La biblioteca Boccamazza

Il fu Mattia Pascal — capitoli I e II

Luca Pirola
7 min readDec 12, 2020
Libreria Lello, Porto

Prima di iniziare Il fu Mattia Pascal, il lettore incontra queste due premesse, di cui la seconda ha il titolo: Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa. In queste pagine il protagonista descrive al lettore il luogo in cui sta redigendo le sue memorie, e dove ha intenzione di lasciare il manoscritto una volta ultimato.

I Premessa

Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de’ miei amici o conoscenti dimostrava d’aver perduto il senno fino al punto di venire da me per qualche consiglio o suggerimento, mi stringevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo:
— Io mi chiamo Mattia Pascal.
— Grazie, caro. Questo lo so.
— E ti par poco?
Non pareva molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che cosa volesse dire il non sapere neppur questo, il non poter più rispondere, cioè, come prima, all’occorrenza:
— Io mi chiamo Mattia Pascal.

Il protagonista narratore si presenta ai lettori con nome e cognome, li informa subito di aver sempre avuto poche certezze. Ora non sa nemmeno più quale sia veramente il suo nome, ma ciò non deriva da un problema legato a una nascita illegittima: il suo caso è ben più strano.

Qualcuno vorrà bene compiangermi (costa così poco), immaginando l’atroce cordoglio d’un disgraziato, al quale avvenga di scoprire tutt’a un tratto che… sì, niente, insomma: né padre, né madre, né come fu o come non fu; e vorrà pur bene indignarsi (costa anche meno) della corruzione dei costumi, e de’ vizii, e della tristezza dei tempi, che di tanto male possono esser cagione a un povero innocente.
Ebbene, si accomodi. Ma è mio dovere avvertirlo che non si tratta propriamente di questo. Potrei qui esporre, di fatti, in un albero genealogico, l’origine e la discendenza della mia famiglia e dimostrare come qualmente non solo ho conosciuto mio padre e mia madre, ma e gli antenati miei e le loro azioni, in un lungo decorso di tempo, non tutte veramente lodevoli.
E allora?

Ecco: il mio caso è assai più strano e diverso; tanto diverso e strano che mi faccio a narrarlo.

Il romanzo inizia nel segno della “stranezza” e della “diversità”. L’io narrante si pone, infatti, fin dal principio in una posizione di totale unicità rispetto al resto dell’umanità, e questo è certo un elemento che contribuisce a destare l’interesse del lettore. Proprio tale unicità è l’elemento scatenante della narrazione. L’effetto che queste strane informazioni e anticipazioni suscitano nel lettore è di spiazzamento e di curiosità (come mai Mattia non è più certo di chiamarsi così? Che significato può avere la duplice morte?). D’altra parti il modo bizzarro con cui il narratore si presenta non ispira una particolare fiducia: che credito si può dare a uno che non sa neanche il suo nome?
Il lettore individua subito Mattia Pascal come un narratore sfuggente e inattendibile, che lo metterà di fronte a una vicenda di incerta interpretazione.

Fui, per circa due anni, non so se più cacciatore di topi che guardiano di libri nella biblioteca che un monsignor Boccamazza, nel 1803, volle lasciar morendo al nostro Comune.

La seconda informazione che l’io narrante dà è relativa alla propria attività di bibliotecario di una bibliotecache un prelato (monsignor Boccamazza) ha donato al Comune di Miragno dopo la sua morte.
Vi è, qui, subito un passaggio straniante e di marcata intonazione ironica, in cui lo stesso io narrante non sa dare notizie precise di sé, cioè non sa dire se il proprio lavoro consista nell’essere un cacciatore di topi o un guardiano di libri: attività entrambe assurde e che certamente ridicolizzano il proprio lavoro di bibliotecario

È ben chiaro che questo Monsignore dovette conoscer poco l’indole e le abitudini de’ suoi concittadini; o forse sperò che il suo lascito dovesse col tempo e con la comodità accendere nel loro animo l’amore per lo studio. Finora, ne posso rendere testimonianza, non si è acceso: e questo dico in lode de’ miei concittadini. Del dono anzi il Comune si dimostrò così poco grato al Boccamazza, che non volle neppure erigergli un mezzo busto pur che fosse, e i libri lasciò per molti e molti anni accatastati in un vasto e umido magazzino,

La donazione di monsignor Boccamazza non è stata gradita né dalle autorità né dalla popolazione, motivo per cui la biblioteca giace in uno stato di totale confusione. Una biblioteca, per sua stessa natura, dovrebbe essere, invece, il luogo dell’ordine, un ordine che a sua volta riflette l’armonia del mondo e della conoscenza. Ci troviamo dunque di fronte a uno spazio snaturato e rovesciato.

donde poi li trasse, pensate voi in quale stato, per allogarli nella chiesetta fuori mano di Santa Maria Liberale, non so per qual ragione sconsacrata. Qua li affidò, senz’alcun discernimento, a titolo di beneficio, e come sinecura, a qualche sfaccendato ben protetto il quale, per due lire al giorno, stando a guardarli, o anche senza guardarli affatto, ne avesse sopportato per alcune ore il tanfo della muffa e del vecchiume.

Tutto è il contrario di come dovrebbe essere. Non solo nella biblioteca regna il più totale disordine, ma anche il luogo che la ospita è una chiesa sconsacrata, ossia uno spazio che non conserva più i caratteri specifici per i quali è stato costruito. Pirandello non crea un luogo che rifletta un’armonia cosmica, ma, al contrario, rappresenta una realtà informe, confusa e sostanzialmente incomprensibile.

Tal sorte toccò anche a me; e fin dal primo giorno io concepii così misera stima dei libri, sieno essi a stampa o manoscritti (come alcuni antichissimi della nostra biblioteca), che ora non mi sarei mai e poi mai messo a scrivere, se, come ho detto, non stimassi davvero strano il mio caso e tale da poter servire d’ammaestramento a qualche curioso lettore, che per avventura, riducendosi finalmente a effetto l’antica speranza della buon’anima di monsignor Boccamazza, capitasse in questa biblioteca, a cui io lascio questo mio manoscritto, con l’obbligo però che nessuno possa aprirlo se non cinquant’anni dopo la mia terza, ultima e definitiva morte.

L’io narrante non ha un destino che si è scelto o che si è conquistato con ambizione e caparbietà, ma una sorte che gli è “toccata”, quella di custode di un mondo “ammuffito” e disordinato, al quale è impossibile attingere per conoscere e ricavare certezze. Egli decide, però, di raccontare la propria storia perché è strana e perché sia di ammaestramento ad altri.

Giacché, per il momento (e Dio sa quanto me ne duole), io sono morto, sì, già due volte, ma la prima per errore, e la seconda… sentirete.

Ecco, in conclusione alla prima prefazione, un’anticipazione sulla stranezza del caso di Mattia Pascal, ossia il fatto che egli è già morto ben due volte. Si tratta di un abile colpo di scena che ci rivela quanto Pirandello si collochi al di fuori delle istanze veriste e realistiche e prediliga, invece, situazioni del tutto inverosimili che inducono il lettore a riflettere.

All’inizio della storia il narratore si trova nella biblioteca in cui lavora da quando ha perso le sue due identità: il romanzo è dunque una lunga analessi di cui il lettore conosce subito la fine.

II Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa

L’idea, o piuttosto, il consiglio di scrivere mi è venuto dal mio reverendo amico don Eligio Pellegrinotto, che al presente ha in custodia i libri della Boccamazza, e al quale io affido il manoscritto appena sarà terminato, se mai sarà.
Lo scrivo qua, nella chiesetta sconsacrata, al lume che mi viene dalla lanterna lassù, della cupola; qua, nell’abside riservata al bibliotecario e chiusa da una bassa cancellata di legno a pilastrini, mentre don Eligio sbuffa sotto l’incarico che si è eroicamente assunto di mettere un po’ d’ordine in questa vera babilonia di libri.

Mattia Pascal redige la propria storia su consiglio dell’amico don Eligio Pellegrinotto, con una sfumatura di dubbio riguardo al buon esito del proprio lavoro (se mai sarà). Si noti la precisione con la quale il protagonista descrive lo spazio dove scrive le proprie memorie: un luogo chiuso (la chiesa) e riposto (l’abside), separato dal resto dell’ambiente da un piccolo cancello di legno; un luogo che sottolinea anche visivamente la separazione e la diversità di Mattia Pascal dal resto dell’universo.

Lo scenario è desolante: privo di identità e di direzioni il fu Mattia Pascal è finito a lavorare in una biblioteca non frequentata da nessuno, nata dall’illusione di un prete che volle lasciare molti libri ai suoi concittadini, in realtà del tutto disinteressati alla cultura; per dipiù la biblioteca si trova in una chiesa vecchia, sconsacrata e cadente.

È, infatti, significativo che questa babilonia sia posta in una chiesa sconsacrata, ovvero non più adibita a luogo di culto. Come narra la Bibbia, la torre di Babele venne distrutta a causa dell’orgoglio umano, divenendo così il segno della maledizione di dio. La chiesa sconsacrata, assimilata simbolicamente a una babilonia, diventa l’immagine maledetta di un mondo decomposto, inconoscibile e in preda alla confusione

Temo che non ne verrà mai a capo. Nessuno prima di lui s’era curato di sapere, almeno all’ingrosso, dando di sfuggita un’occhiata ai dorsi, che razza di libri quel Monsignore avesse donato al Comune: si riteneva che tutti o quasi dovessero trattare di materie religiose. Ora il Pellegrinotto ha scoperto, per maggior sua consolazione, una varietà grandissima di materie nella biblioteca di Monsignore; e siccome i libri furon presi di qua e di là nel magazzino e accozzati così come venivano sotto mano, la confusione è indescrivibile. Si sono strette per la vicinanza fra questi libri amicizie oltre ogni dire speciose: don Eligio Pellegrinotto mi ha detto, ad esempio, che ha stentato non poco a staccare da un trattato molto licenzioso Dell’arte di amar le donne, libri tre di Anton Muzio Porro, dell’anno 1571, una Vita e morte di Faustino Materucci, Benedettino di Polirone, che taluni chiamano beato, biografia edita a Mantova nel 1625. Per l’umidità, le legature de’ due volumi si erano fraternamente appiccicate. Notare che nel libro secondo di quel trattato licenzioso si discorre a lungo della vita e delle avventure monacali.

Il trasferimento dall’abitazione di monsignor Boccamazza al magazzinoe, successivamente, da qui alla chiesa sconsacrata ha portato la biblioteca a uno stato di totale disordine. La “fusione” per mezzo dell’umidità di due libri dai contenuti opposti è l’emblema della “con-fusione”, del disordine e della casualità del mondo che questa biblioteca rappresenta

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