Il Manifesto del futurismo

Una dichiarazione di guerra al passatismo

Luca Pirola
7 min readNov 20, 2020
Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo, Piatti, Sintesi futurista della guerra, volantino della Direzione del Movimento futurista, Milano, 20 settembre 1914.

Il Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti — pubblicato in francese su “Le Figaro” il 20 febbraio 1909 e poi in italiano sulla rivista “Poesia” — articola in 11 tesi le basi ideologiche ed estetiche del movimento, fondate sull’adesione acritica ed entusiastica alla civiltà tecnologica, sullo “slancio vitale” di impronta irrazionalistica (Nietzsche, Bergson) e sull’esaltazione della guerra.

La necessità di affermare i canoni di una nuova arte inducono a scegliere un testo regolativo e autoritario. Il poeta è distruttore per ricreare una vera modernità, che solo lui sa interpretare liberamente.

1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.

2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.

L’incipit con il “Noi” delinea la dimensione collettiva del movimento: i nuovi poeti esortano alla distruzione di ogni tradizione e di ogni traccia del passato, esaltando con aggressività vitalistica i nuovi miti della modernità, identificati nella velocità e nella macchina.
L’appello è rivolto a tutti i giovani forti e audaci, invitati a ricostruire un nuovo mondo sulle ceneri (non troppo metaforiche) del vecchio.

Il pronome è ripreso enfaticamente dall’anafora del «noi», ripetuto sette volte, a indicare il carattere programmatico del manifesto e rivela il forte senso di appartenenza al gruppo dei poeti futuristi, che si sentono investiti di una missione rivoluzionaria.

3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

Nei primi tre punti il Manifesto enuncia l’opposizione futurista allo stile di vita e ai valori artistico-culturali del passato, fondati sulla contemplazione e sull’estasi (dalla letteratura classicista a quella romantica, al Simbolismo, all’Estetismo, al Crepuscolarismo) e, per contro, esalta il coraggio, il disprezzo del pericolo, l’azione frenetica, aggressiva e violenta.

Il Manifesto costruisce una netta contrapposizione tra passato e futuro. Nella pars destruens si demoliscono le fondamenta e i principi dell’arte tradizionale, perché sono superati e inadatti a esprimere la realtà moderna, caratterizzata dallo sviluppo tecnologico.

4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo…. un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.

Al rifiuto del passato la pars construens si fonda sull’esaltazione della modernità. Il Manifesto esorta a elaborare una nuova arte, adatta alla sensibilità dell’uomo moderno e al suo violento vitalismo. I nuovi valori sono l’audacia, la ribellione, l’aggressività, che celebrano in modo superficiale la modernità, rappresentata nei suoi aspetti più spettacolari ed effimeri (bellezza della velocità).

Le contrapposizioni esasperate (automobile/nike di Samotracia) conferiscono al Manifesto un tono declamatorio ed enfatico. La Nike o Vittoria alata, è una celebre statua (IV sec. a.C.), senza testa, considerata uno dei capolavori dell’antica civiltà dell’isola greca di Samotracia, simbolo degli ideali di misura e di armonia, oggi conservata al Museo del Louvre; la statua, bella ma statica, è contrapposta provocatoriamente alla nuova bellezza dinamica dell’automobile.
Un automobile senza apostrofo è di genere maschile, perché simbolo di un nuovo ideale di bellezza, veloce, esplosivo, aggressivo, ruggente, dunque tipicamente maschile.

5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

6. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.

I punti 4, 5 e 6 celebrano il mito futurista della velocità, la bellezza nuova dell’automobile da corsa e dell’uomo al volante, quasi in gara con la corsa della terra sulla sua orbita. L’automobile è il nuovo oggetto dell’arte, poiché è capace di su- scitare emozioni più forti di quelle che potrebbe dare la visione della celebre statua della Vittoria di Samotracia, simbolo a sua volta degli ideali di ordine e di armonia del passato.

Il poeta deve prodigarsi con generosità di entusiasmo ed energie e stimolare la vitalità degli istinti primordiali aderendo al ritmo della natura.

7. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.

I temi della poesia futurista sono assolutamente inusuali e innovativi. La poesia tratta di automobili da corsa, metropoli moderne e paesaggi industriali, locomotive e aeroplani; la letteratura esalta la violenza, espressa dallo“schiaffo” e dal “pugno”. Si giunge anche all’elogio della guerra definita sola “igiene del mondo”.

8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!.. Perchè dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

Il punto 8 inizia con un’espressione che indica la tensione di questo movimento di avanguardia verso il futuro; letteralmente i futuristi coloocano se stessi sul limite estremo della storia, dunque protesi verso il futuro.

L’esaltazione della modernità modernità e della civiltà industriale (che Marinetti considera frutto di una sorta di forza irrazionalistica primordiale in lotta per dominare la natura) prosegue nei punti 7 e 8, dove la bellezza è definita lotta, e la poesia violento assalto contro le forze ignote, proiettata verso il futuro e non verso il passato.

9. Noi vogliamo glorificare la guerra — sola igiene del mondo — il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertarî, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.

10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.

L’enfasi declamatoria è ribadita dalla crescente violenza espressiva e dal climax dei contenuti: alla fine i giovani futuristi sono invitati a distruggere biblioteche e musei, simbolo di un passato e di un arte superati e ormai inutili.

Lo stile, secco e perentorio è ottenuto mediante la concitazione espressiva, creata dall’insistente anafora del “noi”, dalla frequenza degli imperativi e dei verbi assertivi (“noi vogliamo”, “noi affermiamo”) e dalle sequenza asindetiche con climax ascendente (“il coraggio, l’audacia, la ribellione”; “il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno” — punto 3)

11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aereoplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.

L’esaltazione del progresso tecnologico e del dinamismo si fa estrema negli ultimi tre punti del manifesto, dove vengono glorificati il militarismo, il nazionalismo e la guerra, sola igiene del mondo e momento di suprema accelerazione delle potenzialità dinamiche della materia e dello slancio vitale dell’universo. Esaltato anche il disprezzo per la donna, in quanto portatrice dei buoni sentimenti che si vogliono combattere, unitamente a quello per le biblioteche, i musei, le accademie, simbolo della tradizione e del passato da distruggere. Non mancano, poi, contraddizioni e ambiguità ideologiche: agli intenti rivoluzionari antiborghesi fanno da contrappunto concezioni reazionarie e belliciste, convergenti con quelle del capitalismo industriale, che proprio nella guerra e nella corsa agli armamenti trovava una fonte di guadagno.

È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perchè vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii.

Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.

Musei: cimiteri!… Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitorî pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che vanno trucidando si ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese!

Che ci si vada in pellegrinaggio, una volta all’anno, come si va al Camposanto nel giorno dei morti…. ve lo concedo. Che una volta all’anno sia deposto un omaggio di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo…. Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perchè volersi avvelenare? Perchè volere imputridire?

E che mai si può vedere, in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell’artista, che si sforzò di infrangere le insuperabili barriere opposte al desiderio di esprimere interamente il suo sogno?… Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione.

Volete dunque sprecare tutte le vostre forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?

In verità io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvarii di sogni crocifissi, registri di slanci troncati!…) è, per gli artisti, altrettanto dannosa che la tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loro ingegno e della loro volontà ambiziosa. Per i moribondi, per gl’infermi, pei prigionieri, sia pure: — l’ammirabile passato è forse un balsamo ai loro mali, poiché per essi l’avvenire è sbarrato…. Ma noi non vogliamo più saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!

E vengano dunque, gli allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!… Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!… Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!… Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!… Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite, demolite senza pietà le città venerate!

Per ripassare i concetti fondamentali

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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