Il primo incontro con Beatrice

La Vita Nuova, capitolo 2

Luca Pirola
4 min readOct 4, 2021

Dante racconta del suo primo incontro con Beatrice, avvenuto quando entrambi avevano nove anni. La presenza della donna suscita straordinarie sensazioni nell’animo del poeta. Così ha inizio la storia d’amore che dà forma all’intero prosimetro, infatti la presenza d’Amore è il tema fondamentale della vicenda tra Dante e Beatrice.

Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice, li quali non sapeano che si chiamare. Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono.

L’introduzione astronomica dei primi due paragrafi definisce il tempo dell’incontro. Questo espediente conferisce un tono solenne all’evento, consolidato poi dalla perifrasi che indica Beatrice, dalle citazioni da Omero e dalla Bibbia e più in generale dalla scrittura fondata su simmetrie e parallelismi.

La rievocazione del primo incontro si manifesta subito con una complessa simbologia, infatti la vicenda personale dell’autore ha un preciso significato metaforico. Il numero nove ricorre insistentemente nelle prime frasi, poiché designa l’età dei due personaggi quando si incontrano per la prima volta, è anche un simbolo di perfezione secondo le teorie numerologiche medievali, anche perché multiplo perfetto del tre, il quale designa la Trinità.

Apparve vestita di nobilissimo colore, umile ed onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia.

Beatrice appare a Dante, la descrizione del suo aspetto assume i connotati di una visione meravigliosa di cui Dante bambino non coglie appieno il significato.

I paragrafi successivi descrivono le conseguenze che Dante subisce: il poeta è sconvolto nel profondo e descrive le sensazioni fisiche dell’innamoramento.

In quello punto dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente che apparia ne li mènimi polsi orribilmente; e tremando, disse queste parole: «Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur mihi».

In quello punto lo spirito animale, lo quale dimora ne l’alta camera ne la quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni, si cominciò a maravigliare molto, e parlando spezialmente a li spiriti del viso, sì disse queste parole: «Apparuit iam beatitudo vestra».

In quello punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella parte ove si ministra lo nutrimento nostro, cominciò a piangere, e piangendo, disse queste parole: «Heu miser, quia frequenter impeditus ero deinceps!».

Per spiegare gli effetti prodotti dall’innamoramento Dante ricorre alla teoria degli spiriti, cioè delle forze psico-fisiologiche interne all’organismo e che sono preposte al suo funzionamento. Tale teoria prevede tre tipologie di spirito: lo spirito vitale, animale e naturale che hanno sede rispettivamente nel cuore, nel cervello e negli organi della digestione. Lo spirito vitale trema, quello animale si meraviglia e quello naturale piange disperatamente. L’intero corpo del poeta è sconvolto, perché Amore prende il sopravvento sulla sua persona.

Gli spiriti danteschi sono teatralizzati nella loro confusione amorosa, ma — a differenza di Cavalcanti — l’innamoramento non ha conseguenze tragiche e conflittuali, ma positive, in quanto la donna amata non provoca la distruzione dell’anima dell’amante, ma la sua riabilitazione.

Infine Dante descrive la potenza di Amore, che da quel momento signoreggiò la sua anima.

D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a lui disponsata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria per la vertù che li dava la mia imaginazione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente.

Elli mi comandava molte volte che io cercasse per vedere questa angiola giovanissima; onde io ne la mia puerizia molte volte l’andai cercando, e vedèala di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero: Ella non parea figliuola d’uomo mortale, ma di Deo.

E avegna che la sua imagine, la quale continuamente meco stava, fosse baldanza d’Amore a segnoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissima vertù, che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de la ragione in quelle cose là ove cotale consiglio fosse utile a udire.

Il paragrafo conclusivo ha la semplice funzione di introdurre la prosecuzione della narrazione nelle pagine successive.

E però che soprastare a le passioni e atti di tanta gioventudine pare alcuno parlare fabuloso, mi partirò da esse; e trapassando molte cose, le quali si potrebbero trarre de l’esemplo onde nascono queste, verrò a quelle parole le quali sono scritte ne la mia memoria sotto maggiori paragrafi.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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