Il manifesto dello Stilnovo
Guido Guinizzelli, Al cor gentile reimpara sempre Amore
La canzone di Guido Guinizzelli esprime il concetto di stretto rapporto tra amore e nobiltà. Con l’espressione iniziale “cor gentil” il poeta definisce il concetto chiave di questa canzone dottrinale, sottolineando l’ideale fusione tra sentimento amoroso e cuore nobile.
Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello inselva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentilcore,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ’l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ’l sole.
E prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.
La prima strofa espone il tema dell’identificazione tra amore e nobiltà d’animo, in quanto aspetti della stessa realtà e perciò inscindibili. Questo concetto ha fatto di questa canzone dottrinale il manifesto dello Stilnovo, infatti il poeta afferma che l’amore si trova sempre in un cuore nobile (gentil), come un uccello tra la vegetazione di un bosco (verdura), né la natura creò l’amore prima di un cuore nobile, né il cuore nobile prima dell’amore: perché, non appena il sole fu creato, subito apparve (fu) lo splendore della luce, né lo splendore apparve prima del sole; l’amore prende il suo posto nell’animo nobile così naturalmente come il calore nella luminosità (clarità) del fuoco.
Dunque Guinizzelli sostiene che la natura non ha creato l’amore prima (anti) del cuore nobile, né il cuore nobile prima dell’amore, ma i due elementi sono caratterizzati dalla contemporaneità della creazione, proprio come il sole (causa) e la sua luce (effetto). La sovrapposizione tra amore-sole e cuore-luce stabilisce un paragone di natura divina. L’aggettivo “gentile” impiegato da Guinizzelli definisce una nuova nobiltà, caratterizzata dall’”aristocrazia dello spirito”.
Le scelte retorico-stilistiche accompagnano il percorso concettuale della canzone. Le similitudini, presenti in quasi tutte le strofe, introdotte dall’avverbio come o da locuzioni equivalenti (per qual), servono a restituire concretezza e fisicità (l’uccello nella selva) all’elaborazione astratta del concetto di amore gentile. Inoltre, l’uso insistito del chiasmo e di forti parallelismi tra termini avvicina lo stile della poesia a quello di un ragionamento filosofico, facendo però sempre ricorso a immagini concrete.
Al verso 8 Gentilezza è un caso di metonimia, dove la qualità sostituisce il concetto concreto “cuor gentile”. Questa caratteristica è così connaturata al cuore gentile che i termini sono di fatto sinonimi. La gentilezza è la condizione necessaria per provare l’amore, che è un sentimento raffinato e non volgare; essa deriva dalla natura e non è acquisita per i nobili natali. La nobiltà del cuore è dunque diversa da quella di sangue.
Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ’l sol la faccia gentil cosa;
poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch’è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
donna a guisa di stella lo ’nnamora.
La seconda stanza stabilisce un parallelo tra la donna e la stella attraverso una similitudine: come le stelle donano virtù speciali alle pietre preziose che sono state purificate dal sole, così la donna fa innamorare il cuore già nobile per natura. Il fuoco dell’amore si accende nel cuore nobile come la virtù in una pietra preziosa, dal momento che non discende valore dalla stella prima che il sole la renda nobile (l’abbia purificata). Dopo che il sole, per mezzo della sua potenza, ne ha eliminato ciò che vi è di impuro, la stella le fornisce la sua proprietà (valore); ugualmente la donna, agendo come la stella, fa innamorare il cuore, che è reso dalla natura eletto, puro, nobile. Il paragone ha origine dalla credenza medievale secondo cui si riteneva che le pietre preziose avessero particolari proprietà curative.
La strofa, pur nell’apparente semplicità della similitudine tra la donna e la stella, pone in campo un concetto di natura filosofica. Si tratta del rapporto stabilito da Aristotele tra potenza e atto e tra materia e forma. Per poter realizzare una determinata forma (per esempio un cucchiaio) in una materia (ferro) è necessario che vi sia un intervento (causa efficiente: il fabbro) che trasformi con il suo atto la materia, in modo da dare vita a ciò che essa contiene solo in potenza. Allo stesso modo, l’amore è solo “potenzialmente” nel cuore gentile e può realizzarsi (diventare atto) solo grazie alla presenza della donna (causa efficiente) che lo fa nascere.
Guinizzelli attribuisce una nuova funzione all’amore. Come nella natura, per la teoria aristotelica del movimento, c’è un continuo passaggio dalla potenza all’atto, così nel mondo umano è l’amore a trasformare la nobiltà potenziale, insita in un cuore per natura predisposto, in nobiltà effettiva e operante.
Amor per tal ragion sta ’n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
Così prava natura
rencontra amor come fa l’aigu’ al foco
caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
com’ adamàs del ferro in la minera.
La terza strofa esprime l’incompatibilità tra l’amore e un’anima volgare attraverso le similitudini del fuoco e dell’acqua. Guinizzelli dice che Amore sta nel cuore nobile per lo stesso motivo per il quale il fuoco (sta) sulla sommità della torcia: a suo piacimento vi splende luminoso e puro e non potrebbe essere altrimenti, tanto è indomabile. Così una natura malvagia si oppone all’amore come l’acqua si oppone per la sua freddezza al fuoco caldo. Amore dimora nel cuore nobile, come luogo a lui adatto, così come fa il diamante nel minerale del ferro.
Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno:
vile reman, né ’l sol perde calore;
dis’omo alter: «Gentil per sclatta torno»;
lui semblo al fango, al sol gentil valore,
ché non dé dar om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio,
in degnità d’ere’,
sed a vertute non ha gentil core,
com’aigua porta raggio
e ’l ciel riten le stelle e lo splendore.
Nella quarta stanza Guinizzelli riporta il discorso diretto del nobile alter (“superbo, supponente”) che ritiene di essere nobile per la sua stirpe (sclatta); ma Guinizzelli sostiene, con due significative similitudini, che tale nobiltà di sangue è come il fango, mentre il cuor gentile è come il sole: la sua luce lo colpisce continuamente ma il fango non cambia sostanza né qualità. I paragoni instaurati dal poeta legano la sfera sociale alla sfera naturale. Qui il poeta esprime la sua personale definizione di nobiltà: la nobiltà di stirpe non eleva un animo volgare, quindi la vera nobiltà si trova soltanto nelle qualità spirituali.
La raffinata argomentazione delle prime quattro strofe colloca l’amore nella sfera dei fenomeni naturali “buoni”, e definisce la nobiltà in modo coerente con la mentalità antifeudale della civiltà comunale: l’amore alberga in un animo nobile; la nobiltà non si acquisisce per nascita ma per virtù personali, coltivando i valori morali e spirituali. Questo è il primo elemento dottrinale dello Stilnovo: il riconoscimento di un’“aristocrazia” dell’animo, di una nuova nobiltà, del sentimento e della cultura, contrapposta a quella di sangue.
Splende ’n la ’ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che ’n nostr’occhi ’l sole:
ella intende suo Fattor oltra ’l cielo,
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole.
E consegue, al primero,
del giusto Deo beato compimento.
Così dar dovria al vero,
la bella donna, poi che ’n gli occhi splende
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.
La quinta strofa stabilisce un legame tra la donna e Dio costruito intorno al così (v. 46). Come Dio trasmette la propria volontà alle intelligenze angeliche che la eseguono; allo stesso modo la donna infonde nell’uomo che ha un animo nobile la costanza di ubbidirle. In questi versi la bella donna è paragonata a Deo crïator, mentre l’uomo gentil è paragonato all’[i]ntelligenzïa del cielo. Dopo l’opposizione caldo/freddo (terza stanza) Guinizzelli realizza l’ulteriore opposizione alto/basso. L’Amore e il cor gentil si legano dunque all’area semantica del “calore” e dell’”altezza”, accostandosi all’immagine divina; l’anima vile e scortese (prava natura) si lega invece alle aree semantiche del “freddo” e del “basso”.
Il secondo elemento dottrinale, la figura della donna-angelo, è introdotto nella quinta strofa, con il passaggio dal mondo naturale a quello soprannaturale. Nel definire il culto della donna e l’obbedienza che l’uomo le deve, Guinizzelli utilizza elementi tratti dalla cosmologia e dalla filosofia aristotelico-tomistica: stabilisce un rapporto tra la funzione benefica e salutare della donna e la potenza divina e angelica che fa muovere il creato.
I valori della cortesia sono collegati all’ideologia della borghesia comunale colta: la nobiltà è merito individuale e attiene alle virtù morali e culturali. L’approccio in chiave religiosa porta all’estremo il processo di spiritualizzazione dell’amore: l’amore sublimato si identifica con l’esperienza religiosa e anticipa la trasposizione della donna in angelo degli stilnovisti.
Donna, Deo me dirà: «Che presomisti?»,
sïando l’alma mia a lui davanti.
«Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
ch’a Me conven le laude
e a la Reina del regname degno
per cui cessa onne fraude».
Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
non me fu fallo, s’in lei posi amanza».
L’ultima stanza funge da congedo e presenta uno stile cooloquiale e leggero attraverso il dialogo tra Dio e il poeta.
Dio mi dirà: «Che presunzione hai avuto?», quando la mia anima sarà davanti a lui. «Hai attraversato il cielo e sei giunto fino a me e mi hai preso come paragone di un amore profano, ma le lodi spettano a me e alla Regina del nobile regno, grazie alla quale ogni malvagità finisce».
Gli potrò dire: «(La donna che ho amato) aveva l’aspetto di un angelo che appartiene al Tuo regno; non fu mio il peccato, se io riposi il mio amore (posi amanza) in lei».
Guinizzelli nella strofa esprime l’immagine della donna simile a un angelo. Il poeta immagina di parlare con Dio il quale rimprovera Guido di avere mostrato una devozione religiosa verso una donna, anziché verso di lui. Il poeta si giustifica dicendo che la donna amata aveva l’aspetto di un angelo del cielo e perciò non gli deve essere attribuita alcuna colpa.
Ritorna il tema del rapporto conflittuale tra amore terreno e amore celeste. All’accusa, che Dio rivolge al poeta di aver rivestito con semblanti divini un amore vano (umano), il poeta risponde in modo arguto con una similitudine: Tenne d’angel sembianza. Tale espressione non deve essere scambiata con la celebre definizione stilnovista della “donna angelo”: qui la donna non è un angelo ma ne ha solo la sembianza, assomiglia solo a un angelo.