I limoni
La speranza di una consolazione da parte della poesia
La lirica è un manifesto di poetica, in cui Montale prende le distanze dai poeti-vate, dai «poeti laureati» della tradizione, e in particolare dalla raffinata artificiosità di D’Annunzio, che amava citare nomi preziosi di piante ornamentali. A esse Montale contrappone gli alberi dei limoni, che crescono negli orti, e che così assurgono a oggetti-simbolo di una poesia che aspira alla semplicità. Nel contempo, i limoni evocano, con il loro gusto aspro, la durezza e le difficoltà del vivere e diventano il corrispettivo della concezione montaliana della vita come catena di eventi di cui non si individua l’ultimo segreto, ossia il “perché” dello stare al mondo.
Il tema fondamentale della lirica è il miracolo mancato: nelle prime tre strofe Montale descrive la preparazione del miracolo poiché nella 1^ rievoca il paesaggio ligure conosciuto nell’infanzia. (prosegue in corrispondenza delle altre strofe)
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantanoi ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Al paesaggio letterario e falso della recente tradizione poetica, soprattutto dannunziana) Montale dichiara di preferire un paesaggio concreto e quotidiano fatto di strade di campagna, pozzanghere, viuzze che conducono a orti dove crescono alberi di limoni. Per contrapporsi ai poeti laureati Montale sceglie uno stile che tende alla colloquialità , rivolgendosi direttamente all’interlocutore con l’apostrofe iniziale Ascoltami (v.1) e in seguito — nella2^ strofa — Vedi (v. 22) e introducendo forme tipiche del parlato come al v. 4 Io, per me, amo le strade. Montale, tuttavia, non rinuncia a espressioni rare come riescono agli (v.4) e impiega varie figure retoriche. La sintassi è infatti complicata dalle numerose anastrofi (vv. 6, e nelle strofe successive13 e 37), mentre risulta parecchio curato l’aspetto fonico con un uso insistito della rima, dell’assonanza e dell’allitterazione.
Il tema del miracolo mancato si sviluppa nella 2^ strofa attraverso l’odore dei limoni che sembra riportare il poeta al senso delle cose.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
La seconda strofa descrive il paesaggio estivo che fa da sfondo agli alberi di limone preferiti da Montale; nella rievocazione si allude già al potere “miracoloso” dei limoni che placa l’agitarsi delle passioni divertite che ci distraggono.
La pianta di limoni, e il profumo dei suoi frutti, costituisce perciò un simbolo con più significati: essa rappresenta una realtà concreta, lontana dalle favole dei “poeti laureati” (si sottolinea che l’odore dei limoni non sa staccarsi da terra (v.16). Eppure proprio in questa realtà quotidiana e povera si trova la ricchezza: l’abbandono delle passioni che distolgono l’individuo da sé e da ciò che ha valore. Il risultato non è una entusiastica fusione con la natura come in D’Annunzio, ma uno stato ambivalente di dolcezza inquieta (v.17).
Nella seconda strofa, e ancor più nella terza, linguaggio e stile si elevano progressivamente; l’andamento prosaico domina dunque soprattutto nella prima, con intento parodistico, anche se non è ancora qui del tutto assente. Permane tuttavia li tono discorsivo nel ritmo, dove a volte si hanno dissonanze più evidenti, come ai vv 14–20, fuori d’ogni misura consueta, ma sempre un andamento inteso a simulare un tono non elevato di discorso.
Il tema del miracolo mancato prosegue nella 3^strofa descrivendo il segreto della realtà, la quale si presenta come qualcosa di imprevisto e inaspettato.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
La 3^ strofa si concentra sull’attesa di una scoperta che ponga l’uomo nel mezzo della verità. per mezzo della poesia l’uomo si sforza di trovare il filo da disbrogliare, dallo sbaglio di natura (v. 26), dal punto morto del mondo (v. 27), da l’anello che non tiene (v. 27), che svelino il senso della propria esistenza. La Natura è percepita come un insieme di leggi ferree: la verità, cioè il senso delle cose, si rivela come qualcosa di imprevisto che sfugge a tali leggi.
Gli sforzi dei sensi e della mente (vv. 30–31) non riescono a cogliere l’ultimo segreto e le uniche Divinità, che potrebbero spiegare il significato dell’esistenza, appaiono per di più disturbate e mute: sono ombra di uomini che si allontanano.
Si attua in questi versi il completo capovolgimento di D’Annunzio, in cui l’individuo si fondeva entusiasticamente con la natura, assisteva all’apparizione di creature divine nei paesaggi, sentiva la propria stessa vita come divina. Qui la realtà è così com’è, senza trasfigurazioni, e il poeta non è più un vate.
La 4^ strofa conclude il tema del miracolo mancato con la negazione del miracolo stesso, infatti la rivelazione non si compie e “l’illusione manca”; si delinea poi un nuovo scenario desolante della città in inverno dove una nuova visione dei limoni dona sensazioni positive senza però rimandare a un significato ulteriore.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rurnorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara — amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
Il Ma avversativo che apre la strofa segna un cambiamento deciso: il miracolo non si compie. L’ambiente è invernale, urbano, si è immersi in un paesaggio desolante, e tuttavia il giallo dei limoni che si scorgono da un malchiuso portone (lo sbaglio di natura, l’anello che non tiene?) tornano a ricordare l’estate e il sole.
La sinestesia de le trombe d’oro della solarità unisce al suono squillante delle trombe (che quasi annunciano la rivelazione dei “limoni”) il colore splendente del sole, che si oppone alla triste stagione invernale e annuncia una possibilità di felicità per il poeta in mezzo ai tormenti del mondo.
La macchia di colore nel grigio cittadino sembra promettere il miracoloso rivelarsi della verità, e soddisfare l’anelito di felicità dell’uomo, ma l’illusione manca. I limoni diventano così il simbolo di una felicità incomprensibile: anche quando la loro presenza ritorna, nel grigiore della città invernale, la sensazione di solarità rimane fine a se stessa, senza rivelare nulla di ulteriore.
Il “male di vivere” (che qui il poeta percepisce, e che teorizzerà lucidamente anche in altri testi degli Ossi di seppia) è sempre in agguato: il paesaggio urbano della parte conclusiva de I limoni sembra infatti svilire ogni “illusione” (v. 37) di trovare una verità delle cose umane; eppure non viene meno un bagliore di speranza. Dal “malchiuso portone” (v. 43) che riconferma il ruolo fondamentale degli oggetti nella poetica montaliana potrebbe infatti uscire, un giorno, il colore solare del limoni, per offrire una nuova occasione di felicità solo provvisoria.