Il mondo in una città

Umberto Saba, Canzoniere, Trieste e una donna, Trieste

Luca Pirola
3 min readJan 24, 2024
Trieste nel 1885

Tra le più note liriche della sezione Trieste e una donna (1910–1912) del Canzoniere, questa poesia dà libera voce all’amore che lega Saba alla sua città natale. Saba descrive che tanto la città quanto Lina, infatti, “assumono i loro inconfondibili aspetti […] e sono amate appunto per quello che hanno di proprio e di inconfondibile”. A legarlo alla città natia è un sentimento sincero, ma non privo di contraddizioni.

Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.

La prima strofa attacca con una nota prosaica, quasi da cronaca (Ho attraversato la città), presentando la scena della città natale come luogo privilegiato e abituale.

Trieste occupa tutto il campo visivo, il chiasmo del verso 3 rende dinamici i limiti spaziali della scena. Al poeta occorre una salita (un’erta) per poter vedere la città dall’alto. L’erta, richiamata al v. 15, diventa una sorta di metafora dell’esistenza vissuta con fatica.

In questo sguardo dall’alto sono evidenti i richiami all’Infinito di Leopardi: il muricciolo (v. 4) da cui Saba osserva Trieste ricorda la “siepe”; così come siedo (v. 6) ripete il “sedendo” dell’idillio leopardiano. Mentre Leopardi aveva bisogno del colle e della siepe per attivare l’immaginazione dell’infinito, in Saba la visione sopraelevata suggerisce la riflessione sulla propria identità esistenziale riflessa nell’immagine della città.

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.

La seconda strofa è occupata dalla contemplazione dell’abitato e contrappone l’io del poeta alla totalità del mondo umano che si stende davanti ai suoi occhi.

Trieste assume caratteri antropomorfi, viene qualificata da un ossimoro (scontrosa grazia, v. 8), subito attenuato da un dubbio (Se piace). Il rapporto del poeta con la città è diretto, spontaneo, vissuto tuttavia con pudore e riservatezza. Non si nota l’abbandono sentimentale che di solito il tema della città natale suscita nei poeti; vengono invece messi in risalto il tormento (aria tormentosa) e la scontrosità che uniscono l’io lirico alla città. Le caratteristiche umanizzate del paesaggio urbano riflettono la natura del poeta colta nella sua inquieta vitalità. Trieste è rappresentata come un ragazzo con le stesse qualità aspre di quest’ultimo si esprimono il complesso rapporto del poeta con il luogo d’origine. La natura difficile e inquieta di Trieste si ritrova nei versi che chiudono la strofa con un vero effetto di straniamento: un’aria strana, un’aria tormentosa,/l’aria natia, dove l’aggettivo natia accostato a tormentosa e strana suggerisce un profondo disagio in relazione alle memorie dell’infanzia e al rapporto complesso tra Saba e le sue origini.

La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.

La terza e ultima strofa conferma e svolge le premesse della prima, caratterizzando la vita del poeta, pensosa e schiva. La poesia si chiude senza risolvere la conflittualità latente tra il poeta e Trieste, tuttavia la ripresa dell’immagine iniziale del cantuccio sembra implicare il naturale inserimento dell’uomo nel tessuto della sua città, che si rivela microcosmo e simbolo dell’universo vitale.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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