Francesco Guicciardini
il politico disilluso
Contemporaneo di Machiavelli, Francesco Guicciardini fu un celebre uomo politico e letterato della Firenze rinascimentale.
Guicciardini spesso è messo a confronto con Machiavelli, poiché i due intellettuali affrontano — a distanza di pochi anni — la questione della situazione politica dell’Italia, arrivando a conclusioni opposte. Infatti Guicciardini vive in prima persona — come ambasciatore papale — la decadenza politica dell’Italia: le invasioni, ormai inevitabili, mostrano come sia impossibile la realizzazione di uno Stato italiano, perciò rinuncia a ogni progetto politico “ideale”.
Il pensiero di Guicciardini si può sintetizzare nei seguenti snodi fondamentali: egli dimostra uno spiccato interesse per la pratica della politica piuttosto che a una costruzione ideale. Da questo approccio concreto deriva la sua attenzione al particulare, cioè all’interesse individuale, indicato come unico scopo dell’agire politico; per questo motivo Guicciardini evita ogni generalizzazione e sistematicità, in quanto non esistono regole generali. Egli conduce un’attenta analisi dei fatti storici, ma ritiene che sia impossibile arrivare a una sintesi che dia un significato all’agire umano. La politica. dunque, non è una scienza, ma un mestiere che deve essere svolto sempre con onestà e serietà, anche nelle circostanze sfavorevoli.
I ricordi civili e politici
Coerente con il suo pensiero Guicciardini non pubblica un trattato strutturato sulla politica, ma colleziona nei Ricordi civili e politici oltre 200 annotazioni, che raccolgono pensieri, aneddoti e massime tratti dalla sua diretta esperienza politica; di fatto l’opera — che manca di sistematicità — è una collezione di memoranda, di cose da ricordare e consigli da tenere presente nella conduzione della propria vita. I destinatari dei consigli sono i discendenti, poiché l’intento di Guicciardini si limita alla scrittura privata destinata ai discendenti, al fine di mantenere il rango e il patrimonio familiare. La scrittura dei Ricordi rappresenta la rinuncia a creare un sistema chiuso e organico: l’intellettuale è isolato, ritiene di non poter più influire sulla realtà.
Nei Ricordi Guicciardini espone la filosofia del particulare, sintesi di una morale utilitaria, frutto della pratica degli uomini e della politica e della consapevolezza della corruzione umana. Il politico, pertanto, deve ricercare l’interesse personale, che corrisponde alla ricchezza e al prestigio individuale. Per fare ciò occorre che le sue azioni non siano finalizzate a un obiettivo ideale, perché il politico deve sapere rifiutare ogni sapere assoluto nella certezza della relatività delle varie esperienze.
Le virtù del politico, dunque, sono la prudenza cioè la capacità di giudicare ogni situazione di per se stessa e la discrezione ovvero la capacità di distinguere un caso dall’altro. Nonostante ciò il politico deve essere cosceinte che egli non può fare nulla senza la buona fortuna perché la Fortuna regge i casi umani.
Scritti storici e politici
Per Guicciardini la variazione naturale delle cose del mondo (Ricordi, 33) è tanto rapida che può essere solo descritta e non ricondotta alla costante di regole universali, pertanto l’unica possibilità di conoscenza è la registrazione dell’esperienza e l’osservazione della realtà contemporanea. la sua opera di storico, dunque si concentra sulla storia locale (di Firenze) di un periodo ben preciso, di cui Guicciardini ha diretta conoscenza: le Storie fiorentine ricostruiscono i fatti storici dal tumulto dei Ciompi (1378) alla battaglia di Ghiaradadda (1509), basandosi su accurate ricerche d’archivio con una particolare attenzione ai fatti storici più che alla loro interpretazione.
Le riflessioni che Guicciardini ricava dallo studio delle vicende storiche affermano che la Storia non può insegnare nulla, perché è un processo verso il nuovo, dunque la comprensione della modernità è fine a se stessa, poiché non è contemplata alcuna visione idealistica della Storia: il passato non può perciò essere modello per comprendere il presente o per progettare il futuro, perché è un cammino verso l’imprevedibile.
Smentendo di fatto l’impostazione di Machiavelli, nel Dialogo sul reggimento di Firenze Guicciardini afferma che la politica si fonda sull’esperienza non sulla lezione degli antichi, concludendo che la migliore forma di governo è una fusione di monarchia, oligarchia e governo popolare, che trova giustificazione nell’aderenza alla realtà fattuale.
La storia d’Italia
Il più importante lavoro storico di Guicciardini è la Storia d’Italia, che tratta la storia della penisola dalla morte di Lorenzo de’ Medici (1490) alla morte di Clemente VII (1534). Guicciardini organizza gli eventi secondo la struttura della tragedia classica, partendo da una situazione di pace a armonia corrispondente alla discesa di Carlo VIII (1490–1494) alla disfatta finale dell’asservimento dell’Italia agli stranieri (1530–1534), passando attraverso l’inutile reazione degli Italiani alle invasioni straniere con la formazione della Lega Santa (1494–1511) e la rovina degli Stati italiani (1511–1530).
Fondando la sua ricostruzione storica considerando gli eventi militari e diplomatici, Guicciardini intende cercare un significato razionale entro il succedersi dei fatti. Le fonti sono individuate attraverso la ricerca d’archivio che permette di consultare documenti di cancelleria e relazioni di ambasciatori; con tale metodo Guicciardini evidenzia la scientificità della Storia perché pone la sua attenzione sulla realtà effettuale.
Tutta la narrazione degli eventi è permeata da profondo pessimismo, perché Guicciardini considera gli uomini esseri malvagi, che operano solo per egoismo. L’evoluzione storica dell’umanità, perciò, è dominata dall’individualismo e dagli interessi particolari.
L’originalità dell’impostazione storiografica di Guicciardini corrisponde alla sua attenzione alla particolarità di ogni fatto, senza perdere di vista l’unità dello svolgimento generale; Guicciardini per primo propone una concezione scientifica della storia, fondata sull’esperienza diretta e su fonti documentarie; infine Guicciardini considera la Storia opera dei grandi uomini, perché il corso degli eventi è opera della loro virtù, dalla loro sete di potere e di gloria.
La Storia, in ogni caso, è opera di eloquenza, infatti Guicciardini mantiene come modello la prosa ciceroniana per condurre la costruzione letteraria della ricostruzione dei fatti. Egli organizza i suoi paragrafi con una struttura ipotattica, che prevede la proposizione principale da cui si organizza il grappolo delle subordinate; inoltre egli usa sempre un lessico raffinato e preciso.
Le scelte stilistiche permettono di chiarire l’intreccio delle azioni e di dare un ordine razionale all’evoluzione casuale. In questo modo lo storico riproduce in un periodo la varietà delle circustanze.