Il suicidio di Jacopo

Il rifiuto di una vita di compromessi

Luca Pirola
10 min readMar 20, 2020

Jacopo, ormai disperato, ritorna sui Colli Euganei, si chiude nello studio, esaminando tutte le sue carte, che in parte distrugge. Si allontana di nuovo e va dalla madre, per un ultimo abbraccio, poi torna sui suoi passi e prima di morire, scrive due lettere, una a Lorenzo e una a Teresa. Jacopo si uccide la notte del 25 marzo.

Il suicidio non è improvviso, bensì è un atto lungamente meditato e accuratamente preparato (l’ultima visita a Teresa, l’abbraccio finale alla madre, la lettera a Lorenzo con quella da consegnare a Teresa, l’ultima passeggiata….), inevitabile conclusione di una vita ormai vista come dolore e impotenza. La decisione di uccidersi rappresenta, alfierianamente, affermazione e bisogno di libertà, denuncia di oppressione e protesta contro la società e il destino.

Torno a te mia Teresa. Se mentre io viveva era colpa per te l’ascoltarmi; ascoltami almeno in queste poche ore che mi disgiungono dalla morte; e le ho riserbate tutte a te sola. Avrai questa lettera quando io sarò sotterrato; e da quella ora tutti forse incomincieranno ad obbliarmi, finché niuno più si ricorderà del mio nome — ascoltami come una voce che vien dal sepolcro. Tu piangerai i miei giorni svaniti al pari di una visione notturna; piangerai il nostro amore che fu inutile e mesto come le lampade che rischiarano le bare de’ morti. — Oh sì, mia Teresa; dovevano pure una volta finir le mie pene; e la mia mano non trema nell’armarsi del ferro liberatore, poiché abbandono la vita mentre tu m’ami, mentre sono ancora degno di te, e degno del tuo pianto, ed io posso sacrificarmi a me solo, ed alla tua virtù. No; allora non ti sarà colpa l’amarmi; e lo pretendo il tuo amore; lo chiedo in vigore delle mie sventure, dell’amor mio, e del tremendo mio sacrificio. Ah se tu un giorno passassi senza gettare un’occhiata su la terra che coprirà questo giovine sconsolato — me misero! io avrei lasciata dietro di me l’eterna dimenticanza anche nel tuo cuore!

Per l’estremo saluto Jacopo torva il coraggio di rivolgersi direttamente a Teresa, attraverso un testo che solo apparentemente è espressione emozionata e spontanea, infatti si coglie l’attenzione alla scelta delle parole giuste per far accettare alla donna amata la sua decisione estrema.

Tu credi ch’io parta. Io? — ti lascierò in nuovi contrasti con te medesima, e in continua disperazione? E mentre tu m’ami, ed io t’amo, e sento che t’amerò eternamente, ti lascierò per la speranza che la nostra passione s’estingua prima de’ nostri giorni? No; la morte sola, la morte. Io mi scavo da gran tempo la fossa, e mi sono assuefatto a guardarla giorno e notte, e a misurarla freddamente — e appena in questi estremi la Natura rifugge e grida — ma io ti perdo, ed io morrò. Tu stessa, tu mi fuggivi; ci si contendeano le lagrime. — E non t’avvedevi tu nella mia tremenda tranquillità ch’io voleva prendere da te gli ultimi congedi, e ch’io ti domandava l’eterno addio? […]

Lo stile esprime l’incalzare dei pensieri di annientamento che tormentano le ultime ore di Jacopo: le frasi sono frammentarie e disarticolate, il polisindeto è insistente segnale di incapacità di ragionare lucidamente.

Addio dunque — addio all’universo! O amica mia! la sorgente delle lagrime è in me dunque inesausta? io torno a piangere e a tremare ma per poco; tutto in breve sarà annichilito. Ahi! le mie passioni vivono, ed ardono, e mi possedono ancora: e quando la notte eterna rapirà il mondo a questi occhi, allora solo seppellirò meco i miei desiderj e il mio pianto. Ma gli occhi miei lagrimosi ti cercano ancora prima di chiudersi per sempre. Ti vedrò, ti vedrò per l’ultima volta, ti lascierò gli ultimi addio, e prenderò da te le tue lagrime, unico frutto di tanto amore! […]

L’addio di Jacopo si estende alla Natura, a tutti gli esseri viventi, rivendicando il perdurare fino all’ultimo delle passioni e delle illusioni. Dopo solo la notte eterna attenderà Jacopo, che non ha alcuna speranza in una vita ultraterrena, esprimendo così il rigido materialismo di Foscolo e rendendo ancora più eroico il suo sacrificio in nome del rifiuto di ogni forma di compromesso.

ore 1
Ho visitato le mie montagne, ho visitato il lago de’ cinque fonti, ho salutato per sempre le selve, i campi, il cielo. O mie solitudini! o rivo, che mi hai la prima volta insegnato la casa di quella fanciulla celeste! quante volte ho sparpagliato i fiori su le tue acque che passavano sotto le sue finestre! quante volte ho passeggiato con Teresa per le tue sponde, mentr’io inebbriandomi della voluttà di adorarla, vuotava a gran sorsi il calice della morte. […]

Il gesto di Jacopo non è un suicidio improvviso, bensì un suicidio lungamente meditato e accuratamente preparato (l’ultima visita a Teresa, l’abbraccio finale alla madre, la lettera a Lorenzo con quella da consegnare a Teresa, l’ultima passeggiata….), inevitabile conclusione di una vita ormai vista come dolore e impotenza. Il riferimento evangelico (Gesù nel Getsemani dice “Allontana da me questo calice”) collega la morte imminente di Jacopo al sacrificio di Cristo, immolatosi per salvare l’umanità

Dopo aver rievocato i giorni felici nella prima parte della lettera, Jacopo annuncia la separazione e la propria morte.

T’amai dunque t’amai, e t’amo ancor di un amore che non si può concepire che da me solo. È poco prezzo, o mio angelo, la morte per chi ha potuto udir che tu l’ami, e sentirsi scorrere in tutta l’anima la voluttà del tuo bacio, e piangere teco — io sto col piè nella fossa; eppure tu anche in questo frangente ritorni, come solevi, davanti a questi occhi che morendo si fissano in te, in te che sacra risplendi di tutta la tua bellezza. E fra poco! Tutto è apparecchiato; la notte è già troppo avvanzata — addio — fra poco saremo disgiunti dal nulla, o dalla incomprensibile eternità.

La lettera di Jacopo è contraddittoria, perché afferma che lo attende il Nulla, fedele a una concezione materialistica, ma si riferisce continuamente a Dio nella preghiera.

Nel nulla? Sì. — Sì, sì; poiché sarò senza di te, io prego il sommo Iddio, se non ci riserba alcun luogo ov’io possa riunirmi teco per sempre, le prego dalle viscere dell’anima mia, e in questa tremenda ora della morte, perché egli m’abbandoni soltanto nel nulla.

L’eroismo del suicidio risiede nella coerenza di Jacopo alle proprie scelte morali, il rifiuto della vita assume così il significato di modello per le generazioni future, esso dà senso a tutta la vita del giovane.

Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso, e pieno di te, e certo del tuo pianto! Perdonami, Teresa, se mai — ah consolati, e vivi per la felicità de’ nostri miseri genitori; la tua morte farebbe maledire le mie ceneri.
Che se taluno ardisse incolparti del mio infelice destino, confondilo con questo mio giuramento solenne ch’io pronunzio gittandomi nella notte della morte: Teresa è innocente. — Ora tu accogli l’anima mia.

Quello dell’Ortis è, ad una lettura più attenta e profonda, un doppio suicidio in quanto le ragioni che lo spingono al gesto estremo sono duplici: l’amore impossibile per Teresa e la lotta, ugualmente impossibile, per la patria. E perciò quello che Jacopo cerca e trova nel suicidio è la rappresentazione estrema di ciò che cercano tutti i romantici: l’infinito, la tensione eterna verso di esso.

Sarà Lorenzo a trovare il corpo insanguinato di Jacopo, al collo del quale scoprirà l’immagine della donna amata.

Di Lorenzo sappiamo che è stato fedele amico di Jacopo e continua ad esserlo anche dopo la sua morte. Sconvolto dalla morte dell’amico e debitore delle promesse fatte a questo, decide di omaggiarlo con una raccolta delle sue lettere ed è quindi l’editore del libro. Il suo carattere lo si desume dalle lettere del protagonista e dalla scrittura che compare nella seconda parte del libro: sincero, leale, un po’ pedante, fedele e puntuale, rappresenta l’amicizia. E’ un personaggio solido e razionale come un settecentista, e contemporaneamente romantico, per la suggestione dei comportamenti dell’amico. Di Jacopo non comprende fino in fondo le inquietudini e gli interrogativi, le scelte e i comportamenti.

Il romanzo termina con il racconto di Lorenzo che descrive il ritrovamento di Jacopo, ormai prossimo alla morte, e il suo funerale.

Il ragazzo, che dormiva nella camera contigua all’appartamento di Jacopo, fu scosso come da un lungo gemito: tese l’orecchio per sincerarsi s’ei lo chiamava; aprì la finestra sospettando ch’io avessi gridato all’uscio, da che stava avvertito ch’io sarei tornato sul far del dì; ma chiaritosi che tutto era quiete e la notte ancor fitta, tornò a coricarsi e si addormentò. Mi disse poi che quel gemito gli aveva fatto paura: ma che non vi badò più che tanto perché il suo padrone soleva alle volte smaniare fra il sonno.
La mattina, Michele dopo aver bussato e chiamato un pezzo alla porta, sconficcò il chiavistello; e non udendosi rispondere nella prima camera, s’innoltrò perplesso; e al chiarore della lucerna che ardeva tuttavia, gli si affacciò Jacopo agonizzante nel proprio sangue. Spalancò le finestre chiamando gente, e perché nessuno accorreva, s’affrettò a casa del chirurgo, ma non lo trovò perché assisteva a un moribondo; corse al parroco, ed anch’esso era fuori per lo stesso motivo.

L’uso delle coordinate, la frequenza dei verbi e la ripetizione della “e” rendono drammatica la narrazione della scoperta di Jacopo moribondo. L’assenza di subordinate sottoliena la concitazione del momento, quando la tragicità della scoperta impedisce la costruzione di pensieri strutturati

Entrò ansante nel giardino di casa T*** mentre Teresa scendeva per uscire di casa con suo marito, il quale appunto dicevale come dianzi avea risaputo che in quella notte Jacopo non era altrimenti partito; ed ella sperò di potergli dire addio un’altra volta: e scorgendo il servo da lontano voltò il viso verso il cancello donde Jacopo soleva sempre venire, e con una mano si sgombrò il velo che cadevale sulla fronte, e rimirava intentamente, costretta da dolorosa impazienza di accertarsi s’ei pur veniva: e le si accostò a un tratto Michele domandando aiuto, perché il suo padrone s’era ferito, e che non gli parea ancora morto: ed essa ascoltavalo immobile con le pupille fitte sempre verso il cancello: poi senza mandare lagrima né parola, cascò tramortita fra le braccia di Odoardo.
Il signore T*** accorse sperando di salvare la vita del suo misero amico. Lo trovò steso sopra un sofà con tutta quasi la faccia nascosta fra’ cuscini: immobile, se non che ad ora ad ora anelava. S’era piantato un puguale sotto la mammella sinistra ma se l’era cavato dalla ferita, e gli era caduto a terra. Il suo abito nero e il fazzoletto da collo stavano gittati sopra una sedia vicina. Era vestito del gilè, de’ calzoni lunghi e degli stivali; e cinto d’una fascia larghissima di seta di cui un capo pendeva insanguinato, perché forse morendo tentò di svolgersela dal corpo. Il signore T*** gli sollevava lievemente dal petto la camicia, che tutta inzuppata di sangue gli si era rappressa su la ferita. Jacopo si risentì; e sollevò il viso verso di lui; e riguardandolo con gli occhi nuotanti nella morte, stese un braccio, come per impedirlo, e tentava con l’altro di stringergli la mano — ma ricascando con la testa su i guanciali, alzò gli occhi al cielo, e spirò.
La ferita era assai larga, e profonda; e sebbene non avesse colpito il cuore, egli si affrettò la morte lasciando perdere il sangue che andava a rivi per la stanza. Gli pendeva dal collo il ritratto di Teresa tutto nero di sangue, se non che era alquanto polito nel mezzo; e le labbra insanguinate di Jacopo fanno congetturare ch’ei nell’agonia baciasse la immagine della sua amica.

La descrizione particolareggiata degli oggetti sullo scrittoio di Jacopo ha un significato simbolico, in quanto tutto allude alla precarietà della vita: la Bibbia rimanda ad una ricerca spirituale — già evidenziata nella lettera indirizzata a Teresa — tuttavia è chiusa, poiché Jacopo non vi ha trovato conforto; la lettera alla madre, corretta e interrotta, alludono all’inutilità dello scrivere di fronte alla vita interrotta di un figlio; l’orologio è metafora del trascorrere del tempo.

Stava su lo scrittojo la Bibbia chiusa, e sovr’essa l’oriuolo; e presso, varj fogli bianchi; in uno de’ quali era scritto: Mia cara madre: e da poche linee cassate, appena si potea rilevare, espiazione; e più sotto; di pianto eterno. In un altro foglio si leggeva soltanto l’indirizzo a sua madre, come se pentitosi della prima lettera ne avesse incominciata un’altra che non gli bastò il cuore di continuare.
Appena io giunsi da Padova ove m’era convenuto indugiare più ch’io non voleva, fui sopraffatto dalla calca de’ contadini che s’affollavano muti sotto i portici del cortile; ed altri mi guardavano attoniti, e taluno mi pregava che non salissi. Balzai tremando nella stanza, e mi s’appresentò il padre di Teresa gettato disperatamente sopra il cadavere; e Michele ginocchione con la faccia per terra. Non so come ebbi tanta forza d’avvicinarmi e di porgli una mano sul cuore presso la ferita; era morto, freddo. Mi mancava il pianto e la voce; ed io stava guardando stupidamente quel sangue: finché venne il parroco e subito dopo il chirurgo, i quali con alcuni famigliari ci strapparono a forza dal fiero spettacolo. Teresa visse in tutti que’ giorni fra il lutto de’ suoi in un mortale silenzio. — La notte mi strascinai dietro al cadavere che da tre lavoratori fu sotterrato sul monte de’ pini.

Nella lettera scritta a Lorenzo in quello stesso giorno ha indicato le sue ultime volontà, che verranno rispettate: “Fa’ ch’io sia sepolto, così come sarò trovato, in un sito abbandonato, di notte, senza lapide, sotto i pini del colle che guarda la chiesa. Il ritratto di Teresa sia sotterrato col mio cadavere”. In questo modo Jacopo fa apparire come libera scelta la sepoltura in terra non consacrata, visto che ai suicidi all’inizio dell’Ottocento non erano concessi riti funebri né tombe entro i cimiteri, in quanto peccatori irredimibili.

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Luca Pirola
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Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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