I principati nuovi che si acquistano con le armi proprie e la virtù
Machiavelli, Il principe, capitolo 6
Nel sesto capitolo del “Principe”, breve trattato politico scritto da Nicolò Machiavelli e diviso in 26 capitoli, l’autore pone la sua attenzione sui principati nuovi che si acquistano con armi proprie e con la virtù. Il principato nuovo è la tematica che sta più a cuore a Machiavelli, infatti lo scrittore delinea le caratteristiche di questo tipo di governo che può essere fondato e mantenuto solo da un principe che sia in grado di esercitare sia la virtù che la forza; Machiavelli sviscera l’argomento presentandoci alcuni esempi illustri.
De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquiruntur.
[De’ Principati nuovi che s’acquistano con l’arme proprie e virtuosamente]Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi e di principe e di stato, io addurrò grandissimi esempli; perché, camminando li uomini quasi sempre per le vie battute da altri, e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni, né si potendo le vie d’altri al tutto tenere, né alla virtù di quelli che tu imiti aggiugnere, debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi imitare, acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore: e fare come li arcieri prudenti, a’ quali parendo el loco dove disegnono ferire troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere, con lo aiuto di sí alta mira, pervenire al disegno loro.
Inizialmente egli introduce l’idea del principio di imitazione, secondo il suo ideale, infatti i comportamenti degli uomini non variano nel tempo ed afferma che gli uomini camminano “quasi sempre per le vie battute da altri”; in questo senso anche il principe deve seguire le orme dei grandi politici del passato.
La metafora dell’arciere è utilizzata da Machiavelli per affermare che un principe deve mirare in alto, poiché come l’arciere deve mirare più in alto del suo bersaglio se vuole centrarlo, così egli deve “temere” che i suoi obbiettivi siano sempre al di sopra delle sue capacità, e allora impegnarsi ad essere all’altezza di essi.
Dico adunque, che ne’ principati tutti nuovi, dove sia uno nuovo principe, si trova a mantenerli più o meno difficultà, secondo che più o meno è virtuoso colui che li acquista. E perché questo evento di diventare di privato principe, presuppone o virtù o fortuna, pare che l’una o l’altra di queste dua cose mitighi in parte di molte difficultà: non di manco, colui che è stato meno sulla fortuna, si è mantenuto più. Genera ancora facilità essere el principe constretto, per non avere altri stati, venire personaliter ad abitarvi. Ma, per venire a quelli che per propria virtù e non per fortuna sono diventati principi, dico che li più eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo e simili. E benché di Moisè non si debba ragionare, sendo suto uno mero esecutore delle cose che li erano ordinate da Dio, tamen debbe essere ammirato solum per quella grazia che lo faceva degno di parlare con Dio. Ma consideriamo Ciro e li altri che hanno acquistato o fondato regni: li troverrete tutti mirabili; e se si considerranno le azioni et ordini loro particulari, parranno non discrepanti da quelli di Moisè, che ebbe sí gran precettore.
Machiavelli introduce qui i concetti di Virtù e Fortuna, cui si aggiunge quello di “occasione”, che è il momento ideale per esercitare la virtù. L’unione tra questi tre fattori si traduce nella capacità di cogliere il momento favorevole, condizione indispensabile per ottenere il successo.
Come in tutta l’opera Machiavelli ricorre all’impostazione dilemmatica del discorso, che si esplica nell’uso costante della proposizione disgiuntiva: “o fortuna o virtù”, “o l’una o l’altra”, “o acquistato o fondato regni”.
Et esaminando le azioni e vita loro, non si vede che quelli avessino altro dalla fortuna che la occasione; la quale dette loro materia a potere introdurvi drento quella forma parse loro; e sanza quella occasione la virtù dello animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta invano. Era dunque necessario a Moisè trovare el populo d’Isdrael, in Egitto, stiavo et oppresso dalli Egizii, acciò che quelli, per uscire di servitù, si disponessino a seguirlo. Conveniva che Romulo non capissi in Alba, fussi stato esposto al nascere, a volere che diventassi re di Roma e fondatore di quella patria. Bisognava che Ciro trovassi e’ Persi malcontenti dello imperio de’ Medi, e li Medi molli et effeminati per la lunga pace. Non posseva Teseo dimonstrare la sua virtù, se non trovava li Ateniesi dispersi. Queste occasioni, per tanto, feciono questi uomini felici, e la eccellente virtù loro fece quella occasione esser conosciuta; donde la loro patria ne fu nobilitata e diventò felicissima.
Contemporaneamente Machiavelli enuncia la propria idea della Storia come archivio per interpretare — e prevedere — i comportamenti umani: il principe deve trarre profitto dalla lezione dei grandissimi esempi del passato. Infatti esiste una sostanziale uniformità della natura umana grazie alla quale gli esempi del passato sono imitabili e validi come guida delle azioni del presente. Per questo egli elenca alcuni uomini antichi da prendere come modelli: Mosè, il quale liberò gli ebrei dall’Egitto, Romolo, che fu il primo re di Roma, Ciro e Teseo. Questi uomini ricevettero dalla fortuna l’occasione di dimostrare e mettere in pratica la loro virtù, Mosè ad esempio ha ricevuto questa occasione dal fatto che il popolo d’Israele fosse prigioniero in Egitto, Ciro invece era riuscito a salire al potere solo perché la famiglia che lo aveva preceduto era odiata dal popolo; Teseo infine non avrebbe potuto dimostrare la sua virtù se i i popoli dell’Attica non si fossero riuniti ad Atene.
Quelli li quali per vie virtuose, simili a costoro, diventono principi, acquistono el principato con difficultà, ma con facilità lo tengano; e le difficultà che hanno nell’acquistare el principato, in parte nascono da’ nuovi ordini e modi che sono forzati introdurre per fondare lo stato loro e la loro securtà. E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura delli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità delli uomini; li quali non credano in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza. Donde nasce che qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quelli altri defendano tepidamente; in modo che insieme con loro si periclita. È necessario per tanto, volendo discorrere bene questa parte, esaminare se questi innovatori stiano per loro medesimi, o se dependano da altri; ciò è, se per condurre l’opera loro bisogna che preghino, ovvero possono forzare. Nel primo caso capitano sempre male, e non conducano cosa alcuna; ma, quando dependono da loro proprii e possano forzare, allora è che rare volte periclitano. Di qui nacque che tutt’i profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorono. Perché, oltre alle cose dette, la natura de’ populi è varia; et è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermarli in quella persuasione.
Machiavelli afferma che la più grande difficoltà che un principe affronta quando sale al potere è data dai nuovi ordinamenti che è costretto ad introdurre per dare delle solide fondamenta allo stato: egli infatti si ritrova come nemici tutti quelli che traevano vantaggio dal vecchio ordinamento che sarà difeso con accanimento; ed avrà come difensori tutti quelli che trarrebbero vantaggio dal nuovo ordinamento, ma lo appoggeranno con poca combattività.
E però conviene essere ordinato in modo, che, quando non credono più, si possa fare loro credere per forza. Moisè, Ciro, Teseo e Romulo non arebbono possuto fare osservare loro lungamente le loro constituzioni, se fussino stati disarmati; come ne’ nostri tempi intervenne a fra’ Girolamo Savonerola; il quale ruinò ne’ sua ordini nuovi, come la moltitudine cominciò a non crederli; e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano creduto, né a far credere e’ discredenti. Però questi tali hanno nel condursi gran difficultà, e tutti e’ loro periculi sono fra via, e conviene che con la virtù li superino; ma, superati che li hanno, e che cominciano ad essere in venerazione, avendo spenti quelli che di sua qualità li avevano invidia, rimangono potenti, securi, onorati, felici.
Dopo aver affermato che per mettere in opera le sue riforme, se è necessario, un principe debba usare la forza propria, oppure chiedendo aiuto ad altri; ad esempio Mosè, Ciro, Teseo e Romolo non avrebbero potuto far osservare a lungo le loro leggi ai popoli se non avessero usato la forza. Machiavelli utilizza l’esempio negativo di Savonarola, che andò in rovina perché non aveva utilizzato la forza per controllare la parte della popolazione che non credeva più in lui. Il principale errore di Savonarola fu — per Machiavelli — il non avere armi proprie con cui controllare e mantenere l’instabile consenso popolare nel momento in cui la sola forza di persuasione non fu più sufficiente. L’incitamento all’uso della violenza potrebbe sembrare negativo, ma Machiavelli afferma che il popolo dimentica rapidamente la violenza iniziale del principe ed inizia a venerarlo per le sue virtù.
A sí alti esempli io voglio aggiugnere uno esemplo minore; ma bene arà qualche proporzione con quelli; e voglio mi basti per tutti li altri simili; e questo è Ierone Siracusano. Costui, di privato diventò principe di Siracusa: né ancora lui conobbe altro dalla fortuna che la occasione; perché, sendo Siracusani oppressi, lo elessono per loro capitano; donde meritò d’essere fatto loro principe. E fu di tanta virtù, etiam in privata fortuna, che chi ne scrive, dice: quod nihil illi deerat ad regnandum praeter regnum. Costui spense la milizia vecchia, ordinò della nuova; lasciò le amicizie antiche, prese delle nuove; e, come ebbe amicizie e soldati che fussino sua, possé in su tale fondamento edificare ogni edifizio: tanto che lui durò assai fatica in acquistare, e poca in mantenere.
Nell’ultima parte del capitolo Machiavelli afferma che chi acquista potere con grande fatica avrà più facilità nel mantenerlo; se serve dell’esempio di Gerone Siracusano, il quali sconfisse i Mamertini che minacciavano Siracusa e divenne tiranno.
Un’ultima notazione stilistica è necessaria per sottolineare l’importanza delle formule di necessità e dei connettivi.
Era adunque necessario, Conveniva, Bisognava, Non poteva … se non rendono il discorso estremamente coeso. Machiavelli esclude ogni eccezione o dubbio, perché espone le sue argomentazioni come evidenti e in sé indiscutibili.
Parimenti fondamentali sono i connettivi, che via via introducono un passaggio nuovo del ragionamento, oppure lo rielaborano in altre parole: avversativi (nondimanco, ma, il latino tamen); conclusivi (però, dunque, dunque, pertanto, donde) esplicativi (cioè), causali (perché).