Giovanni Verga e il Verismo
Il maestro del Verismo
Giovanni Verga (1840–1922) è un intellettuale catanese che arriva al Verismo — corrente letteraria di cui diventa il massimo esponente — attraverso il rifiuto della cultura borghese, giudicata “soddisfatta e opulenta, cieca di fronte ai reali problemi del Paese”. Di famiglia agiata, Verga si dedica alla scrittura, cimentandosi nella produzione di romanzi erotico- sentimentali, di stile tardo romantico. Le sue opere riscontrano un grande successo di pubblico, ma risultano di scarso valore letterario. Il romanzo più conosciuto è Storia di una capinera (pubblicato nel 1871) in cui si racconta della storia sentimentale di una giovane monaca, che racconta in forma epistolare la scoperta dell’amore sullo sfondo di un’epidemia di colera. Nonostante la poca originalità del romanzo, appaiono già degli elementi che Verga svilupperà nella sua produzione verista. Prima di tutto la trama si dipana intorno alla protagonista, che si esprime nelle lettere con uno stile letterario coerente con la sua estrazione sociale e culturale. Ben più importante il fatto che Verga presenta la vicenda come un documento umano: la storia è presentata come realmente accaduta perciò la realtà diventa un elemento fondamentale della produzione letteraria.
I temi dell’opera di Verga
Grazie ai suoi viaggi a Milano e Firenze e alle letture dei naturalisti francesi, Verga elabora una poetica nuova che esprime esplicitamente nella lettera a Salvatore Farina, prefazione al nuovo racconto L’amante di Gramigna.
Caro Farina, eccoti non un racconto ma l’abbozzo di un racconto. Esso almeno avrà il merito di esser brevissimo, di esser storico — un documento umano, come dicono oggi […]. Io te lo ripeterò così come l’ho raccolto pei viottoli dei campi, press’a poco colle medesime parole semplici e pittoriche della narrazione popolare, e tu veramente preferirai di trovarti faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo fra le linee del libro, attraverso la lente dello scrittore.
In queste righe introduttive Verga delinea i caratteri essenziali della sua riflessione poetica, infatti riprende l’idea di Flaubert secondo cui l’opera letteraria debba raggiungere la totale autonomia dai fatti privati e dai giudizi dell’autore, il quale deve risultare “assolutamente invisibile”.
Tale impostazione è frutto delle letture e degli incontri di Verga con il mondo intellettuale della metà del XIX secolo, suggestioni che lo scrittore trasferisce in intenti poetici. Pertanto come la teoria dell’evoluzionismo di Darwin concepisce la vita come una lotta individuale e di classe, secondo cui il progresso scaturisce dalla reciproca volontà di primeggiare sugli altri, Verga sostiene che il progresso si realizza a spese dei “vinti che levano le braccia disperate e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori di oggi … che saranno i sorpassati di domani”. Per verga, infatti, la vita umana è regolata dai bisogni materiali e dalla lotta per la sopravvivenza. Egli fa proprie le istanze del materialismo, come unica motivazione all’agire umano.
Tale analisi sociale è contestualizzata nell’ambiente meridionale, perché sostiene che l’ambiente determina la storia dell’uomo. Verga, di certo, è a conoscenza dei risultati dell’inchiesta in Sicilia di Franchetti e Sonnino che evidenziò la condizione di estrema arretratezza economico-sociale delle campagne dell’isola. Lo scrittore catanese, dunque, verifica i risultati dell’indagine nel territorio che conosce personalmente e constata il realizzarsi delle leggi economiche e di classe contro cui è inutile ribellarsi.Egli si sofferma sulla descrizione delle plebi meridionali e del mondo rurale siciliano, che conosce direttamente. la cultura contadina è caratterizzata dal rifiuto della novità, dalla sfiducia nelle possibilità dell’uomo, da un profondo fatalismo, che inducono a sviluppare una concezione pessimistica della vita, la quale considera il progresso una trasformazione compiuta a spese dei più deboli.
L’intellettuale non deve denunciare per migliorare una situazione, ma solo indagare sui rapporti deterministici della società. L’opera letteraria non ha una funzione sociale (come nel Naturalismo francese), ma solo il compito di registrare una realtà immutabile. Verga elabora una teoria che spiega questa conservazione dello status quo: la vita di ciascuno, per lui, è regolata dalla morale dell’ostrica descritta con le seguenti parole, pronunciata da una nobildonna di fronte alla condizione di miseria dei pescatori di Aci Trezza, in Fantasticheria, novella pubblicata nel 1879:
Proprio l’ideale dell’ostrica, e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo che quello di non esser nati ostriche anche noi. Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere mentre seminava principi di qua e duchesse di là, questa rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti, questa religione della famiglia che si riverbera sul mestiere di casa, e sui sassi che la circondano, mi sembrano cose serissime e rispettabilissime anch’esse.
In altre parole Verga sostiene che l’unico modo che ogni uomo ha per sopravvivere alla fiumana del progresso che travolge vinti e vincitori, poveri e ricchi, è la tenace conservazione della propria condizione, attaccandosi come ostriche allo scoglio dove sono nate. Se gli uomini dovessero cercare di migliorare la propria condizione, sarebbero destinati ad essere trascinati alla deriva e a perdere anche il poco che hanno. Verga progetta il Ciclo dei vinti per documentare i fallimenti di tutte le classi sociali.
Le tecniche narrative
Per raccontare i documenti umani che costituiscono le sue storie, Verga si rifà al principio dell’impersonalità dello scrittore derivato dal Naturalismo francese (in particolare si ispira a L’Assommoir di Zola). L’impersonalità è l’obiettivo primario del autore, perciò tutte le tecniche narrative utilizzate sono finalizzate a realizzarlo. L’eclissi totale del narratore è l’unica tecnica adeguata a raccontare la realtà storica e sociale, perché costringe a mettere in primo piano i fatti, i risultati dell’osservazione sociale e economica. L’autore deve attuare la completa regressione, rinunciando a esprimere il suo punto di vista e “regredendo” al livello dei personaggi. La narrazione, dunque, procede attraverso uno stile, una mentalità, delle espressioni e gusti coerenti con l’estrazione sociale dei personaggi stessi. Anche il lessico e la sintassi devono adeguarsi all’uso del mondo rappresentato, pur non cadendo nel dialetto (lingua realmente usata dalle plebi siciliane) perché Verga non vuole limitare il proprio pubblico a una ristretta cerchia di letterati locali né comprometter l’unità linguistica dell’opera.
Vita dei campi (1880)
La prima pubblicazione verista di verga è la raccolta di novelle Vita dei campi, che comprende 8 racconti tra cui i più importanti sono la lupa, cavalleria rusticana, fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso Mapelo, l’amante di Gramigna. Verga racconta le vicende di contadini, pastori, minatori, mostrando la società umana elementare in cui le leggi naturali di mostrano senza veli.
Verga celebra in questa raccolta la sacralità dei valori contadini, che esprimono principi elementari (famiglia, onore, giustizia) e proteggono i personaggi dai cambiamenti del progresso. Verga si concentra sulla descrizione del conflitto tra l’individuo, originariamente buono, e la società corruttrice a causa degli egoismi di coloro che cercano di superarsi. Il contadino “primitivo” di Verga si oppone a questa società, ma è sconfitto in partenza.
Nelle novelle il principio dell’impersonalità trova la prima realizzazione attraverso la rappresentazione obiettiva — ma partecipe — dei meccanismi che regolano la vita, delle lotte che essa impone e del destino di sconfitta che grava sui deboli. Le tecniche utilizzate servono a rendere il punto di vista della comunità paesana o di un personaggio, infatti ritroviamo l’uso inteso del discorso indiretto libero (discorso indiretto, cioè non introdotto dai verbi di dire o pensare) e del parlato filtrato o rivissuto (esposizione dei dialoghi senza distinzione tra le battute oppure discorsi riferiti a terze persone); oppure ricreano l’ambiente culturale dei personaggi per mezzo della sintassi zoomorfa (paragoni e metafore tratte dal mondo animale, dell’oggettività (che definisce la verità storica) e del lessico e sintassi semplificati in una lingua con forti elementi dialettali, in cui predomina la paratassi.
Il ciclo dei vinti
Il grande progetto letterario di Verga è il ciclo dei vinti, una serie di cinque romanzi in cui lo scrittore intende descrivere la sua concezione antropologica considerando tutte le classi sociali. nella prefazione ai Malavoglia (primo romanzo del ciclo) descrive il proprio progetto:
Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosìa dell’ignoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio.
Il movente dell’attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui l’uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad elevarsi, e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei Malavoglia non è ancora che la lotta pei bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro-don Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa de Leyra; e ambizione nell’Onorevole Scipioni, per arrivare all’Uomo di lusso, il quale riunisce tutte coteste bramosìe, tutte coteste vanità, tutte coteste ambizioni, per comprenderle e soffrirne, se le sente nel sangue, e ne è consunto.
Verga ha l’intenzione di descrivere l’insoddisfazione di ogni individuo per la propria condizione e il conseguente desiderio di miglioramento delle proprie condizioni materiali, ovviamente destinato all’insuccesso. Decide di iniziare la descrizione dalle classi più umili perché le pulsioni sono più elementari e facilmente riconoscibili, per poi passare all’analisi dell’ambizione del borghese, che si arricchisce (Mastro Don Gesualdo), alla vanità dell’aristocrazia (La duchessa di Leyra) , all’ambizione politica (L’onorevole Scipioni) e alla somma di tutte le passioni (L’uomo di lusso).
Verga non completerà mai il ciclo, fermandosi alla pubblicazione dei primi due romanzi. Non si conoscono i motivi dell’interruzione del progetto, ma alcuni critici ipotizzano problemi stilistici e linguistici. Secondo questa interpretazione Verga, carente di formazione classica e permeato di sicilianità, sarebbe riuscito a trasformare i suoi difetti in risorse nei romanzi in cui ha descritto una realtà fortemente regionale, ma si sarebbe trovato in difficoltà nell’ambientazione delle sue storie in contesti più colti e raffinati con cui non aveva dimestichezza.
I Malavoglia (1881)
I Malavoglia è il primo romanzo del ciclo dei vinti, che racconta la storia di una famiglia di pescatori di Aci Trezza che affronta le traversie dei cambiamenti economici e sociali nella Sicilia post-unitaria. La vicenda può sintetizzarsi come la storia della sconfitta di chi tenta di elevarsi dalla miseria.
Stilisticamente è un romanzo corale, perché protagonista dell’azione è l’intero paese di Aci Trezza, comunità che è anche voce narrante del romanzo.
Trama
nel 1864 i Toscano, detti Malavoglia, considerati benestanti perché sono padroni della “casa del nespolo” e di una barca da pesca, la “Provvidenza”, tentano di arricchirsi “alla ricerca del meglio” in un commercio di lupini. Cominciano le sventure: la barca naufraga, e nella disgrazia muore Bastianazzo, il capo famiglia, e si perde il carico comprato a credito. Rimangono i genitori anziani Maruzza, detta la “Longa”, e padron ‘Ntoni, con i loro nipoti ‘Ntoni, Luca, Alessi, Mena, Lia. Luca muore a Lissa, la “casa del nespolo” è presa dagli usurai; ‘Ntoni si dà al contrabbando e finisce in galera; Lia diventa una prostituta in città; Mena rimane zitella perché senza dote; Maruzza muore di colera e padron ‘Ntoni si spegne di fatiche e dolore all’ospedale. Solo Alessi riuscirà a sposarsi, riscattare la “casa del nespolo” e ricostruire il focolare domestico. Non è più come prima , perché ‘Ntoni, uscito di prigione, torna, ma non può restare, perché ha tradito le leggi dell’onore e della famiglia, unica difesa contro le offese della vita. Le vicende terminano nel 1876.
Il tema dei vinti è sviluppato in una dimensione collettiva, che coinvolge tutti i Siciliani, che sono vinti dai cambiamenti storici, perché l’unità nazionale ha portato solo nuove tasse e la leva obbligatoria, e nella dimensione privata dei
Malavoglia, che tentando di migliorare la propria condizione vanno incontro ad ogni sventura, perché cercano di rompere l’ordine prestabilito.
La miseria è condizione presente e futura dei personaggi, non c’è possibilità di progresso o di un futuro migliore. Questo concetto di Verga è accompagnato dall’amara constatazione della scomparsa della società patriarcale, che in qualche modo proteggeva l’individuo con la sua immobilità, sostituita dalla società borghese. Il cambiamento è vissuto come tragedia, sconfitta, perdita di valori, che sono incarnati dal personaggio di Padron ‘Ntoni, custode dei valori tradizionali e rappresentante di una morale fondata sui proverbi, espressione del buon senso popolare. Anche nella conservazione della condizione esistente, prevale il motivo economico che dà significato alla tradizione: “per menare il remo bisogna che le cinque dita si aiutino l’un l’altro”.
Stile
L’obiettivo dell’impersonalità narrativa è ottenuto attraverso un andamento rapsodico della narrazione: la trama non si sviluppa in modo lineare, ma per mezzo di una serie di episodi che costruiscono la vicenda. Lo scrittore non domina la narrazione, ma i personaggi stessi compongono la storia con il mosaico dei punti di vista di tutti gli abitanti di Aci Trezza.
Tutta la narrazione, inoltre, è realizzata con il discorso indiretto libero e la regressione, realizzate attraverso l’uso di un lessico popolare, l’inserimento di proverbi e di similitudini zoomorfe, l’uso scorretto del “che” relativo e la preferenza accordata alla paratassi, infatti la narrazione è composta da frasi brevi, e dal privilegio del carattere denotativo dei termini.
Le scelte linguistiche fanno esprimere i personaggi in un italiano parlato medio, Verga utilizza cioè la lingua nazionale con forti inflessioni e termini siciliani.
Novelle rusticane (1883)
La seconda raccolta di novelle di Verga, Novelle rusticane, rappresenta un’involuzione nel pensiero sociale dell’autore. I 12 racconti (tra i più conosciuti Libertà, La roba, Pane nero) evidenziano come le leggi dell’economia corrompono anche il mondo contadino e i suoi valori tradizionali: l’avidità travolge i popolani e li rende feroci; altrettanto feroce è la repressione che riporta l’ordine costituito. I valori di famiglia, comunità e solidarietà sono travolti dalla frenesia di arricchimento individuale. L’unico valore riconosciuto è la “roba”, la ricchezza materiale, che soppianta tutti valori tradizionali, ma non può sostituirli come collanteper la società.
Ancora è descritto il livello economico più basso: la lotta per la sopravvivenza è disumana per l’inutilità e la pericolosità delle rivolte dei poveri, ceto irresponsabile e inetto.
Le tecniche tradizionali di Verga sono inserite in una periodare ampio, grave e ricco, che si sviluppa in modo “sinfonico”, sottolineando la coralità dell’azione e la ineluttabilità del destino di ognuno nonostante i tentativi di miglioramento.
Mastro Don Gesualdo (1889)
Il secondo romanzo del ciclo dei vinti tratta della borghesia, narrando la storia della sconfitta di chi tenta di cambiare l’ordine economico e sociale. Gesualdo, infatti, è un capomastro che, arricchitosi sposa la figlia di un nobile, ma è disprezzato ed escluso dalla famiglia e dallasocietà. I temi principali del roamnzo sono la solitudine, l’individualismo e l’incomunicabilità.
Trama
Don Gesualdo Motta è un capomastro che “con le sue mani mangiate dalla calcina” si è costruito un patrimonio. La ricchezza lo spinge a cambiare il suo modo di vita: abbandona l’umile e fedele Diodata, per sposare Bianca Trao, fanciulla nobile ma povera. Il matrimonio è avvelenato dal disprezzo della moglie, che si crede superiore — ed è innamorata di un altro — e della figli Isabella, che non perdona al padre di aver abbandonato Diodata. Isabella, poi, sposa un nobile palermitano, che dissipa il patrimonio di don Gesualdo. I parenti di Gesualdo sono pieni di invidia per la sua ricchezza, anche se Gesualdo li aiuta finanziariamente; anche i parenti acquisiti lo disprezzano e cercano di accaparrarsi con l’inganno le sue ricchezze. Infine Bianca muore di tisi, che la piange tristemente, nonostante tutto; Gesualdo, sfribrato dalle amarezze e dalle avversità muore di tumore nel palazzo cittadino della figlia, tra il disprezzo dei servi che irridono le sue umili origini.
Il romanzo considera il rapporto tra individuo e società affrontando il tema della roba, l’avidità muove le azioni di ogni individuo, perciò disgrega ogni legame umano, ogni affetto familiare. Per questo motivo la comunità non tutela più gli individui, i singoli che si ritrovano soli di fronte alla propria sconfitta morale e materiale .
Inoltre sullo sfondo della tragedia relazionale di Gesualdo si compiono le vicende della repressione dei moti del 1820 e del 1848, durante i quali i contadini reclamano contro i baroni i diritti per lo sfruttamento delle terre comuni e i borghesi aspirano alla realizzazione di una monarchia costituzionale. Coerentemente con la concezione del determinismo storico di Verga, le rivolte falliscono, confermando l’inutilità dei tentativi umani di cambiare la propria situazione collettiva, oltre che individuale.
Le divisioni e le contraddizioni sociali, che il racconto fa emergere, rendono impossibile ogni progresso umano. La nobiltà, infatti, è descrita come una classe in piena e inarrestabile decadenza, arroccata in difesa dei suoi privilegi. La borghesia afferma il proprio potere economico, ma culturalmente dipende dalla nobiltà e non ha fiducia nel popolo da cui si è appena distaccata. Infine il popolo è opportunista e violento, senza valori umani, ma proteso solo al conseguimento immediato di beni materiali.
Lo stile narrativo del romanzo presenta delle novità rispetto alle opere precedenti: i periodi sono ampi, ma alternati ad altri secchi e brevi: tale scelta sintattica manifesta il febbrile affannarsi all’accumulo di ricchezze del protagonista e di tutti i suoi familiari.
Il linguaggio è più letterario, perché deve descrivere l’ambiente più colto della nobiltà.
Infine il discorso indiretto libero lascia il posto al monologo interiore, così da sottolineare la mancanza di comunicazione tra i personaggi. Con il medesimo effetto si assiste all’abbandono della coralità: il narratore assume punti di vista individuali dei vari personaggi.
La novità dell’opera di Verga
Rispetto al Naturalismo Verga presenta un mondo senza speranza , rigido, chiuso nella fatica del sopravvivere, abbandonando completamente la denuncia della narrativa sociale finalizzata al miglioramento sociale; inoltre Verga procedendo dal positivismo giunge a una concezione dell’esistenza come solitudine, chiusura sociale e infelicità, che anticipa molti temi del Decadentismo, invece il naturalismo denuncia le situazioni di degrado con la fiducia nel miglioramento della società.
Nel panorama della letteratura italiana contemporanea, Verga si discosta dalla descrizione della situazione dei ceti più poveri da una prospettiva di estraneità e con atteggiamento di condiscendenza (De Amicis). Inoltre propone una lingua popolare senza ricorrere al dialetto, quando la moda della lingua letteraria evidenziava il recupero dei toni lirici di Carducci e si stava affermando il culto della parola di D’Annunzio.