La poesia impressionistica di Myricae
Il lampo, Il tuono e Temporale
La raccolta Myricae compare per la prima volta nel 1891 e raggiunge l’edizione definitiva nel 1900, che raggruppa 156 componimenti, in gran parte brevi. Pur comprendendo testi riveduti e corretti nel corso di un decennio, Pascoli presenta questa raccolta come espressione di un ideale “primo tempo” della sua poesia.
L’intera raccolta deve il titolo ad un verso delle Bucoliche del poeta latino Virgilio: «iuvant arbusta humilesque myricae.», ossia, «piacciono gli alberi e le umili tamerici». Con questo titolo Pascoli vuole introdurci subito al tono semplice delle sue liriche, alla quotidianità dei temi in esse affrontate. In Myricae viene raccontata la vita agreste in tutte le sue sfaccettature, ma dietro ad ogni figura bucolica ritroviamo le inquietudini del poeta, il senso di precarietà dell’esistenza e il dramma della morte.
Le tre liriche accostate rappresentano una descrizione impressionistica, ottenuta con giustapposizione di vari particolari visivi, che comprende tutti i sensi coinvolti, suscitando emozioni sonore e visive.
IX Il lampo
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s’aprì si chiuse, nella notte nera.
La poesia Il lampo presenta uno scenario inquietante e tragico: alla luce di un lampo si mostra l’aspetto della terra e del cielo scossi dalla tempesta, e appare d’altra parte per un attimo la visione di una casa bianca, paragonata a un occhio dilatato e stupito che si apre brevemente nel buio.
Soprattutto il richiamo all’occhio suggerisce la possibilità di un’interpretazione simbolica di questo testo. Per esempio: la vita dell’uomo, o la coscienza, è come un lampo che per un breve attimo consegna una visione fondata della realtà, la quale si rivela nel suo orrore e nella sua insensatezza. Tuttavia è solo la conoscenza del brano della prefazione inedita a rendere davvero comprensibile la genesi e il significato del testo, che in realtà è concepito come una metafora degli ultimi momenti del padre agonizzante.
I pensieri che tu, o padre mio benedetto, facesti in quel momento, in quel batter d’ala — Il momento fu rapido… ma i pensieri non furono brevi e pochi. Quale intensità di passione! Come un lampo in una notte buia buia: dura un attimo e ti rivela tutto un cielo pezzato, lastricato, squarciato, affannato, tragico; una terra irta piena d’alberi neri che si inchinano e si svincolano, e case e croci.
La breve lirica rappresenta dunque ciò che il padre vide nell’istante della morte. Il «lampo» è quello della fucilata che lo uccise, ed è quello di una visione fulminea e rivelatrice; l’«occhio» è quello del morente. È insomma qui presentata in scorcio una vicenda narrativa della quale si tace ogni rimando realistico. In tal modo è interrotto il rapporto tra eventi e loro significato, tra eventi e loro interpretazione, perché vengono presentati la sola interpretazione e il solo significato: cioè il valore simbolico della realtà, senza la realtà, ovvero la realtà ridotta a dato simbolico e cancellata in quanto dato materiale.
X
Il tuono
E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d’arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s’udì, di madre, e il moto di una culla.
Pascoli, con la seconda poesia della serie, vuole descrivere il tuono che, con alto fragore, rintrona nella notte scatenandosi in tutta la sua violenza terribile. L’essere umano all’udire questa voce possente della natura, s’impaurisce come il bimbo che piange spaventato nella notte buia.
All’immagine minacciosa della natura si contrappongono, però, le figure rassicuranti della madre e della culla.
Infatti, ad intervenire per tranquillizzare il suo bimbo fu la madre, la quale si assume un simbolo di protezione, di sicurezza e di pace serena.
Alla luce dell’interpretazione simbolica della prima poesia, si possono individuare nella descrizione apparentemente paesaggistica le conseguenze della morte del padre: il rumore dello sparo (il tuono) terrorizza il bambino che scopre il dolore profondo insito nell’esistenza. Solo la madre può consolarlo, dandogli un senso di sicurezza.
Le due liriche sono piccole ballate di 7 versi endecasillabi, il cui primo verso costituisce la ripresa. La “e” iniziale rende la continuità fra il filo del suo pensiero e l’evento, e dà l’idea che il poeta volesse continuare un discorso aperto in precedenza.
Dal punto di vista sintattico le poesie si differenziano, perché il lampo è costituita da quattro periodi distinti, brevi e intensi, mentre il tuono è un lungo periodo scandito da virgole e spezzato a metà dai due punti. Nella prima parte c’è una proposizione reggente e una frase subordinata, mentre la seconda parte è composta da frasi coordinate.
Il lessico di entrambe non è complesso, tuttavia è di particolare rilevanza l’aspetto fonico delle poesie, infatti è evidente l’allitterazione della “t” e della “u” ne il lampo e il vocalismo de il tuono dove inizialmente si hanno vocali chiuse “nera come il nulla”, poi vocali aperte “tratto… arduo, frana… tuono” e chiuse “fragor… dirupo”. Infine vi sono parole tronche con echi di scoppi sonori “rimbombò, rimbalzò, rotolò, rimaneggiò” che risuonano cupi in lontananza fino allo svanirvi attraverso quel “vanì”.
Lo schema delle rime è A BCBCCA. Come si può notare la chiave interpretativa è la rima “qual era” e “nera” nella prima lirica e fra “nulla” (= spavento, collera della natura, vuoto, assenza) e “culla” (= rifugio contro le avversità, mondo degli affetti familiari). L’anticlimax più la rima di “schianto”, “rifranto” e “canto” dà il passaggio dal negativo al positivo, infatti il simbolo del tuono diventa canto. Inoltre è presente una cesura “e poi vanì” (v.6) e un enjambement “soave allora un canto s’udì di madre (v.6–7).
XII
Temporale
Un bubbolìo lontano…
Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare:
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un’ala di gabbiano.
Un paesaggio sotto la minaccia di un temporale in arrivo è colto come un’istantanea: è l’emozione di un attimo, priva di qualsiasi contesto, aperta e chiusa all’improvviso.
La poesia Temporale è un rapido accostamento di sensazioni tradotte in veloci pennellate, in forti contrasti di colore che completano le sensazioni sonore con cui la lirica inizia, per poi concludersi lasciando lasciano lo spazio nel finale al simbolismo. Infatti il primo verso è costituito da un termine onomatopeico che sembra introdurre ciò che verrà dopo: si tratta del brontolio del tuono ed anche del nome di un uccello.
Il nome di bubbolo è stato dato a quest’uccello a cagione del grido che manda in primavera. Stando nascosto dietro gli alberi continuamente ripete bu, bu, bu, bu, con voce sonora e forte di modo che ne risuona la campagna
Il temporale notturno e il tuono di cui si parla nella poesia non sono fenomeni atmosferici, rappresentati attraverso immagini e suoni, come potrebbe sembrare a una prima lettura, ma un fenomeno introiettivo: è un lampo che si vede, è un tuono che si ode veramente, è sì un temporale, ma dell’anima. In queste poesie, infatti, vi è tutta l’esistenza del poeta: lo schianto che ha ucciso il padre, il rimbombo della frana, il nero della tempesta rappresentano la sua vita, funestata dai lutti, mentre il canto della madre e l’ala di gabbiano il nido in cui rifugiarsi per tentare di sopravvivere.
Tutta la sintassi della poesia è retta da un solo verbo-predicato (rosseggia, v. 2); per il resto si regge su una serie di frasi nominali. La semplificazione sintattica favorisce il condensarsi, quasi il sovrapporsi, delle immagini. La stessa condensazione espressiva è prodotta dalle metafore nero di pece (v.4) e stracci di nubi (v.5), che danno consistenza materiale alle impressioni.
Gli ultimi due versi colpiscono sia per l’antitesi fra il nero del cielo e il bianco del casolare che per l’analogia fra il casolare e l’ala di gabbiano. Il poeta si serve dell’analogia per accostare elementi di natura diversa, al fine di scoprire i rapporti più profondi che s’instaurano tra le cose.