Il letterato e il popolo
Giovanni Berchet e la lettera semiseria di Grisostomo
La Lettera semiseria di Berchet costituisce il primo intervento italiano a difesa del Romanticismo, propugnato in seguito dalla rivista «Il Conciliatore», che ne avrebbe accentuato il carattere politico e riformatore in chiave antiaustriaca. Sotto lo pseudonimo di Grisostomo, Giovanni Berchet (1783- 1851) immagina di rivolgersi al figlio per inviargli, in forma di lettera, una premessa alla traduzione delle liriche Leonora e Il cacciatore feroce di Gottfried August Bürger (1747–1794). È però nei consigli di lettura indirizzati al giovane che emerge l’intento dell’autore, la presa di posizione cioè a favore del Romanticismo. Secondo Grisostomo-Berchet, la letteratura deve essere infatti popolare, in altre parole deve abbandonare l’imitazione degli antichi per sostituire la mitologia con l’interesse per la natura e per la contemporaneità. Alla poesia «classica» occorre opporre dunque la poesia «romantica», fondata sul sentimento dell’individuo e sulle aspirazioni del popolo. Da un punto di vista metrico, ne deriva la necessità di un rinnovamento finalizzato ad individuare di volta in volta le forme più adatte al contenuto da esprimere.
La lettera può essere divisa in due parti, nella prima spiega al figlio gli aspetti negativi della letteratura romantica di cui Brüger (poeta tedesco rappresentante dello “Sturm und Drang”), è esponente, criticando in modo “semiserio” la predilezione per gli aspetti fantastici tipici del Romanticismo nordeuropeo.
Nella seconda parte della lettera Berchet delinea gli aspetti positivi del Romanticismo: qui espone i caratteri positivi della letteratura romantica e — soprattutto — individua il pubblico cui la poesia romantica si rivolge.
La lettera semiseria di Grisostomo
Il poeta dunque sbalza fuori delle mani della natura in ogni tempo, in ogni luogo. Ma per quanto esimio egli sia, non arriverá mai a scuotere fortemente l’animo de’ lettori suoi, né mai potrá ritrarre alto e sentito applauso, se questi non sono ricchi anch’essi della tendenza poetica passiva. Ora siffatta disposizione degli animi umani, quantunque universale, non è in tutti gli uomini ugualmente squisita.
Berchet sostiene che tutti gli uomini hanno uno spirito poetico che, se nei letterati è espresso in modo attivo attraverso l’attività creativa, permette ai lettori di comprendere il messaggio poetico. Esistono, tuttavia, diversi livelli di spirito poetico, che Berchet analizza in seguito.
Lo stupido ottentoto, sdraiato sulla soglia della sua capanna, guarda i campi di sabbia che la circondano, e s’addormenta. Esce de’ suoi sonni, guarda in alto, vede un cielo uniforme stendersegli sopra del capo, e s’addormenta. Avvolto perpetuamente tra ’l fumo del suo tugurio e il fetore delle sue capre, egli non ha altri oggetti dei quali domandare alla propria memoria l’immagine, pe’ quali il cuore gli batta di desiderio. Però alla inerzia della fantasia e del cuore in lui tiene dietro di necessità quella della tendenza poetica.
Berchet individua “lo stupido ottentotto” (nome di un popolo africano, stereotipo del selvaggio incolto) con colui che non è in grado neanche di avvertire da lontano la presenza del messaggio poetico, e dunque tanto meno di capirlo ed apprezzarlo. L’ottentotto è talmente ignorante che non ha capacità immaginifica, non ha desideri più elevati dei bisogni primari. Il poeta, quindi, non deve scrivere pensando all’ottentotto, in quanto sprecherebbe la propria poesia.
Per lo contrario un parigino agiato ed ingentilito da tutto il lusso di quella gran capitale, onde pervenire a tanta civilizzazione, è passato attraverso una folta immensa di oggetti, attraverso mille e mille combinazioni di accidenti. Quindi la fantasia di lui è stracca, il cuore allentato per troppo esercizio. Le apparenze esterne delle cose non lo lusingano (per cosí dire); gli effetti di esse non lo commovono piú, perché ripetuti le tante volte. E per togliersi di dosso la noia, bisogna a lui investigare le cagioni, giovandosi della mente. Questa sua mente inquisitiva cresce di necessitá in vigoria, da che l’anima a pro di lei spende anche gran parte di quelle forze che in altri destina alla fantasia ed al cuore; cresce in arguzia per gli sforzi frequenti a’ quali la meditazione la costringe. E il parigino di cui io parlo, anche senza avvedersene, viene assuefacendosi a perpetui raziocini o, per dirla a modo del Vico, diventa filosofo. […]
Vi è, poi, il “parigino”, l’abitante della capitale culturale del tempo; egli è un lettore colto e raffinato, nel quale però le facoltà dell’immaginazione e del cuore si sono attenuate, poiché sazi dell’esercizio poetico. Il parigino bada più al tecnicismo, al virtuosismo poetico, vuoto di contenuto e di passione, perché è convinto di aver già letto tutto e niente potrà mai stupirlo o emozionarlo. Questo tipo di lettore, perciò, tende più al razionale che al fantastico e più al filosofico che al poetico.
Ma la stupiditá dell’ottentoto è separata dalla leziosaggine del parigino fin ora descritto per mezzo di gradi moltissimi di civilizzazione, che piú o meno dispongono l’uomo alla poesia. E s’io dovessi indicare uomini che piú si trovino oggidí in questa disposizione poetica, parmi che andrei a cercarli in una parte della Germania.
Tra i due estremi dell’ottentotto e del parigino si trovano vari gradi di sensibilità poetica. Berchet prosegue la sua lettera sviluppando la ricerca di questi lettori, che si trovano in ogni terra e in ogni tempo.
L’indicazione della Germania come terra in cui si trovano i poeti contemporanei è un chiaro riferimento agli autori romantici d’Oltralpe in polemica con i classicisti che rifiutavano le influenze estranee alla tradizione italiana.
A consolazione non pertanto de’ poeti, in ogni terra, ovunque è coltura intellettuale, vi hanno uomini capaci di sentire poesia. Ve n’ha bensí in copia ora maggiore, ora minore; ma tuttavia sufficiente sempre. Ma fa d’uopo conoscerli e ravvisarli ben bene, e tenerne conto. Ma il poeta non si accorgerá mai della loro esistenza, se per rinvenirli visita le ultime casipole della plebe affamata, e di lá salta a dirittura nelle botteghe da caffé, ne’ gabinetti delle Aspasie, nelle corti de’ principi, e nulla piú. Ad ogni tratto egli rischierá di cogliere in iscambio la sua patria, ora credendola il capo di Buona speranza, ora il cortile del Palais-royal. E dell’indole dei suoi concittadini egli non saprá mai un ette.
Ché s’egli considera che la sua nazione non la compongono que’ dugento che gli stanno intorno nelle veglie e ne’ conviti; se egli ha mente a questo: che mille e mille famiglie pensano, leggono, scrivono, piangono, fremono e sentono le passioni tutte, senza pure avere un nome ne’ teatri; può essere che a lui si schiarisca innanzi un altro orizzonte, può essere che egli venga accostumandosi ad altri pensieri ed a piú vaste intenzioni. […]
Berchet delinea il profilo sociale del pubblico: non sono da cercare nei bassifondi abitati da analfabeti, né nelle corti dei principi o nei circoli letterari, ma tra le classi medie, dove si trovano uomini e donne che provano sentimenti genuini.
Basti a te per ora il sapere che tutte le presenti nazioni d’Europa (l’italiana anch’essa, né piú né meno)sono formate da tre classi d’individui: l’una di Ottentoti; l’una di Parigini; e l’una, per ultimo, che comprende tutti gli altri individui leggenti ed ascoltanti, non, eccettuati quelli che, avendo anche studiato ed esperimentato quant’altri, pur tuttavia ritengono attitudine alle emozioni. A questi tutti io do nome di popolo.[…]
L’unica categoria a cui si rivolge la letteratura romantica, dunque, è il popolo termine che Berchet riferisce alla borghesia in qualità di ceto medio; gli appartenenti al popolo sono abbastanza acculturati per apprezzare la voce dei poeti, ma non sono così smaliziati da non saper più cogliere le voci delle passioni e le emozioni particolari della propria nazione.
Se i poeti moderni d’una parte della Germania menano tanto romore di sé in casa loro, e in tutte le contrade d’Europa, ciò è da ascriversi alla popolarità della poesia loro. E questa salutare direzione ch’eglino diedero all’arte fu suggerita loro dagli studi profondi fatti sul cuore umano, sullo scopo dell’arte, sulla storia di lei e sulle opere ch’ella in ogni secolo produsse: fu suggerita loro dalla divisione in classica e romantica ch’eglino immaginarono nella poesia.
Berchet conclude individuando la forza della poesia nella interpretazione dei moti interiori, nello studio della tradizione che ha donato opere somme, che hanno suscitato l’immaginazione degli uomini di tutte le epoche. La pretesa dei classicisti di riprodurre la poesia di epoche passate è, dunque, anacronistica, perché non è coerente con i sentimenti della propria età.