Il pessimismo filosofico di Jacopo

La lettera da Ventimiglia

Luca Pirola
6 min readMar 26, 2021
Caspar David Friedrich — Die Felsenschlucht, 1822–1823

Nel suo vagabondare per l’Italia Jacopo, cedendo alle insistenze di Lorenzo e della madre, si reca a Ventimiglia, da dove dovrebbe emigrare in Francia per sfuggire alle persecuzioni politiche. Qui giunto, tuttavia, anziché attraversare il confine , decide di tornare a morire nella sua patria. Dopo aver preso questa decisione fatale. Jacopo espone le sue riflessioni conclusive sulla Storia e sulla condizione umana.

Alfine eccomi in pace! — Che pace? stanchezza, sopore di sepoltura. Ho vagato per queste montagne. Non v’è albero, non tugurio, non erba. Tutto è bronchi; aspri e lividi macigni; e qua e là molte croci che segnano il sito de’ viandanti assassinati. — Là giù è il Roja, un torrente che quando si disfanno i ghiacci precipita dalle viscere delle Alpi, e per gran tratto ha spaccato in due questa immensa montagna. V’è un ponte presso alla marina che ricongiunge il sentiero. Mi sono fermato su quel ponte, e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la vista; e percorrendo due argini di altissime rupi e di burroni cavernosi, appena si vedono imposte su le cervici dell’Alpi altre Alpi di neve che s’immergono nel Cielo e tutto biancheggia e si confonde — da quelle spalancate Alpi cala e passeggia ondeggiando la tramontana, e per quelle fauci invade il Mediterraneo. La Natura siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi.

La personificazione della Natura esprime il senso di minaccia e l’inospitalità del luogo, essa si mostra solitaria e minacciosa, schiacciando così ogni forma di vita. Infatti la lettera si apre con la descrizione di un paesaggio montuoso, pieno di ghiacciai e burroni, che riflette lo stato d’animo del protagonista: emerge un senso di morte incombente e sempre presente nelle molte croci che segnano il sito de’ viandanti assassinati. Dunque il paesaggio — tragico, grandioso, spaventoso e affascinante — riflette la condizione interiore di Jacopo. Il suo animo sconvolto annuncia l’avvicinarsi della tragedia e la Natura porta gli stessi segni di morte che Jacopo ha dentro di sé e di lacerazione interiore, espressa dall’erosione del torrente Roja, che ha spaccato in due questa immensa montagna.

Lo stile è artificioso, infatti nel linguaggio abbondano gli aggettivi che esasperano i toni: le montagne sono immense, le rupi altissime e i burroni cavernosi per poter enfatizzare la solennità della decisione del protagonista.

I tuoi confini, o Italia, son questi! ma sono tutto dì sormontati d’ogni parte dalla pertinace avarizia delle nazioni. Ove sono dunque i tuoi figli? Nulla ti manca se non la forza della concordia. Allora io spenderei gloriosamente la mia vita infelice per te: ma che può fare il solo mio braccio e la nuda mia voce? — Ov’è l’antico terrore della tua gloria? Miseri! noi andiamo ogni dì memorando la libertà e la gloria degli avi, le quali quanto più splendono tanto più scoprono la nostra abbietta schiavitù. Mentre invochiamo quelle ombre magnanime, i nostri nemici calpestano i loro sepolcri. E verrà forse giorno che noi perdendo e le sostanze, e l’intelletto, e la voce, sarem fatti simili agli schiavi domestici degli antichi, o trafficati come i miseri Negri, e vedremo i nostri padroni schiudere le tombe e disseppellire, e disperdere al vento le ceneri di que’ Grandi per annientarne le ignude memorie: poiché oggi i nostri fasti ci sono cagione di superbia, ma non eccitamento dell’antico letargo.
Così grido quand’io mi sento insuperbire nel petto il nome Italiano, e rivolgendomi intorno io cerco, né trovo più la mia patria. —

Jacopo rivendica, inutilmente, di essere un italiano, perché è consapevole della decadenza della patria. La riflessione sulla misera situazione politica italiana apre alla nostalgia per le glorie passate dell’Impero romano. La nazione, infatti non ha più il prestigio conquistato nell’antichità, ma è sottomessa ai popoli stranieri.

La riflessione razionale denuncia in modo perentorio la vanità delle illusioni e degli ideali che potrebbero dare un senso alla vita, tuttavia contemporaneamente Jacopo esprime con passione sentimenti di disperazione e di ribellione suscitati dall’inaccettabilità di questa situazione. Questo andamento per opposti conferisce una tensione drammatica alla sintassi, che alterna frasi recise e lapidarie con periodi ampi e articolati, ricorre all’anafora e all’apostrofe nei momenti più incalzanti e concitati e evidenzia frasi esclamative e interrogative di forte impatto emotivo.

La riflessione di patriota si amplia verso una considerazione complessiva della Storia dell’umanità, descritta come un meccanismo feroce, dominato dalla violenza e modellato da una legge ciclica e inesorabile di pesi e contrappesi, sulla quale l’uomo non ha alcuna possibilità di azione.

Ma poi dico: Pare che gli uomini sieno fabbri delle proprie sciagure; ma le sciagure derivano dall’ordine universale, e il genere umano serve orgogliosamente e ciecamente a’ destini. Noi argomentiamo su gli eventi di pochi secoli: che sono eglino nell’immenso spazio del tempo? Pari alle stagioni della nostra vita normale, pajono talvolta gravi di straordinarie vicende, le quali pur sono comuni e necessarj effetti del tutto. L’universo si controbilancia. Le nazioni si divorano perché una non potrebbe sussistere senza i cadaveri dell’altra. Io guardando da queste Alpi l’Italia piango e fremo, e invoco contro agl’invasori vendetta; ma la mia voce si perde tra il fremito ancora vivo di tanti popoli trapassati, quando i Romani rapivano il mondo, cercavano oltre a’ mari e a’ deserti nuovi imperi da devastare, manomettevano gl’Iddii de’ vinti, incatenevano principi e popoli liberissimi, finché non trovando più dove insanguinare i lor ferri, li ritorceano contro le proprie viscere. Così gli Israeliti trucidavano i pacifici abitatori di Canaan, e i Babilonesi poi strascinarono nella schiavitù i sacerdoti, le madri, e i figliuoli del popolo di Giuda. Così Alessandro rovesciò l’impero di Babilonia, e dopo avere passando arsa gran parte della terra, si corrucciava che non vi fosse un altro universo. Così gli Spartani tre volte smantellarono Messene e tre volte cacciarono dalla Grecia i Messeni che pur Greci erano della stessa religione e nipoti de’ medesimi antenati. Così sbranavansi gli antichi Italiani finché furono ingojati dalla fortuna di Roma. Ma in pochissimi secoli la regina del mondo divenne preda de’ Cesari, de’ Neroni, de’ Costantini, de’ Vandali, e de’ Papi. Oh quanto fumo di umani roghi ingombrò il Cielo della America, oh quanto sangue d’innumerabili popoli che né timore né invidia recavano agli Europei, fu dall’Oceano portato a contaminare d’infamia le nostre spiagge! ma quel sangue sarà un dì vendicato e si rovescierà su i figli degli Europei! Tutte le nazioni hanno le loro età. Oggi sono tiranne per maturare la propria schiavitù di domani: e quei che pagavano dianzi vilmente il tributo, lo imporranno un giorno col ferro e col fuoco. La Terra è una foresta di belve.

Emerge dal lungo excursus sul passato la vanità della storia che si caratterizza per essere una lotta cieca per il potere, nella quale i vincitori di oggi saranno i vinti di domani. La Storia appare, perciò, come un ciclo ininterrotto e insensato di nascita e di morte, che produce solamente sofferenze inutili, indipendenti dal valore degli uomini e delle cause per le quali combattono.

La solennità della riflessione di Jacopo è sottolineata ancora una volta dal linguaggio ricco di immagini letterarie: l’impero romano è volontà di insanguinare i lor ferri; le stragi in America finiscono per contaminare di infamia le nostre spiagge: ogni elemento della realtà presente e passata è filtrato da Jacopo attraverso la memoria letteraria.

La fame, i diluvj, e la peste sono ne’ provvedimenti della Natura come la sterilità di un campo che prepara l’abbondanza per l’anno vegnente: e chi sa? fors’anche le sciagure di questo globo apparecchiano la prosperità di un altro.

Il pessimismo foscoliano comprende anche la Natura, che appare regolata da un ciclo di trasformazioni in cui ogni processo è solo uno stato transitorio prima della morte. Tale visione del mondo suscita in Jacopo sgomento, non incitamento alle grandi azioni; la gloria stessa è per Foscolo un nome vano destinato a estinguersi nel giro di qualche generazione.

Frattanto noi chiamiamo pomposamente virtù tutte quelle azioni che giovano alla sicurezza di chi comanda e alla paura di chi serve. I governi impongono giustizia: ma potrebbero eglino imporla se per regnare non l’avessero prima violata? Chi ha derubato per ambizione le intere province, manda solennemente alle forche chi per fame invola del pane. Onde quando la forza ha rotti tutti gli altrui diritti, per serbarli poscia a se stessa inganna i mortali con le apparenze del giusto, finché un’altra forza non la distrugga. Eccoti il mondo, e gli uomini.

La riflessione di Jacopo giustifica la sua scelta di suicidio, perché la sua concezione lucidamente materialistica e razionale della realtà svela il carattere illusorio di tutti gli ideali e i valori per cui varrebbe la pena di vivere, e l’eroe che non accetta di scendere a patti con i limiti dell’esistenza non ha altra strada che rinunciare alla vita stessa.

--

--

Luca Pirola
Luca Pirola

Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

No responses yet