I furori utili e i furori inutili

Il sentiero dei nidi di ragno, di Italo Calvino , capitolo 9

Luca Pirola
11 min readMar 16, 2020

L’interesse di Calvino per la realtà si concretizza nell’esigenza di inventare vicende e personaggi verosimili collocati in un contesto storico e sociale contemporaneo. Calvino — vicino alle prospettive del Neorealismo — vede in questo periodo la letteratura come uno strumento per agire sulla società. Da queste premesse deriva la scelta di raccontare una storia sulla Resistenza, perchè il tema accomuna l’esigenza di narrare una storia personale, un’esperienza vissuta in prima persona, alla volontà di proseguire la lotta per affermare gli ideali che avevano condotto lo scrittore a ribellarsi al nazifascismo. Inoltre, Calvino è consapevole che la guerra ha toccato tutti, perciò può parlare direttamente a un pubblico ampio.

Il sentiero dei nidi di ragno

L’esito delle riflessioni di Calvino è il romanzo Il sentiero dei nidi di ragno in cui affronta la storia partigiana con una prospettiva fiabesca, non diretta o celebrativa, ma reinventata attraverso gli occhi di un bambino. Il protagonista Pin, un monello genovese, si unisce a un gruppo di partigiani sbandati, politicamente inconsapevoli e di aspetto grottesco. Pin vive le vicende della lotta partigiana, ascolta i discorsi sul mondo che verrà senza comprenderne appieno il senso, perciò avvolge la narrazione — con focalizzazione interna — di un clima fiabesco e misterioso. La prospettiva interiore altera i fatti storici e le vicende vissute da Pin, quindi manca l’oggettività del racconto, tanto che si parla di psuedorealismo. Tale approccio segna la distanza dal populismo e dalla retorica celebrativa della Resistenza dandone un’immagine appassionata e antieroica.

La trama

Nella Riviera Ligure durante la resistenza, Pin, un ragazzino di 10 anni orfano di madre, ruba una pistola a un soldato tedesco cliente della sorella prostituta. Dopo averla nascosta in un luogo segreto, è catturato e imprigionato. Riuscendo a evadere si unisce a un gruppo di partigiani piuttosto bizzarri, dove conosce uomini dal carattere picaresco. La brigata si scioglie e Pin torna dalla sorella; cercando di recuperare la pistola, scopre che è sparita; probabilmente sottratta da un partigiano a cui aveva confidato il luogo del nascondiglio. Pin teme che il suo amico, traditore, possa usare la pistola per uccidere la sorella, colpevole di connivenza con i Tedeschi.

I furori utili e i furori inutili — analisi del testo

Il messaggi ideologico del romanzo è concentrato nel capitolo 9, dove due partigiani, Kim e Ferriera, discutono sulla violenza che sembra accomunare le due parti in lotta. Kim, entro il romanzo, è il portavoce dell’autore e punto di riferimento della brigata partigiana di cui Pin narra le avventure.

Ora il commissario Kim e il comandante Ferriera camminano soli per la montagna buia, diretti a un altro accampamento.
- Ti sei convinto che è uno sbaglio, Kim? — dice Ferriera.
Kim scuote il capo: — Non è uno sbaglio, — dice.
- Ma sì, — fa il comandante. — È stata un’idea sbagliata la tua, di fare un distaccamento tutto di uomini poco fidati, con un comandante mene fidato ancora. Vedi quello che rendono. Se li dividevamo un po’ qua un po’ là in mezzo ai buoni era più facile che rigassero dritti.
Kim continua a mordersi i baffi: — Per me, — dice, — questo è il distaccamento di cui sono più contento.

Il brano è una conversazione tra Kim, commissario politico, e Ferreira, comandante partigiano la sera prima di un’azione contro i fascisti. L’argomento non è la battaglia imminente, ma il senso della lotta partigiana; i due affrontano temi morali, quali la serietà, l’elevatezza della lotta per la libertà che forma le coscienze (Kim); contemporaneamente Ferriera isiste sul concetto di impegno e sulla concretezza della lotta.
Per Kim la guerra è un elemento unificante: operai, contadini, intellettuali ritrovano le ragioni della propria “patria”, quindi la lotta partigiana ridà dignità all’uomo. Queste tematiche sono approfondite perché la Brigata del Dritto, formata da borsaneristi, girovaghi, ladruncoli non hanno nessuna idealità e sono lo scarto di tutte le formazioni partigiane.  esperimento sociale per testare la validità della lotta partigiana come atto migliorativo dell’uomo.

Ci manca poco che Ferriera perda la sua calma: alza gli occhi freddi e si gratta la fronte:
- Ma Kim, quando la capirai che questa è una brigata d’assalto, non un laboratorio d’esperimenti? Capisco che avrai le tue soddisfazioni scientifiche a controllare le reazioni di questi uomini, tutti in ordine come li hai voluti mettere, proletariato da una parte, contadini dall’altra, poi sottoproletari come li chiami tu… Il lavoro politico che dovresti fare, mi sembra, sarebbe di metterli tutti mischiati e dare coscienza di classe a chi non l’ha e raggiungere questa benedetta unità… Senza contare il rendimento militare, poi…
Kim ha difficoltà a esprimersi, scuote il capo: — Storie, — dice, — storie. Gli uomini combattono tutti, c’è lo stesso furore in loro, cioè non lo stesso, ognuno ha il suo furore, ma ora combattono tutti insieme, tutti ugualmente, uniti. Poi c’è il Dritto, c’è Pelle… Tu non capisci quanto loro costi… Ebbene anche loro, lo stesso furore… Basta un nulla per salvarli o per perderli… Questo è il lavoro politico… Dare loro un senso…

Lo stile del dialogo semplice e lineare, infatti la scrittura di Calvino sceglie la rapidità e la precisione, usando frasi brevi, dialoghi in presa diretta, il discorso indiretto libero e le frequenti ripetizioni tipiche dell’oralità.
Il dialogo rispecchia il carattere dei personaggi: Ferriera è un operaio nato in montagna, “freddo e limpido”; che ascolta tutti, ma ha già nella mente ciò che deve fare. Per lui la guerra partigiana è una cosa perfetta come una macchina. Kim, al contrario, è uno studente, che fa il partigiano, ” dopo la sua melanconica infanzia di bambino ricco, dopo la sua scialba adolescenza di ragazzo timido,” ed è dotato di grandi capacità logiche e di analisi.

Quando discute con gli uomini, quando analizza la situazione, Kim è terribilmente chiaro, dialettico. Ma a parlargli cosi, a quattrocchi, per fargli esporre le sue idee, c’è da farsi venire le vertigini. Ferriera vede le cose più semplici: — Ben, diamoglielo questo senso, quadriamoli un po’ come dico io.
Kim si soffia nei baffi: — Questo non è un esercito, vedi, da dir loro: questo è il dovere. Non puoi parlar di dovere qui, non puoi parlare di ideali: patria, libertà, comunismo. Non ne vogliono sentir parlare di ideali, gli ideali son buoni tutti ad averli, anche dall’altra parte ne hanno di ideali. Vedi cosa succede quando quel cuoco estremista comincia le sue prediche? Gli gridano contro, lo prendono a botte. Non hanno bisogno di ideali, di miti, di evviva da gridare. Qui si combatte e si muore cosi, senza gridare evviva.
- E perché allora? — Ferriera sa perché combatte, tutto è perfettamente chiaro in lui.
- Vedi, — dice Kim, — a quest’ora i distaccamenti cominciano a salire verso le postazioni, in silenzio. Domani ci saranno dei morti, dei feriti. Loro lo sanno. Cosa li spinge a questa vita, cosa li spinge a combattere, dimmi? Vedi, ci sono i contadini, gli abitanti di queste montagne, per loro è già più facile. I tedeschi bruciano i paesi, portano via le mucche. È la prima guerra umana la loro, la difesa della patria, i contadini hanno una patria. Cosi li vedi con noialtri, vecchi e giovani, con i loro fucilacci e le cacciatore di fustagno, paesi interi che prendono le armi; noi difendiamo la loro patria, loro sono con noi. E la patria diventa un ideale sul serio per loro, li trascende, diventa la stessa cosa della lotta: loro sacrificano anche le case, anche le mucche pur di continuare a combattere. Per altri contadini invece la patria rimane una cosa egoistica: casa, mucche, raccolto. E per conservare tutto diventano spie, fascisti; interi paesi nostri nemici… Poi, gli operai. Gli operai hanno una loro storia di salari, di scioperi, di lavoro e lotta a gomito a gomito. Sono una classe, gli operai. Sanno che c’è del meglio nella vita e che si deve lottare per questo meglio. Hanno una patria anche loro, una patria ancora da conquistare, e combattono qui per conquistarla. Ci sono gli stabilimenti giù nelle città, che saranno loro; vedono già le scritte rosse sui capannoni e bandiere alzate sulle ciminiere. Ma non ci sono sentimentalismi, in loro. Capiscono la realtà e il modo di cambiarla. Poi c’è qualche intellettuale o studente, ma pochi, qua e là, con delle idee in testa, vaghe e spesso storte. Hanno una patria fatta di parole, o tutt’al più di qualche libro. Ma combattendo troveranno che le parole non hanno più nessun significato, e scopriranno nuove cose nella lotta degli uomini e combatteranno cosi senza farsi domande, finché non cercheranno delle nuove parole e ritroveranno le antiche, ma cambiate, con significati insospettati. Poi chi c’è ancora? Dei prigionieri stranieri, scappati dai campi di concentramento e venuti con noi; quelli combattono per una patria vera e propria, una patria lontana che vogliono raggiungere e che è patria appunto perché è lontana. Ma capisci che questa è tutta una lotta di simboli; che uno per uccidere un tedesco deve pensare non a quel tedesco ma a un altro, con un gioco di trasposizioni da slogare il cervello, in cui ogni cosa o persona diventa un’ombra cinese, un mito?

Kim conduce un’analisi critica verso la guerra partigiana, perché i partigiani del gruppo sono inaffidabili, non hanno fatto una scelta consapevole, perché non hanno ideali. Questo è un elemento dell’assenza di retorica, in quanto l’esperienza partigiana è narrata in modo antiretorico grazie all’assunzione del punto di vista infantile.

Ferriera arriccia la burba bionda; non vede nulla di tutto questo, lui. — Non è così — dice.
- Non è cosi, — continua Kim, — lo so anch’io. Non è cosi. Perché c’è qualcos’altro, comune a tutti, un furore. Il distaccamento del Dritto: ladruncoli, carabinieri, militi, borsaneristi, girovaghi. Gente che s’accomoda nelle piaghe della società, e s’arrangia in mezzo alle storture, che non ha niente da difendere è niente da cambiare. Oppure tarati fisicamente, o fissati, o fanatici. Un’idea rivoluzionaria in loro non può nascere, legati come sono alla ruota che li macina. Oppure nascerà storta, figlia della rabbia, dell’umiliazione, come negli sproloqui del cuoco estremista. Perché combattono, allora? Noia hanno nessuna patria, né vera né inventata. Eppure tu sai che c’è coraggio, che c’è furore anche in loto. È l’offesa della loro vita, il buio della loro strada, il sudicio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi. E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell’anima e ci si trova dall’altra parte, come Pelle, dalla brigata nera, a sparare con lo stesso furore, con lo stesso odio, contro gli uni o contro gli altri, fa lo stesso.
Ferriera mugola nella barba: — Quindi, lo spirito dei nostri… e quello della brigata nera… la stessa cosa?…

Lo snodo della discussione risiede nell’individuare la scelta giusta e quella sbagliata: i gesti e la violenza della lotta sono i medesimi da una parte e dall’altra, ma i partigiani sono dalla parte del cambiamento, del miglioramento; la loro lotta porta a un mondo migliore.

— La stessa cosa, intendi cosa voglio dire, la stessa cosa… — Kim s’è fermato e indica con un dito come se tenesse il segno leggendo; — la stessa cosa ma tutto il contrario. Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, là ci si ribadisce la catena. Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che gl’ava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere conia stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra è la parte dei gesti perduti; degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo.
Di Ferriera, nel buio, si vedono l’azzurro degli occhi e il biondo della barba: scuote il capo. Lui non conosce il furore: è preciso come un meccanico e pratico come un montanaro, la lotta è una macchina esatta per lui, una macchina di cui si sa il funzionamento e lo scopo.
- Pare impossibile, — dice, — pare impossibile che con tante balle in testa tu sappia fare il commissario come si deve e parlare agli uomini con tanta chiarezza.
A Kim non dispiace che Ferriera non capisca: agli uomini come Ferriera si deve parlare con termini esatti, « a, bi, ci » « deve dire, le cose sono sicure o sono «balle», non ci sono zone ambigue ed oscure per loro. Ma Kim non pensa questo perché si creda superiore a Ferriera: Il suo punto d’arrivo è poter ragionate come Ferriera, non aver altra realtà all’infuori di quella di Ferriera, tutto il resto non serve.
- Ben. Ti saluto -. Sono giunti a un bivio. Ora Ferriera andrà dal Gamba e Kim da Baleno. Devono ispezionare tutti i distaccamenti quella notte, prima della battaglia e bisogna che si separino.
Tutto il retto non serve. Kim cammina solo per i sentieri, con appesa alla spalla quell’arma smilza che sembra una stampella rotta: lo sten. Tutto il resto non serve. I tronchi nel buio hanno strane forme umane. L’uomo porte dentro in sé le sue paure bambine per tutta la vita. « Forse, — pensa Kim, — se non fossi commissario di brigata avrei paura. Arrivare a non aver più paura, questa è la meta ultima dell’uomo ».

Riflettendo sulle ragioni della lotta partigiana Kim analizza anche il distaccamento del Dritto, fatto ” di ladruncoli, carabinieri, militi, borsaneristi, girovaghi, gente che non ha nulla da difendere, nei quali non poteva nascere un’idea rivoluzionaria… Oppure, l’idea poteva nascere storta, per rabbia, per umiliazione…Non avevano nessuna patria nè vera nè inventata”, ma anche in loro c’era il furore”. La discussione ideologica si carica di sentimenti umani, e lo scrittore condensa in immagini creative l’eterno dilemma della vita. La riflessione di Kim si inserisce come un capitolo ideologico entro la narrazione immaginifica di Pin: l’ottica del bambino permette di descrivere i partigiani, soprattutto la brigata di sbandati del Dritto, sottolineando gli aspetti quotidiani, ma contemporaneamente di avvolgerli in una dimensione fiabesca e quasi mitica. D’altronde, Pin è un bambino che è catapultato dalla Storia in un mondo di adulti che non sempre riesce a comprendere. Da un alto si sente “grande”, ha la pistola (che è percepita come un giocattolo, rappresenta l’elemento fiabesco, perché la pistola è un oggetto magico; il bosco dove Pin fugge per nasconderla è il luogo in cui ci si perde), cammina da solo nel bosco di notte, dall’altro si rende conto della sua debolezza, lo smarrimento è improvviso e subitaneo. Questa dimensione di disorintamento è quella dell’uomo contemporaneo alla ricerca del senso delle azioni e degli eventi storici, come il Kim che riflette sulle ragioni della lotta.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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