Il funerale mancato

Italo Svevo, La coscienza di Zeno, capitolo 7

Luca Pirola
10 min readNov 25, 2021
Edvard Munch, Sera su via Karl Johann, 1892

Zeno Cosini, il protagonista della Coscienza di Zeno, ha assistito con il suo quotidiano lavoro, ma senza mettere a disposizione i suoi capitali, il cognato Guido, che ha aperto un’impresa commerciale. Guido ha cominciato a giocare in borsa di nascosto e a perdere molti soldi, al punto di decidere di inscenare un finto suicidio per persuadere sua moglie a dargli altri soldi da giocare.

A causa di un ritardo nei soccorsi, però, Guido muore davvero e Zeno si trova nella posizione di voler rimediare al disastro economico provocato dal cognato. Lo fa giocando in borsa come il cognato, assistito dallo stesso agente di borsa, l’ambiguo Nilini. Il successo arride a Zeno che recupera gran parte della perdita. Peccato, però, che preso com’è dal gioco, si dimentica di intervenire al funerale di Guido con gravi conseguenze sui suoi rapporti familiari…

Così s’iniziarono per me le cinquanta ore di massimo lavoro cui abbia atteso in tutta la mia vita. Dapprima e fino a sera restai a misurare a grandi passi su e giù l’ufficio in attesa di sentire se i miei ordini fossero stati eseguiti. Io temevo che alla Borsa si fosse risaputo del suicidio di Guido e che il suo nome non venisse più ritenuto buono per impegni ulteriori. Invece per varii giorni non si attribuì quella morte a suicidio.

Zeno rielabora il lutto per la morte del cognato prendendo il suo posto nelle speculazioni di Borsa che lo hanno portato alla rovina. Desiderava farlo da tempo, ma aspetta che la proposta gli venga dall’agente di borsa di cui si avvaleva Guido, il Nilini.

Poi, quando il Nilini finalmente poté avvisarmi che tutti i miei ordini erano stati eseguiti, incominciò per me una vera agitazione, aumentata dal fatto che al momento di ricevere gli stabiliti, fui informato che su tutti io perdevo già qualche frazione abbastanza importante. Ricordo quell’agitazione come un vero e proprio lavoro. Ho la curiosa sensazione nel mio ricordo che ininterrottamente, per cinquanta ore, io fossi rimasto assiso al tavolo da giuoco succhiellando le carte. Io non conosco nessuno che per tante ore abbia saputo resistere ad una fatica simile. Ogni movimento di prezzo fu da me registrato, sorvegliato, eppoi (perché non dirlo?) ora spinto innanzi ed ora trattenuto, come a me, ossia al mio povero amico, conveniva. Persino le mie notti furono insonni.

La Borsa è una vera fonte di felicità per Zeno che non solo si scopre bravo, ma riesce anche a recuperare in gran parte i soldi persi dal cognato defunto. Zeno, credendosi malato e sentendosi sempre in competizione con Guido senza avere la possibilità di vincere (Guido è attraente, brillante, marito della bella Ada ecc.), non aveva mai preso in considerazione l’idea di lavorare. Eppure il lavoro è la sua salvezza.

Temendo che qualcuno della famiglia avesse potuto intervenire ad impedirmi l’opera di salvataggio cui m’ero accinto, non parlai a nessuno della liquidazione di metà del mese quando giunse. Pagai tutto io, perché nessun altro si ricordò di quegli impegni, visto che tutti erano intorno al cadavere che attendeva la tumulazione. Del resto, in quella liquidazione era da pagare meno di quanto fosse stato stabilito a suo tempo, perché la fortuna m’aveva subito assecondato. Era tale il mio dolore per la morte di Guido, che mi pareva di attenuarlo compromettendomi in tutti i modi tanto con la mia firma che con l’esposizione del mio danaro. Fin qui m’accompagnava il sogno di bontà che avevo fatto lungo tempo prima accanto a lui. Soffersi tanto di quell’agitazione, che non giuocai mai più in Borsa per conto mio.

Zeno dice di aver voluto giocare in borsa per onorare la memoria dell’amico e aiutarlo dopo la morte ma in realtà quando dice questo non è credibile: Zeno lavora per sé, per dimostrare qualcosa a sé e qualcosa di sé agli altri. In queste azioni non c’è posto per Guido, come testimonia il fatto che Zeno riesce persino a perdere il suo funerale.

Ma a forza di «succhiellare» (questa era la mia occupazione precipua) finii col non intervenire al funerale di Guido. La cosa avvenne così. Proprio quel giorno i valori in cui eravamo impegnati fecero un balzo in alto. Il Nilini ed io passammo il nostro tempo a fare il calcolo di quanto avessimo ricuperato della perdita. Il patrimonio del vecchio Speier figurava ora solamente dimezzato! Un magnifico risultato che mi riempiva di orgoglio. Avveniva proprio quello che il Nilini aveva preveduto in tono molto dubitativo bensì ma che ora, naturalmente, quando ripeteva le parole dette, spariva ed egli si presentava quale un sicuro profeta. Secondo me egli aveva previsto questo e anche il contrario. Non avrebbe fallato mai, ma non glielo dissi perché a me conveniva ch’egli restasse nell’affare con la sua ambizione. Anche il suo desiderio poteva influire sui prezzi.
Partimmo dall’ufficio alle tre e corremmo perché allora ricordammo che il funerale doveva aver luogo alle due e tre quarti.

Zeno non ha nessuna voglia di andare al funerale di Guido. Lo si capisce fin dall’inizio. Si accinge a raggiungere il corteo in ritardo, non si dà per niente pensiero del morto durante il tragitto in carrozza e anzi il suo chiodo fisso è soltanto la Borsa.

La scrittura di Svevo è caratterizzata da una sintassi semplice e immediata e dall’apertura al lessico specialistico di discipline e attività umane lontane dalla letteratura: il lessico della psicanalisi, della Borsa e del mondo finanziario. Questi aspetti che oggi consideriamo innovativi non furono percepiti positivamente all’inizio del Novecento. Termini come azioni, stabiliti, movimento di prezzo, valori, corsi di chiusa ecc. sono tutti tratti dal campo semantico del gioco di Borsa e rivelano la natura non strettamente letteraria della formazione dell’autore e, di riflesso, della sua opera.

All’altezza dei volti di Chiozza, vidi in lontananza il convoglio e mi parve persino di riconoscere la carrozza di un amico mandata al funerale per Ada. Saltai col Nilini in una vettura di piazza, dando ordine al cocchiere di seguire il funerale. E in quella vettura il Nilini ed io continuammo a succhiellare. Eravamo tanto lontani dal pensiero al povero defunto che ci lagnavamo dell’andatura lenta della vettura. Chissà quello che intanto avveniva alla Borsa non sorvegliata da noi? Il Nilini, a un dato momento, mi guardò proprio con gli occhi e mi domandò perché non facessi alla Borsa qualche cosa per conto mio.
– Per il momento — dissi io, e non so perché arrossissi, — io non lavoro che per conto del mio povero amico.
Quindi, dopo una lieve esitazione, aggiunsi:
– Poi penserò a me stesso. — Volevo lasciargli la speranza di poter indurmi al giuoco sempre nello sforzo di conservarmelo interamente amico. Ma fra me e me formulai proprio le parole che non osavo dirgli: «Non mi metterò mai in mano tua!» Egli si mise a predicare.
– Chissà se si può cogliere un’altra simile occasione! — Dimenticava d’avermi insegnato che alla Borsa v’era l’occasione ad ogni ora.
Quando si arrivò al posto dove di solito le vetture si fermano, il Nilini sporse la testa dalla finestra e diede un grido di sorpresa. La vettura continuava a procedere dietro al funerale che s’avviava al cimitero greco.
– Il signor Guido era greco? — domandò sorpreso.
Infatti il funerale passava oltre al cimitero cattolico e s’avviava a qualche altro cimitero, giudaico, greco, protestante o serbo.
– Può essere che sia stato protestante! — dissi io dapprima, ma subito mi ricordai d’aver assistito al suo matrimonio nella chiesa cattolica.
– Dev’essere un errore! — esclamai pensando dapprima che volessero seppellirlo fuori di posto.
Il Nilini improvvisamente scoppiò a ridere di un riso irrefrenabile che lo gettò privo di forze in fondo alla vettura con la sua boccaccia spalancata nella piccola faccia.
– Ci siamo sbagliati! — esclamò. Quando arrivò a frenare lo scoppio della sua ilarità, mi colmò di rimproveri. Io avrei dovuto vedere dove si andava perché io avrei dovuto sapere l’ora e le persone ecc. Era il funerale di un altro!
Irritato, io non avevo riso con lui ed ora m’era difficile di sopportare i suoi rimproveri. Perché non aveva guardato meglio anche lui? Frenai il mio malumore solo perché mi premeva più la Borsa, che il funerale. […]

Quando poi, chiarito l’equivoco del funerale sbagliato, decide di non intervenire alla cerimonia funebre già cominciata, lo fa in modo deciso e sfidando il buon senso perché le ragioni dell’affetto — nei confronti di Guido e dei familiari — avrebbero voluto che lui raggiungesse la famiglia presso il defunto, anche in ritardo. E il ritardo diventa invece l’alibi per andarsene, per sfuggire a una situazione che lo vedrebbe ancora una volta in posizione di personaggio secondario rispetto al protagonista Guido.

Lasciai la vettura al Nilini che non voleva rinunziare di far atto di presenza per riguardo ad Ada ch’egli conosceva.
Con passo rapido, per sfuggire a qualunque incontro, salii la strada di campagna che conduceva al villaggio. Oramai non mi dispiaceva affatto di essermi sbagliato di funerale e di non aver reso gli ultimi onori al povero Guido. Non potevo indugiarmi in quelle pratiche religiose. Altro dovere m’incombeva: dovevo salvare l’onore del mio amico e difenderne il patrimonio a vantaggio della vedova e dei figli. Quando avrei informata Ada ch’ero riuscito di ricuperare tre quarti della perdita (e riandavo con la mente su tutto il conto fatto tante volte: Guido aveva perduto il doppio del patrimonio del padre e, dopo il mio intervento, la perdita si riduceva a metà di quel patrimonio. Era perciò esatto. Io avevo ricuperata proprio tre quarti della perdita), essa certamente m’avrebbe perdonato di non essere intervenuto al suo funerale.

Il fatto che Zeno continui a dirsi amico del defunto mentre compie una serie di atti che in realtà più che amicizia dimostrano competizione non deve trarre in inganno: Zeno tanto all’epoca dei fatti, quindi come personaggio, quando nel momento in cui racconta i fatti, quindi come narratore, non è degno di fiducia perché non fa altro che confondersi e confondere le motivazioni reali del suo agire. L’unico atto parlante e chiaro è l’atto mancato: la sua assenza al funerale. I familiari (soprattutto la vedova di Guido) capiranno benissimo la verità.

Quel giorno il tempo s’era rimesso al bello. Brillava un magnifico sole primaverile e, sulla campagna ancora bagnata, l’aria era nitida e sana. I miei polmoni, nel movimento che non m’ero concesso da varii giorni, si dilatavano. Ero tutto salute e forza. La salute non risalta che da un paragone. Mi paragonavo al povero Guido e salivo, salivo in alto con la mia vittoria nella stessa lotta nella quale egli era soggiaciuto. Tutto era salute e forza intorno a me. Anche la campagna dall’erba giovine. L’estesa e abbondante bagnatura, la catastrofe dell’altro giorno, dava ora soli benefici effetti ed il sole luminoso era il tepore desiderato dalla terra ancora ghiacciata. Era certo che quanto più ci si sarebbe allontanati dalla catastrofe, tanto più discaro sarebbe stato quel cielo azzurro se non avesse saputo oscurarsi a tempo. Ma questa era la previsione dell’esperienza ed io non la ricordai; m’afferra solo ora che scrivo. In quel momento c’era nel mio animo solo un inno alla salute mia e di tutta la natura; salute perenne.
Il mio passo si fece più rapido. Mi beavo di sentirlo tanto leggero. Scendendo dalla collina di Servola s’affrettò fin qui quasi alla corsa. Giunto al passeggio di Sant’Andrea, sul piano, si rallentò di nuovo, ma avevo sempre il senso di una grande facilità. L’aria mi portava.
Avevo perfettamente dimenticato che venivo dal funerale del mio più intimo amico. Avevo il passo e il respiro del vittorioso. Però la mia gioia per la vittoria era un omaggio al mio povero amico nel cui interesse era sceso in lizza.

La passeggiata che Zeno sostituisce alla partecipazione al funerale è il suo trionfo. Zeno continua a dire che la gioia che gli procurano le favorevoli speculazioni in Borsa e la camminata sono un omaggio all’amico, ma la leggerezza e il benessere che lo pervadono mentre va a spasso testimoniano il contrario. Zeno si libera volentieri delle costrizioni sociali e familiari che torneranno ad opprimerlo una volta tornato a casa.

La durata dell’episodio del funerale mancato è di un pomeriggio. Zeno esce dall’ufficio alle tre e torna a casa al calare della sera. All’interno di uno spazio temporale di poche ore si accavallano gli avvenimenti del funerale sbagliato, della rinuncia a partecipare al rito, della passeggiata fuori porta. Il ritmo narrativo è sostenuto, veloce, e l’interesse del lettore è tenuto vivo dai ripetuti colpi di scena (il colpo di scena dello sbaglio e il colpo di scena della decisione di non partecipare al funerale vero).

Andai all’ufficio a vedere i corsi di chiusa. Erano un po’ più deboli, ma non fu questo che mi tolse la fiducia. Sarei tornato a «succhiellare» e non dubitavo che sarei arrivato allo scopo.
Dovetti finalmente recarmi alla casa di Ada. Venne ad aprirmi Augusta. Mi domandò subito:
– Come hai fatto a mancare al funerale, tu, l’unico uomo nella nostra famiglia?
Deposi l’ombrello e il cappello, e un po’ perplesso le dissi che avrei voluto parlare subito anche con Ada per non dover ripetermi. Intanto potevo assicurarla che avevo avute le mie buone ragioni per mancare dal funerale. Non ne ero più tanto sicuro e improvvisamente il mio fianco s’era fatto dolente forse per la stanchezza. Doveva essere quell’osservazione di Augusta, che mi faceva dubitare della possibilità di far scusare la mia assenza che doveva aver causato uno scandalo; vedevo dinanzi a me tutti i partecipi alla mesta funzione che si distraevano dal loro dolore per domandarsi dove io potessi essere.

Quando deve rendere conto alla moglie di quanto ha fatto durante la giornata, la salute e il benessere di cui ha goduto passeggiando lasciano posto al suo solito modo impacciato di agire e di presentarsi agli altri (balbetta, sente dolore al fianco…).

Ada non venne. Poi seppi che non era stata neppure avvisata ch’io l’attendessi. Fui ricevuto dalla signora Malfenti che incominciò a parlarmi con un cipiglio severo quale non le avevo mai visto. Cominciai a scusarmi, ma ero ben lontano dalla sicurezza con cui ero volato dal cimitero in città. Balbettavo. Le raccontai anche qualche cosa di meno vero in appendice della verità, ch’era la mia coraggiosa iniziativa alla Borsa a favore di Guido, e cioè che poco prima dell’ora del funerale avevo dovuto spedire un dispaccio a Parigi per dare un ordine e che non m’ero sentito di allontanarmi dall’ufficio prima di aver ricevuta la risposta. Era vero che il Nilini ed io avevamo dovuto telegrafare a Parigi, ma due giorni prima, e due giorni prima avevamo ricevuta anche la risposta. Insomma comprendevo che la verità non bastava a scusarmi fors’anche perché non potevo dirla tutta e raccontare dell’operazione tanto importante cui io da giorni attendevo cioè a regolare col mio desiderio i cambii mondiali. Ma la signora Malfenti mi scusò quando sentì la cifra cui ora ammontava la perdita di Guido. Mi ringraziò con le lacrime agli occhi. Ero di nuovo non l’unico uomo della famiglia, ma il migliore.

La suocera nel colloquio finale con Zeno incarna, in termini freudiani, il suo super-io che disapprova la libera manifestazione delle pulsioni più autentiche dell’animo di Zeno, le quali lo hanno portato ad assentarsi dal funerale per andare a passeggio. Zeno è consapevole di ciò e cerca in ogni modo di sfuggire alle sue responsabilità mettendo in campo mille scuse (le stesse che racconta a se stesso, al suo io) e una menzogna.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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