Il caffè
Il progetto editoriale di una rivista illuminista
Pietro Verri fu uno dei più attivi illuministi lombardi, tanto che raccolse intorno a sé una cerchia di giovani aristocratici, studiosi di legge e di economia, convinti della necessità di riformare la gestione dello Stato. Il suo gruppo formò nel 1761 l’Accademia dei Pugni, che deve il curioso nome all’animosità delle discussioni che vi si svolgevano.
Nel 1764 gli accademici iniziarono a pubblicare Il caffè, un periodico ispirato all’inglese The spectator, il cui scopo era divulgare le idee innovative dei giovani intellettuali. Il giornale inseriva in una cornice narrativa le discussioni accademiche, fingendo di riportare i discorsi scambiati dagli avventori di una bottega del caffè gestita da Demetrio, saggio e affidabile padrone di casa di origine greca. L’ambientazione in un Caffè deriva dal fatto che le botteghe di caffè erano al tempo un luogo di ritrovo culturale di uomini e di ceti diversi.
Il Caffè si proponeva la diffusione delle nuove idee dei philosophes francesi e inglesi (Locke e Montesquieu, gli enciclopedisti) in Italia.
Il testo che segue presenta le linee editoriali del periodico, infatti nel primo numero della rivista Il caffè, Pietro Verri spiega al lettore perché il giornale si chiama così e che cosa ci si potrà trovare. In questo articolo vengono presentati quali argomenti saranno trattati, con quale stile verranno scritti gli articoli e quale sarà il fine del giornale.
Cos’è questo “Caffè”? È un foglio di stampa, che si pubblicherà ogni dieci giorni. Cosa conterrà questo foglio di stampa? Cose varie, cose disparatissime, cose inedite, cose fatte da diversi autori, cose tutte dirette alla pubblica utilità. Va bene: ma con quale stile saranno scritti questi fogli?Con ogni stile, che non annoi.
L’incipit, un immaginario botta e risposta con il lettore, rivela come Verri intenda instaurare con il pubblico un rapporto libero e colloquiale.
Verri immagina di riportare le conversazioni che si tengono in un caffè milanese gestito dall’esule greco Demetrio; facendo tesoro dell’insegnamento del giornalismo anglosassone, l’autore promette l’adozione di uno stile vivace nella presentazione dei contenuti, fedele al motto della rivista: “Cose, non parole”.
Il tono colloquiale e schietto del linguaggio inoltre testimonia l’intenzione da parte dell’intellettuale illuminista di instaurare un rapporto nuovo con il lettore, e cioè un dialogo tra pari, aperto e cordiale, che unisce persone attive e intelligenti, aperte alle novità.
E sin a quando fate voi conto di continuare quest’opera? Insin a tanto che avranno spaccio. Se il pubblico si determina a leggerli, noi continueremo per un anno, e per più ancora, e in fine d’ogni anno dei trentasei fogli se ne farà un tomo di mole discreta: se poi il pubblico non li legge, la nostra fatica sarebbe inutile, perciò ci fermeremo anche al quarto, anche al terzo foglio di stampa.
La sopravvivenza della testata non è affidata alla generosità di un mecenate, ma dipende unicamente dalla risposta del pubblico. Lo scopo dichiarato del periodico è occuparsi di attualità, secondo un’idea pedagogica e al tempo stesso ricreativa di giornalismo.
Qual fine vi ha fatto nascere un tal progetto? Il fine d’una aggradevole occupazione per noi, il fine di far quel bene che possiamo alla nostra patria, il fine di spargere delle utili cognizioni fra i nostri cittadini, divertendoli, come già altrove fecero e Stele, e Swift, e Addison, e Pope ed altri. Ma perché chiamate questi fogli “Il Caffè”? Ve lo dirò ma andiamo a capo.
Nella seconda parte del brano viene narrata la vicenda di Demetrio, uomo di origine greca che lascia la sua terra per fuggire dalla situazione di schiavitù del suo paese e che, dopo aver viaggiato per tre anni in diverse città, si stabilisce in Italia. Nella città di Milano egli apre una caffetteria.
Un Greco originario di Citera, isoletta riposta fra la Morea e Candia, mal soffrendo l’avvilimento, e la schiavitù, in cui i greci tutti vengon tenuti dacché gli Ottomani hanno conquistata quella contrada, e conservando un animo antico malgrado l’educazione e gli esempi, son già tre anni che si risolvette d’abbandonare il suo paese: egli girò per diverse città commercianti, da noi dette le scale del Levante; egli vide le coste del Mar Rosso, e molto si trattenne in Mocha, dove cambiò parte delle sue merci in caffè del più squisito che dare si possa al mondo; indi prese il partito di stabilirsi in Italia, e da Livorno sen venne in Milano, dove son già tre mesi ha aperta una bottega addobbata con ricchezza ed eleganza somma.
Verri ci descrive perfettamente l’ambiente di tale bottega, partendo dall’atmosfera che essa offre fino a descrivere la stanza in cui «si trova sempre i fogli di novelle politiche» e ciò che le persone fanno al suo interno. Verri immagina infatti di riportare nel suo giornale le discussioni tenute nella caffetteria, luogo ricco di strumenti di informazione (giornali, atlanti) che la rendono un luogo di cultura.
In essa bottega primieramente si beve un caffè, che merita il nome veramente di caffè: caffè vero verissimo di Levante, e profumato col legno d’aloe che chiunque lo prova, quand’anche fosse l’uomo il più grave, l’uomo il più plumbeo della terra, bisogna che per necessità si risvegli, e almeno per una mezz’ora diventi uomo ragionevole. In essa bottega vi sono comodi sedili, vi si respira un’aria sempre tepida, e profumata che consola; la notte è illuminata, cosicché brilla in ogni parte l’iride negli specchi e ne’ cristalli sospesi intorno le pareti, e in mezzo alla bottega; in essa bottega, che vuol leggere, trova sempre i fogli di novelle politiche, e quei di Colonia, e quei di Sciaffusa, e quei di Lugano, e vari altri; in essa bottega, chi vuol leggere, trova per suo uso e il Giornale Enciclopedico, e l’Estratto della Letteratura Europea, e simili buone raccolte di novelle interessanti, le quali fanno che gli uomini che in prima erano romani, fiorentini, genovesi, o lombardi, ora sieno tutti presso a poco europei; in essa bottega v’è di più un buon atlante, che decide le questioni che nascono nelle nuove politiche; in essa bottega per fine si radunano alcuni uomini, altri ragionevoli, altri irragionevoli, si discorre, si parla, si scherza, si sta sul serio;
La particolarità del “Caffè” è che concettualmente nasce, da un lato come rivista periodica e dall’altro come progetto unitario. I fogli vengono infatti pubblicati ogni dieci giorni, ma è fin da principio intenzione degli autori rilegarli a fine anno in un unico tomo. Per perseguire questo obbiettivo sono necessarie delle strategie narrative che permettono di legare tra loro gli articoli. Gli autori del Caffè ricorrono al mezzo della cornice, rappresentata dalla bottega del caffè che diventa il luogo-centro in cui affluiscono tutte le notizie e tutte le idee.
ed io, che per naturale inclinazione parlo poco, mi son compiaciuto di registrare tutte le scene interessanti che vi vedo accadere, e tutti i discorsi che vi ascolto degni da registrarsi; e siccome mi trovo d’averne già messi in ordine vari, così li do alle stampe col titolo Il Caffè, poiché appunto son nati in una bottega di Caffè.
La cornice, inoltre, permette agli autori, in particolare a Pietro Verri, attraverso le lettere fittizie dei lettori di introdurre e affrontare temi di natura diversa.
Altro elemento interessante di quest’ultima descrizione è rappresentato dall’emergere di un “io” che afferma di limitarsi alla registrazione delle discussioni che avvengono nella bottega, senza partecipare attivamente a esse. Questa voce appartiene a Pietro Verri che, come vedremo in seguito, si incarica di introdurre e di commentare molti dei testi pubblicati nel periodo 1764–1765.
(…) Si trovavano nel caffè un negoziante, un giovane studente di filosofia, ed uno dei mille e duecento curiali, che vivono nel nostro paese; io stava tranquillamente ascoltandoli, non contribuendo con nulla del mio alla loro conversazione. “Il caffè è una buona bevanda”, diceva il negoziante, “io lo faccio venire dalla parte di Venezia, lo pago cinquanta soldi la libbra, né mi discosterò mai dal mio corrispondente, altre volte lo faceva venir da Livorno, ma v’era diversità almen d’un soldo per libbra”. “V’é nel caffè”, soggiunse il giovane, “una virtù risvegliativa degli spiriti animati, come nell’oppio v’è la virtù assoporativa e dormitiva”. “Gran fatto”, replicò il curiale, “che quel legume del caffè, quella fava ci debba venire sino da Costantinopoli!”.
Il personaggio di Demetrio è, infine, descritto come uomo equilibrato e intelligente, simbolo ideale di filosofo settecentesco. Questi tre personaggi assumono un valore simbolico. Demetrio è un uomo di origine orientale che aspira alla libertà e al cosmopolitismo e ha lasciato la propria patria che è sottoposta al dispotismo ottomano, il curiale, è l’esponente di quella maggioranza di piccoli intellettuali conformisti e opportunisti che rappresenta il lato negativo dell’Illuminismo, lo studente di filosofia è il modello del giovane uomo che frequenta “la bottega del caffè”, alla ricerca di uno svago rilassante e istruttivo.
Sulle pagine del Caffè intervengono gli illuministi milanesi con articoli che trattano di agricoltura, arti, commercio, politica, fisica, storia naturale, argomenti vivi e attuali, l’obbiettivo è quello di superare le tradizioni e i pregiudizi e dare vita a una cultura cosmopolita e moderna. Il giornale cessò di essere pubblicato nel 1766, anno in cui ebbe termine anche l’Accademia dei Pugni.