Giovanni Pascoli

Il triste poeta dell’infanzia

Luca Pirola
7 min readOct 7, 2020

Giovanni Pascoli (1855–1912) amava presentare se stesso come un uomo provato dalla sventura che, tuttavia, è stato capace di perdonare così da ricavare dalla sua esperienza una lezione morale di fratellanza, traducendola in una poesia di buoni sentimenti. In realtà Pascoli fu un poeta con molte sfaccettature, tanto che oggi si è più interessati a indagare nel suo lato oscuro, fatto di ipersensibilità, ossessioni espresse con una poesia innovativa dall’apparenza falsamente semplice e infantile.

La poetica del fanciullino

I temi principali della poesia di Pascoli sono la fuga dalla realtà e la concezione della poesia come strumento di conoscenza. Pascoli stesso delinea le caratteristiche della sua poesia nella prosa Il fanciullino, pubblicata nel 1897. Egli individua nell’infanzia l’età poetica per eccellenza, poiché afferma che in tutti gli uomini vi è un “fanciullino musico”, cioè un sentimento poetico che prima che si sviluppi il pensiero razionale fa sentire liberamente la sua voce interiore. In questa età tutte le esperienze hanno la caratteristica di scoperta del nuovo, infatti è tipico del fanciullino vedere “tutto con meraviglia, tutto come fosse la prima volta”; il fanciullino scopre la poesia nelle cose e nelle situazioni che gli stanno intorno, pertanto la poesia è un momento di conoscenza primigenia, libera da ogni influenza culturale o storica. La poesia, dunque non è logica e costruita dalla ragione, ma è pura intuizione, perché il fanciullino “scopre nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose” collega elementi apparentemente lontani attraverso relazioni emotive, intuitive, illogiche e irrazionali, ma proprio per questo nuove e meravigliose. Lo stupore e la meraviglia sono caratteristici dell’approccio del fanciullino alla realtà: egli “piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione”. Deriva da questo concetto la brevità delle poesie di Pascoli, che nascono dalle cose stesse e che il poeta semplicemente scopre e a cui dà un nome. Pascoli si chiede se il fanciullino “non è […] il nuovo Adamo che per primo mette i nomi alle cose?”. Il linguaggio del “primo Adamo” deve essere estremamente determinato, capace di definire le cose e di caratterizzarle in ogni loro particolare, il lessico stesso è espressione del sentimento di scoperta e deve essere necessariamente soggettivo ed evocativo, infatti “la poesia consiste nella visione di un particolare inavvertito, fuori e dentro di noi”. Pascoli, dunque, giudica il repertorio lessicale letterario ridotto, generico, non adeguato a esprimere la poetica della realtà. Egli introduce nella poesia termini specifici per animali, piante, attrezzi, parole d’uso comune che variano da regione a regione. Il lessico poetico si arricchisce attingendo a fonti dialettali e regionali.

La poesia non ha altra funzione che la poesia stessa, è pura e consolatoria perché il sentimento poetico fa sentire tutti fratelli, accomunati dalla stessa condizione umana; la forza morale e sociale della poesia consiste nel concepire il poeta come un “ispiratore di buoni e civili costumi, d’amor patrio e familiare e umano”, per precisando che “il poeta non deve farlo apposta” deve ascoltare la sua voce interiore, non diventare un predicatore. La coesione sociale, infatti, non è lo scopo della poesia, perché la poesia è pura “il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non istorico o maestro”. L’utilità della sua poesia diventa l’insegnare ad accettare la propria condizione, a preferire la conciliazione alla lotta.

Miti e ideologia pascoliani

Il tema fondamentale che Pascoli vuole celebrare nella sua poesia il nido, un mito simbolo che rappresenta il piccolo mondo ricco di affetti familiari, il luogo di origine della vita, l’infanzia idealizzata e felice prima della scoperta della crudele realtà del mondo esterno. Per ragioni biografiche Pascoli lega la memoria nostalgica dell’infanzia alla campagna padana, fatta di nebbia e siepi. La natura per Pascoli è un mondo chiuso, ricco di cose quotidiane che conferiscono ordine al caos dominante e violento. La poesia di Pascoli, perciò, si concentra sulle piccole cose che richiamano alla memoria il nido La poesia, quindi diventa oggettiva (nel senso degli oggetti) e realistica. Infatti i miti personali sono resi vivi attraverso l’osservazione stupita e commossa delle piccole cose della natura, delle cose quotidiane che il poeta reinventa per mezzo dell’intuizione. Le piccole cose, quindi, assumono un significato diverso che rimanda ad una “realtà diversa”. Ciò avviene grazie all’uso dell’analogia, che permette l’accostamento di immagini apparentemente lontane, creando così relazioni muove e inaspettate. L’analogia, dunque, ha valore conoscitivo perché esprime verità sul senso della vita dell’uomo.

Il lato oscuro

La semplicità della campagna, l’attenzione alle piccole cose quotidiane, il rimpianto del nido familiare nascondono una regressione all’infanzia. Il carattere tormentato e morboso di Pascoli determina una fuga dalla realtà che lo spaventa, determinando un atteggiamento di chiusura verso il mondo, non ricerca di un suo significato. Al di fuori del nido la realtà appare al poeta oscura e minacciosa, perché Pascoli aderendo alla visione materialista della natura si smarrisce in un angoscia profonda data dalla mancanza di senso del dolore e della sofferenza, che lui reputa intrinseche all’esperienza umana. Di fronte all’insensatezza del mondo Pascoli prova sgomento e angoscia, rientrando pienamente nella crisi generale dell’ottimismo positivista.

Nel mistero inconoscibile della realtà Pascoli individua due temi antitetici: eros e morte che ricorrono nelle sue liriche, nonostante la volontà di nasconderli. La natura appare come un ambiente che manda messaggi inquietanti e indecifrabili, che impediscono di spiegare la contraddizione tra piacere e dolore. L’eros e l’amore sono sempre legati alla morte e alla sofferenza per la loro fine o la loro mancanza; ciò è espresso chiaramente dalla presenza ossessiva dei propri familiari defunti, amati e temuti, che assediano continuamente l’immaginazione del poeta, lo assillano con il rimpianto della loro mancanza e lo chiamano a sè. Così il pensiero dei defunti si intreccia con il timore della propria morte, sentita come un rifugio dal mondo esterno, un ricongiungimento con i propri cari, un ritorno al “nido, ma anche con il timore di un annientamento totale.

Myricae (1890–1903)

Pascoli trae ispirazione per il titolo della sua prima raccolta di lirica Myricae dal verso virgiliano non omnes arbusta iuvant humilesque myricae (non a tutti piacciono i cespuglie e le umili tamerici), esprimendo con tale scelta una dichiarazione di una poesia dimessa, fatta di piccole cose semplici dell’ambiente della campagna. Pascoli immagina le sue liriche come quadretti di pochi versi, quasi impressionistici, costituiti da elementi definiti con esattezza e precisione, che egli descrive come “frulli d’uccelli, stormire di cipressi, lontano cantare di campane”.
I temi della raccolta sono l’infanzia, la campagna, il mistero della vita e della morte, la natura evocati da immagini tratte dalle vicende familiari, cariche di significati simbolici descrizioni che aprono al senso del mistero.

I canti di Castelvecchio (1903)

Il titolo richiama la produzione lirica leopardiana e il luogo dove le liriche sono state composte, a Castelvecchio presso Lucca. Pascoli prosegue la trattazione dei temi affrontati in Myricae, ma approfondisce la riflessione con sviluppi più ampi e complessi, che coinvolgono la memoria e i lutti familiari.
In questa raccolta il rapporto con i morti è connesso al dolore per la vita, l’angoscia e la morte descritta per mezzo di allucinazioni, del ricordo dei defunti, dell’ascolto dei richiami dall’aldilà.
Nei Canti di Castelvecchio si determina l’avvento del compenetrarsi tra simbolo e realtà reso anche dalle innovazioni del linguaggio, soprattutto dalle frequenti onomatopee e dai nuovi livelli semantici delle parole, influenzati dalla psicologica diretta.

Poemetti (1907)

La raccolta si suddivide in due pubblicazioni: i primi poemetti del 1904 e i nuovi poemetti del 1909. La poesia pascoliana subisce un’evoluzione culturale che la porta a tentare di creare un’epica rurale sul modello delle Georgiche di Virgilio, perciò il poeta si concentra sul mondo campestre e familiare e sulla piaga dell’emigrazione che rompe gli equilibri della società rurale e costringe ad abbandonare i luoghi dell’infanzia.
Per raggiungere tale scopo Pascoli sceglie il metro delle terzine dantesche, perché ritenute adatto a ricreare il ritmo degli esametri latini. Inoltre Pascoli scrive con un andamento narrativo, in cui ogni poema è un racconto costruito con immagini, suoni, impressioni che ruotano intorno ai personaggi.

Poemi conviviali (1904)

I poemi in endecasillabi sciolt rievocano i miti e le figure classiche, che sono presentate come simboli dell’infelicità della vita e del mistero dell’esistenza.
La misera condizione umana è universale, perché supera la distanza storica.

Le scelte stilistiche

La poesia nasce dalla suggestione di suoni, impressioni, ricordi. Per rendere questo concetto Pascoli elabora uno stile particolare, caratterizzato dalla ricerca di nuove forme e strutture.
Innanzitutto Pascoli pone molta attenzione al singolo particolare, evoca suoni, odori, colori che sono portati in primo piano e goduti per se stessi. il poeta dà risalto alla sensazione , in modo da variare la prospettiva tradizionale della poesia naturale con un effetto che permette di descrivere emozioni pure, evocate in modo allusivo attraverso improvvisi tremiti e sussulti.
Pascoli tende a rompere l’organizzazione ordinata dei pensieri riducendo al minimo la struttura sintattica; spezza il fluire logico del discorso con continui incisi, esclamazioni, domande, che creano frasi brevi e coordinate, spesso ridotte a frasi nominali o elenchi di immagini ed emozioni.
Pascoli compone questi periodi destrutturati con un lessico analogico, di grande espressività e inventiva, tanto da rendere impossibile la parafrasi per il potere evocativo di immagini e suoni. L’asindeto e il rifiuto della subordinazione potenziano l’effetto di creare un mondo instabile e mutevole, che sembra sempre sul punto di dissolversi.

Le tecniche utilizzate per ottenere questo stile particolare ed evanescente sono un lessico innovativo composto da termini del linguaggio specifico e settoriale per indicare piante, animali, lavori, e dal frequente uso di parole dialettali, umili, quotidiane.
L’attenzione maniacale al valore suggestivo dei suoni, espressa dalle allitterazioni, finalizzate a ricreare suoni particolari o sensazioni, dall’armonia imitativa dei rumori naturali delle onomatopee, rafforzate dalle frequenti rime interne.

L’analogia e la sinestesia diventano le figure retoriche che meglio esprimono le suggestioni pascoliane grazie alla capacità di accostamenti inusuali e arditi.

La sperimentazione nella metrica permette di introdurre un rinnovamento della tradizione: le nuove pause, date dai frequenti enjambements, che danno un ritmo franto al verso, gli accenti, la punteggiatura supportano il messaggio evocativo delle liriche.

Nascono da questo ricordo nostalgico le contrapposizioni tra città e campagna e tra maturità e infanzia; questa antitesi è l’espressione della malattia dell’individuo che non riesce a interagire con la realtà, perciò fugge e si rinchiude in un mondo intimo.

poesia dell ’infanzia, del della campagna

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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