Il velo delle Grazie
Le Grazie, Inno III, 150–212
Le Grazie è composto da tre inni in endecasillabi sciolti. Il primo inno è dedicato alla dea Venere e alla sua nascita e apparizione nel mare greco insieme alle sue figlie le Grazie. Venere, con la sua apparizione, fa scoprire all’uomo la bellezza, affidando alle Grazie il compito di ricordare sempre i valori e i sentimenti che rendono grande ed eterno l’uomo. Nel secondo inno viene presentato un rito in onore della dea del focolare Vesta. Il terzo inno, dedicato a Pallade Atena celebra l’armonia della poesia. La dea fa dono alle Grazie di un velo, il cui significato allegorico è spiegato da Foscolo stesso:
Come le violente passioni avrebbero distrutto le più miti ispirazioni delle Grazie, sovvenne al poeta l’avventuroso pensiero di proteggere quelle deità con un velo dagli assalti dell’Amore, che governa questo globo impetuosamente e da tiranno. È sì trasparente quel velo, che non pur non asconde, ma neanche adombra le bellissime forme; e a guisa di amuleto invisibile le difende dal fuoco delle passioni divoratrici.
Le immagini rappresentate sul velo delineano chiaramente il sistema dei valori (o illusioni) foscoliano al tempo delle Grazie: la giovinezza confidente nel futuro, l’amore pudico, la pietà per il nemico vinto, l’ospitalità e la gioia del convito e dell’amicizia, improntata a sincerità e misura, l’affetto materno.
Mesci, odorosa Dea, rosee le fila;
e nel mezzo del velo ardita balli,
canti fra ’l coro delle sue speranze
Giovinezza: percote a spessi tocchi
antico un plettro il Tempo; e la danzante
discende un clivo onde nessun risale.
Le Grazie a’ piedi suoi destano fiori,
a fiorir sue ghirlande: e quando il biondo
crin t’abbandoni e perderai ’l tuo nome,
vivran que’ fiori, o Giovinezza, e intorno
l’urna funerea spireranno odore.
Il centro del velo è occupato da un ricamo che rappresenta la vita umana, di cui sono protagonisti la Giovinezza, una leggiadra danzatrice che scende un pendio senza ritorno, e il Tempo, che sottolinea la discesa e la scomparsa.
I ricami che circondano l’immagine centrale evocano le virtù umane in grado di ostacolare la barbarie e la dissoluzione nella violenza delle passioni: si tratta di valori legati alla convivenza civile e al rispetto dell’altro. Il primo di essi è la purezza dell’amore coniugale.
Or mesci, amabil Dea, nivee le fila;
e ad un lato del velo Espero sorga
dal lavor di tue dita; escono errando
fra l’ombre e i raggi fuor d’un mìrteo bosco
due tortorelle mormorando ai baci;
mirale occulto un rosignuol, e ascolta
silenzïoso, e poi canta imenei:
fuggono quelle vereconde al bosco.
La seconda immagine ricorda la compassione del guerriero, memore die propri genitori, che osserva i nemici prigionieri come uomini accomunati dalla medesima sorte di lontananza degli affetti.
Mesci, madre dei fior, lauri alle fila;
e sul contrario lato erri co’ specchi
dell’alba il sogno; e mandi a le pupille
sopite del guerrier miseri i volti
de la madre e del padre allor che all’are
recan lagrime e voti; e quei si desta,
e i prigionieri suoi guarda e sospira.
La convivialità serena di una festa permette di celebrare l’ospitalità e il rispetto reciproco.
Mesci, o Flora gentile, oro alle fila;
e il destro lembo istorïato esulti
d’un festante convito: il Genio in volta
prime coroni agli esuli le tazze.
Or libera è la gioia, ilare il biasmo,
e candida è la lode. A parte siede
bello il Silenzio arguto in viso e accenna
che non volino i detti oltre le soglie.
La tenerezza dell’amore materno permette a Foscolo di ritornare al tema della caducità della vita e alla riflessione sul destino di dolore di ognuno.
Mesci cerulee, Dea, mesci le fila;
e pinta il lembo estremo abbia una donna
che con l’ombre e i silenzi unica veglia;
nutre una lampa su la culla, e teme
non i vagiti del suo primo infante
sien presagi di morte; e in quell’errore
non manda a tutto il cielo altro che pianti.
Beata! ancor non sa quanto agl’infanti
provido è il sonno eterno, e que’ vagiti
presagi son di dolorosa vita.
Infine l’Aurora circonda con orli leggeri il velo e le immagini che vi sono ricamate. Foscolo affida alle immagini create dalla parola poetica la funzione di evocare le virtù dell’uomo, le illusioni che rendono dignitosa la vita, equilibrando la distruttività delle passioni.
Simbolicamente è la virtù del velo, intessuto con le figure che rappresentano i valori della civiltà, che consente alla Grazie di attraversare le fiamme d’Amore restando intatte. La poesia, quindi, protegge le Grazie, che sì velate/apparian come pria vergini nude, e permette di equilibrare le passioni e i conflitti umani, riportando agli uomini l’armonia e la civiltà, sottraendoli almeno in parte all’infelicità dell’azione disgregatrice del Tempo.
Come d’Èrato al canto ebbe perfetti
Flora i trapunti, ghirlandò l’Aurora
gli aerei fluttuanti orli del velo
d’ignote rose a noi; sol la fragranza,
se vicino è un Iddio, scende alla terra.
E fra l’altre immortali ultima venne
rugiadosa la bionda Ebe, costretti
in mille nodi fra le perle i crini,
silenzïosa, e l’anfora converse:
e dell’altre la vaga opra fatale
rorò d’ambrosia; e fu quel velo eterno.
Poi su le tre di Citerea Gemelle
tutte le Dive il diffondeano; ed elle
fra le fiamme d’amore invano intatte
a rallegrar la terra; e sì velate
apparian come pria vergini nude.
Partendo dall’immagine iniziale Foscolo riflette sulla fragilità umana che inizia con la fuggevole giovinezza e culmina con una riflessione sul destino dell’uomo, orientato alla morte; in fatti le sue prime espressioni, i vagiti
presagi son di dolorosa vita. La consapevolezza pessimistica, tuttavia, è contemporanea alla celebrazione dello slancio vitale dell’uomo: mentre la Giovinezza scende la china e perde il suo nome, i fiori che le Grazie hanno sparso rimangono nel tempo. La caducità dell’esistenza, il degradarsi delle umane cose è mitigato dai frutti delle Grazie, cioè le opere dell’arte che resistono alla corrosione del tempo.