In memoria
Giuseppe Ungaretti, L’allegria
La poesia è un omaggio accurato e affettuoso a Mohammed Sceab, amico d’infanzia egiziano del poeta, conosciuto ad Alessandria e ritrovato più tardi a Parigi, dopo anni di lontananza, ma subito perduto nuovamente perché morto suicida nel 1916. Ungaretti ricorda l’amico egiziano trapiantato a Parigi, incapace di appartenere tanto al suo vecchio mondo quanto a quello nuovo, e privato anche della consolazione ella poesia. Il suicidio (taciuto) e il funerale sono gli ultimi atti di un’esistenza di cui anche la memoria rischia di svanire.
Il ricodo di Mohammed Sceab è occasione per Ungaretti per una riflessione sulla propria personale vicenda, segnata dall’esperienza dello sradicamento.
Locvizza il 30 settembre 1916
Si chiamava
Moammed SceabDiscendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nomeFu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
Il fatto che Mohammed avesse acquisito un nome francese, ma non si sentisse tale è il segno della mancata integrazione nella nuova struttura urbana e sociale e, insieme, simboleggia l’allontanamento dal luogo originario, la tenda. Questa rappresenta lo spazio interno, un microcosmo di straordinaria intensità sensitiva, fatto di notazioni uditive (la cantilena / del Corano vv. 15–16) e olfattivo — gustative (gustando un caffé v.17).
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
Attraverso la vicenda dell’amico Ungaretti rivendica con fierezza il compito della poesia di tramandare la storia degli uomini. Infatti proprio intorno al canto poetico si consuma la differenza essenziale tra i due amici: Sceab è morto senza la consolazione della poesia, mentre Ungaretti può riscattare la propria desolata condizione attraverso la parola poetica.
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
All’intimità della tenda si contrappone lo spazio urbano di Parigi, la città che è causa del trauma di Sceab. Parigi è uno spazio desertico, perché privo della consolazione religiosa e culturale (la tenda dei suoi v. 14); la descrizione degradata e precisa della strada cittadina e del mesto corteo funebre — alluso nell’indicazione verbale l’ho accompagnato (v.22) — insinuano un’identificazione tra la città dei vivi e quella dei morti. Il tema della morte è, infatti, prefigurato, simbolicamente e lessicalmente, dalle locuzioni appassito e in discesa (v.27).
Dalla consapevolezza della disperazione dell’amico nasce l’esigenza dell’io lirico di riscoprire il senso degli avi, di ritrovare il centro religioso e culturale, di provare a sciogliere / il canto / del suo abbandono (vv.19–21).
E forse io solo
so ancora
che visse
La memoria poetica è l’unico spazio in cui si coltiva il ricordo dell’amico, ma il poeta dubita che la forza della parola possa essere condivisa con altri: la poesia è una rivelazione solitaria.