Il passero solitario
Il rimpianto del tempo perduto
Quando Leopardi compone questo idillio ha più di trent’anni: si tratta dunque del bilancio di un adulto che si guarda alle spalle, rimpiangendo di aver buttato via gli anni più belli della propria vita. Nella finzione poetica Leopardi si esprime come se stesse vivendo nel presente il tempo della giovinezza e proiettasse nel futuro il rimpianto per le occasioni perdute. Il componimento vede al centro un tema tipico delle opere giovanili di Leopardi, ovvero il contrasto tra ciò che è reale e ciò che si desidera.
L’intera poesia “Il passero solitario” si basa su una similitudine tra il comportamento del passero e il comportamento del poeta. Nella prima strofa si descrive il comportamento del passero durante la primavera.
D’in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
Sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
Il secondo termine di paragone (il poeta) è introdotto raccontando il modo in cui Leopardi trascorre la sua giovinezza.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de’ provetti giorni
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch’omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell’aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
La terza strofa è dedicata alla riflessione sulla differenza tra i due protagonisti: mentre il passero agisce per istinto, il poeta lo fa per scelta, quindi, essendo responsabile della propria infelicità, in futuro proverà rimpianto.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all’altrui core,
E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest’anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.
La struttura della poesia è simmetrica: la prima storia è incentrata sul passero e sulle sue abitudini di vita, la seconda sul poeta, che vive una condizione simile a quella dell’uccello. La terza è dedicata a un confronto tra i due, mettendo in contrapposizione la vecchiaia che entrambi vivranno; quella del passero sarà solo la parte finale della vita che il destino gli avrà concesso, quella del poeta sarà costellata di rimpianti e pentimenti per gli anni della giovinezza sprecati.
La lirica è pregna delle più profonde contraddizioni vissute dal poeta e vede una serie di temi cardine della sua poetica contrapposti: vecchiaia e giovinezza, dolore e rifiuto per la vita e amore per l’esistenza, pessimismo e ottimismo, folla e solitudine.
Tutti questi duelli vengono inseriti nella cornice di una riflessione sulla lacerazione tra gioia di vivere e angoscia data dalla riflessione sulla realtà. La vecchiaia è vissuta come una detestata soglia e il rimpianto della giovinezza (il tempo migliore) è già in agguato, ancor prima che sia passata. La giovinezza, in quanto miglior tempo della vita, è qui associata alla primavera. Oltre al rimpianto, Leopardi parla anche della nostalgia che proverà quando il tempo della giovinezza sarà ormai perduto, di una vita ricca di emozioni lasciate andare e non vissute.
Questa poesia è una sorta di autoritratto di Leopardi e della sua giovinezza; egli non attribuisce la sua infelicità alla società che lo circonda o alla natura, ma è ben consapevole che tutto deriva dalla sua insicurezza e dal suo senso di impotenza, peculiarità che gli impedivano di creare un legame con gli altri e, di conseguenza, godere delle gioie della vita in maniera partecipativa.
Analisi stilistica
La lirica è un idillio, cioè un “quadretto” in cui il poeta, partendo dalla descrizione del paesaggio, riflette sul proprio stato d’animo. Dal punto di vista metrico, tuttavia, la lirica è associabile ai Grandi idilli del 1828/30 in quanto è una canzone libera (strofe di diversa lunghezza che alternano settenari ed endecasillabi). Questa caratteristica lirica permette al poeta di intessere un fitto gioco di rime, assonanze end enjambements senza doversi adeguare a uno schema precostituito. Dal punto di vista lessicale si può notare il diradarsi dei termini aulici e degli arcaismi, mentre è più frequente il ricorso a quelle parole “indefinite” che secondo Leopardi risultano particolarmente poetiche.