, egli ricorre alla rima tipicamente cortese tra valore e amore. Anche in estrema povertà il nobile, gentile e cortese Federigo non rinuncia al lessico e alla retorica del suo ideale di vita.
E questo detto, le penne e i piedi e ‘l becco le fe’in testimonianza di ciò gittare davanti. La qual cosa la donna vedendo e udendo, prima il biasimò d’aver per dar mangiare a una femina ucciso un tal falcone, e poi la grandezza dell’animo suo, la quale la povertà non avea potuto né potea rintuzzare, molto seco medesima commendò. Poi, rimasa fuori dalla speranza d’avere il falcone e per quello della salute del figliuolo entrata in forse, tutta malinconosa si dipartì e tornossi al figliuolo. Il quale, o per malinconia che il falcone aver non potea o per la ‘nfermità che pure a ciò il dovesse aver condotto, non trapassar molti giorni che egli con grandissimo dolor della madre di questa vita passò.
Giovanna decide di sposare Federigo
La quale, poi che piena di lagrime e d’amaritudine fu stata alquanto, essendo rimasa ricchissima e ancora giovane, più volte fu dà fratelli costretta a rimaritarsi. La quale, come che voluto non avesse, pur veggendosi infestare, ricordatasi del valore di Federigo e della sua magnificenzia ultima, cioè d’avere ucciso un così fatto falcone per onorarla, disse a’ fratelli:
- Io volentieri, quando vi piacesse, mi starei; ma se a voi pur piace che io marito prenda, per certo io non ne prenderò mai alcuno altro, se io non ho Federigo degli Alberighi.
Alla quale i fratelli, faccendosi beffe di lei, dissero:
- Sciocca, che è ciò che tu dì? come vuoi tu lui che non ha cosa al mondo?
A’quali ella rispose:
- Fratelli miei, io so bene che così è come voi dite, ma io voglio avanti uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno d’uomo.
La risposta di Giovanna è una sentenza di origine classica (la si attribuiva al greco Temistocle): la sua solennità basta a convincere i fratelli.
Li fratelli, udendo l’animo di lei e conoscendo Federigo da molto, quantunque povero fosse, sì come ella volle, lei con tutte le sue ricchezze gli donarono. Il quale così fatta donna e cui egli cotanto amata avea per moglie vedendosi, e oltre a ciò ricchissima, in letizia con lei, miglior massaio fatto, terminò gli anni suoi.
L’esito della novella è un lieto fine per l’amante devoto, che, pronto al sacrificio di ogni sua sostanza in nome dell’amore, ottiene da ultimo il risultato sperato. Il finale non segna però la rivincita della cortesia sulla legge commerciale dell’utile (rappresentata dai fratelli di Giovanna) come pure potrebbe sembrare. Il matrimonio con monna Giovanna, infatti, trasforma Federigo in un uomo diverso. Siamo di fronte a un’altra novella di formazione: le esperienze della vita e l’azione della fortuna costringono il protagonista a rivedere i suoi valori di riferimento, aggiornandoli a una relatà ormai lontana dalla cultura cortese, dalla quale può trarre — tuttavia — ancora qualche utile insegnamento.
Nella novella, infatti, si viene delineando una nuova etica a partire dall’incontro tra mondi diversi da apparire inconciliabili all’inizio: il mondo della largueza (termine provenzale che indica la generosità, spinta fino all’autolesionismo), e quello della mercatura, che si fonda su un’etica pragmatica, che attribuisce il massimo valore al denaro e al patrimonio, anche a rischio della grettezza.
la sintesi tra questi due orizzonti di valori, l’uno legato al passato, l’altro al presente, è resa possibile dalla scelta della donna. Monna Giovanna, infatti, rivendica la propria autonomia contro la logica dell’utile e contro icapricci della fortuna, che si fa continuamente beffe degli uomini.
Dopo un lungo e doloroso percorso Federigo a sua volta riuscirà a conciliare passato e presente e, senza rinunciare alla propria nobiltà d’animo, diventerà miglior massaro, cioè migliore amministratore dei suoi beni, temperando e correggendo in chiave “borghese” il rimpianto degli ideali aristocratici.