Il Paradiso terrestre

Purgatorio canto 27°, 28°e 30°

Luca Pirola
10 min readSep 20, 2022

Gli episodi selezionati costituiscono un punto chiave della struttura del Purgatorio, poiché segnano il passaggio dal regno della penitenza al Paradiso terrestre, luogo di diversa natura, anche fisica, dove avverrà l’incontro di Dante con Beatrice.

Canto 27, 124–142

Negli ultimi versi del canto 27° Virgilio parla per l’ultima volta. Egli rappresenta la ragione umana, non più in grado di guidare il viaggio, poiché nel regno della beatitudine solo la teologia, cioè Beatrice, può chiarire le verità divine.

Dopo aver percorso gradini di una scala, quasi volando per il desiderio di incontrare Beatrice, Dante ascolta il commiato di Virgilio.

Come la scala tutta sotto noi
fu corsa e fummo in su ’l grado superno,
in me ficcò Virgilio li occhi suoi,

e disse: “Il temporal foco e l’etterno
veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte
dov’io per me più oltre non discerno.

Tratto t’ ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte.

L’orazione di Virgilio dapprima ricorda a Dante il cammino già percorso, poi prospetta il percorso che gli rimane da fare, in cui sarà condotto dalla sua stessa volontà (piacere, v. 131), senza più bisogno di una guida.

Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;
vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
che qui la terra sol da sé produce.

Mentre che vegnan lieti li occhi belli
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
seder ti puoi e puoi andar tra elli.

Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:

per ch’io te sovra te corono e mitrio”.

Ormai lo spirito di Dante è libero, rivolto al bene e deciso a raggiungerlo: egli può quindi essere padrone di se stesso. Il nucleo centrale del discorso di Virgilio è la poesia della libertà dell’individuo, che conclude degnamente tutto un filone lirico che, da Catone in poi, ha reso il Purgatorio la cantica della vera, cristiana libertà.

Canto 28, 1–42

Desideroso di addentrarsi nella divina foresta del Paradiso terrestre, Dante inizia a camminare tra l’erba e i fiori, mentre gli uccelli salutano cinguettando il ritorno della luce. L’ambiente ricorda al poeta il lido di Classe, presso Ravenna, quando spira lo scirocco e le fronde stormiscono.

In questa prima sequenza del canto viene descritto il Paradiso terrestre secondo i precisi canoni tradizionali: la natura rigogliosa di piante amiche e profumate, la brezza leggera, il canto armonioso degli uccelli, il corso d’acque limpide e fresche.

Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
ch’a li occhi temperava il novo giorno,

Dante è definito vago (v.1) perchè — come annunciato da Virgilio in precedenza, il poeta ha raggiunto la completa rettitudine interiore, perciò entro i limiti della ragione umana può con sicurezza fidarsi del suo steso piacere e desiderio.

La foresta è divina […] spessa e viva in antitesi con la selva oscura dell’inizio della Commedia. Le due foreste rappresentano i due estremi dell’itinerario spirituale di Dante.

sanza più aspettar, lasciai la riva,
prendendo la campagna lento lento
su per lo suol che d’ogne parte auliva.

Un’aura dolce, sanza mutamento
avere in sé, mi feria per la fronte
non di più colpo che soave vento;

La foresta è attraversata da un venticello di intensità costante, che rispecchia l’immutabile felicità originaria dell’Eden; la brezza colpisce Dante sulla fronte, dove erano state incise le sette piaghe del peccato. É un segno dell’avvenuta purificazione, che sarà poi perfezionata dal bagno nelle acque dei due fiumi del Paradiso terrestre.

per cui le fronde, tremolando, pronte
tutte quante piegavano a la parte
u’ la prim’ombra gitta il santo monte;

non però dal loro esser dritto sparte
tanto, che li augelletti per le cime
lasciasser d’operare ogne lor arte;

ma con piena letizia l’ore prime,
cantando, ricevieno intra le foglie,
che tenevan bordone a le sue rime,

tal qual di ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in su ’l lito di Chiassi,
quand’Ëolo scilocco fuor discioglie.

Il sottobosco pieno di fiori profumati, che spargono la loro fragranza nell’aria riprende la descrizione del locus amoenus fatta dai poeti classici. L’armonia del cinguettare degli uccelli e dello stormire delle piante mosse dal vento testimonia l’accordo tra animali e vegetali (vv. 13–15).

Il bosco è percorso da un fiumicello con acque limpide. Dante si ferma a guardare la grande varietà di piante che crescono sulle rive, quando all’improvviso gli appare una donna che si aggira solitaria nella foresta, cantando e raccogliendo fiori.

Già m’avean trasportato i lenti passi
dentro a la selva antica tanto, ch’io
non potea rivedere ond’io mi ’ntrassi;

ed ecco più andar mi tolse un rio,
che ’nver’ sinistra con sue picciole onde
piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo.

Il rio (v. 25) è il fiume Letè, che Dante non potrà attraversare finché non avrà espresso il pentimento per le proprie colpe. É un confine che il poeta dovrà attraversare per giungere gradualmente alla visione del divino.

Tutte l’acque che son di qua più monde,
parrieno avere in sé mistura alcuna
verso di quella, che nulla nasconde,

avvegna che si mova bruna bruna
sotto l’ombra perpetüa, che mai
raggiar non lascia sole ivi né luna.

L’acqua del Letè è perfettamente “monda” come dovrà essere Dante dopo la purificazione. Il fiume è il luogo deputato a cancellare la memoria dei peccati e con la sua acqua il pellegrino riceverà un secondo battesimo. Il cammino si compirà con l’immersione nell’Eunoè, il secondo fiume dell’Eden, che avrà come conseguenza la memoria delle azioni virtuose.

La ripetizione bruna bruna al v. 31 sottolinea il contrato tra la limpidezza dell’acqua e l’ombra, che qui nell’Eden non è sinonimo di oscurità, bensì di piacevole frescura.

Coi piè ristetti e con li occhi passai
di là dal fiumicello, per mirare
la gran varïazion d’i freschi mai;

I mai erano i rami fioriti che secondo il costume fiorentino venivano portati in casa la mattina di Calendimaggio per decorare porte e finestre.

e là m’apparve, sì com’elli appare
subitamente cosa che disvia
per maraviglia tutto altro pensare,

una donna soletta che si gia
e cantando e scegliendo fior da fiore
ond’era pinta tutta la sua via.

Fa la sua comparsa Matelda, la custode del Paradiso terrestre, figura della vita attiva che conduce l’anima alla santità: vita attiva moralmente e intellettualmente, così da essere in grado di fornire a Dante le spiegazioni richieste sulle supreme verità della creazione divina, preparando il poeta all’incontro con Beatrice.

Canto 30°, 22–108

Mentre Matelda spiega a Dante le caratteristiche dell’Eden compare lungo i corso del fiume una processione mistica che si conclude con l’apparizione di Beatrice.

Il momento è fondamentale per il poema per il suo significato narrativo ed ideologico: si compie per Dante il desiderio di ricongiungersi con l’amata.

Io vidi già nel cominciar del giorno
la parte orïental tutta rosata,
e l’altro ciel di bel sereno addorno;

e la faccia del sol nascere ombrata,
sì che per temperanza di vapori
l’occhio la sostenea lunga fïata:

L’ambiente è ricco di significati simbolici, perché il sorgere del sole è usato nella Scrittura per indicare l’avvento di Cristo; l’immagine della nube che attenua lo splendore del sole permettendo all’occhio umano di sostenerlo e già usata nelle omelie medievali.

così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori,

sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.

Il bianco, il verde e il rosso sono i colori delle tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. Il colore di fiamma viva con cui è vestita Beatrice rimanda al 2° capitolo della Vita Nuova, dove ella appare vestita di un drappo “sanguigno”, espressione che richiama a sua volta l’Apocalisse e conferma l’equazione Beatrice-Cristo.

E lo spirito mio, che già cotanto
tempo era stato ch’a la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto,

sanza de li occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
d’antico amor sentì la gran potenza.

L’apparizione di Beatrice provoca in Dante tremori, che — secondo il concetto degli stilnovisti — provocano una forma di riverenza e venerazione. Il rinnovamento dell’antico amor (v. 39) è causato da un’occulta virtù (v. 38), perché è un prodigio che travalica i limiti umani ed è, quindi, invisibile e incomprensibile.

Alla tensione del momento di aggiunge la contemporanea scomparsa di Virgilio, così che il poeta passa da un affetto all’altro, da una fase della propria esperienza a quella successiva. Il passaggio è comunque traumatica, anche se corrisponde a una crescita spirituale, ed è infatti segnato da due pianti: ai vv. 52–54 per il commiato dall’antico maestro, ai vv. 85–99 per i rimproveri di Beatrice.

Tosto che ne la vista mi percosse
l’alta virtù che già m’avea trafitto
prima ch’io fuor di püerizia fosse,

volsimi a la sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quand’elli è afflitto,

La similitudine del bambino che si rivolge alla madre introduce un tono familiare e affettuoso, che rende omaggio al dolcissimo padre Virgilio che lo aveva accompagnato amorevolmente fino a lì; la tenerezza ell’espressione anticipa il dolore per la sua scomparsa.

per dicere a Virgilio: ’Men che dramma
di sangue m’è rimaso che non tremi:
conosco i segni de l’antica fiamma’.

Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die’ mi;

Virgilio non c’è più. Dopo aver preso congedo dal suo discepolo, ormai autonomo spiritualmente, si è defilato dalla scena, non potendo entrare — lui comunque dannato — nel giardino dell’Eden. la modalità di tale commiato è consona alla nobiltà discreta che ha caratterizzato il personaggio e accentua la malinconia del distacco.

La triplice invocazione del nome di Virgilio (vv. 49–51) testimonia l’accorato rimpianto per la sua scomparsa e testimonia che tra ragione e teologia non esiste un contrasto, ma sono in continuità. La riconoscenza di Dante attesta il prezioso compito di guida che la conoscenza razionale ha avuto nel seguire la via della salvezza spirituale.

né quantunque perdeo l’antica matre,
valse a le guance nette di rugiada
che, lagrimando, non tornasser atre.

All’inizio del Purgatorio Virgilio aveva pulito con la rugiada le guance di Dante per cancellare la sporcizia infernale; grazie all’azione di Virgilio le lacrime non fanno colare sporcizia sul volto del poeta.

“Dante, perché Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora;
ché pianger ti conven per altra spada”.

A partire dall’apostrofe (Dante, v.55) subito seguita da un imperativo (non pianger, v. 56), il rimprovero di Beatrice disporrà in ordine progressivo gli eventi della biografia dantesca, commentandoli fino a formare una nuova storia, ossia il percorso del pellegrino sulla via della salvezza.

Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
viene a veder la gente che ministra
per li altri legni, e a ben far l’incora;

La similitudine con l’ammiraglio, che riprende duramente i pigri nel battere il remo, sottolinea che Beatrice assume il compito di guida e giudice imperioso e regale.

in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
che di necessità qui si registra,

vidi la donna che pria m’appario
velata sotto l’angelica festa,
drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio.

Fin dal primo momento della sua apparizione Beatrice si presenta con dura severità a Dante. La prevedibile commozione per l’incontro con la donna amata non avviene, perché la Commedia non è un romanzo cortese o una storia d’amore. I sentimenti sono subordinati alla vicenda morale e al significato escatologico della vita umana; Beatrice dunque impone subito il rimprovero al peccatore per le colpe terrene, e questi dovrà espiarle con la sofferenza della contrizione, prima di poter dialogare con la donna amata.

Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta,

regalmente ne l’atto ancor proterva
continüò come colui che dice
e ’l più caldo parlar dietro reserva:

“Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d’accedere al monte?
non sapei tu che qui è l’uom felice?”.

Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba,
tanta vergogna mi gravò la fronte.

Il topos della vergogna della conoscenza di sé, come principio e fondamento della sapienza, ha nello specchio il suo emblema. Dante ha riscontrato anche le imperfezioni del suo spirito, perciò se ne vergogna al punto da spostare il suo sguardo sull’erba.

Così la madre al figlio par superba,
com’ella parve a me; perché d’amaro
sente il sapor de la pietade acerba.

Ella si tacque; e li angeli cantaro
di sùbito ’In te, Domine, speravi’;
ma oltre ’pedes meos’ non passaro.

Gli angeli, mossi a compassione per il tono aspro delle parole di Beatrice nei confronti di Dante, intonano in coro una preghiera a Dio, che giustifica la salita al colle del poeta.

Sì come neve tra le vive travi
per lo dosso d’Italia si congela,
soffiata e stretta da li venti schiavi,

poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
sì che par foco fonder la candela;

La lunga similitudine si ripercuote in quella più breve della candela, riflettendo l’uso dantesco di risolvere la similitudine in un’altra, tecnica retorica che sarà dominante nel Paradiso. I venti schiavi sono i venti provenienti dalla Slavonia (attuale Slovenia).

così fui sanza lagrime e sospiri
anzi ’l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri;

ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre
lor compartire a me, par che se detto
avesser: ’Donna, perché sì lo stempre?’,

Gli angeli riproducono la musica stessa dei cieli, infatti il linguaggio paradisiaco è di luci e suoni, ed entrambi hanno origine dal cielo. La compassione che gli angeli dimostrano per Dante favorisce il primo atto del rito penitenziale, ossia il pianto.

lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi uscì del petto.

Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
volse le sue parole così poscia:

“Voi vigilate ne l’etterno die,
sì che notte né sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie;

onde la mia risposta è con più cura
che m’intenda colui che di là piagne,
perché sia colpa e duol d’una misura.

Nella parte conclusiva del canto Beatrice espone le colpe di Dante. Beatrice, simbolo della Teologia, dell’anima pura rivolta alle cose divine, rimprovera al poeta di aver tradito l’iniziale devozione per la Fede, e di essersi rivolto d altre fallaci scienze alla ricerca di impossibili verità. E questo è peccato ancor più grave in chi, come Dante, è stato dotato di virtù speciali dalla Provvidenza. Tale percorso della coscienza è raffigurato metaforicamente nell’infedeltà a lei, Beatrice, nel non aver dato ascolto ai suoi richiami e alla sua ispirazione.

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Luca Pirola
Luca Pirola

Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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