La chiarezza della poesia
Giorgio Caproni
Caproni è un poeta livornese con un lunga varia esperienza poetica che si sviluppa per tutto il Novecento. Il suo esordio negli anni Trenta e Quaranta del secolo si caratterizza per la scelta di un superamento dell’ermetismo per prediligere forme più rigorose dal punto di vista metrico. Nel decennio successivo, segnato dall’esperienza della guerra mondiale, Caproni si sofferma su componenti diaristiche legate alla sua vita privata: le liriche contenute in Cronistoria trattano delle conseguenze emotive dovute alla perdita della donna amata e della tragedia collettiva della guerra.
Successivamente Caproni accentua l’importanza della memoria quasi in contraddizione con il mondo contemporaneo del Miracolo economico, tutto proteso verso il progresso e lo sviluppo; egli compie una ricerca interiore di recupero del passato, soprattutto attraverso immagini simbolo come la madre. Infine tra gli anni Sessanta e Ottanta Caproni prosegue con una ricerca esistenziale, scegliendo una poesia costituita da forme brevi, toni epigrammatici coerenti con la personale ricerca etica e religiosa.
Caproni, dunque, passa da un’esperienza poetica vicina all’ermetismo, durante ala quale Caproni esplora il linguaggio dell’analogia, attua una ricerca lessicale finalizzata a identificare la parola pura e il significato simbolico delle immagini e dei termini, e successivamente riprende uno stile elegiaco che si concretizza in forme tradizionali, attraverso un linguaggio in equilibrio tra l’aulico e il colloquiale, tuttavia mantiene una coerenza poetica nella costante ricerca di dialogo diretto con il lettore. le sue liriche sono apparentemente semplici, elementari, ma nascondono una complessa visione esistenziale, che delinea un essere umano perso in paesaggi e situazioni quotidiani e banali, i quali trasmettono l’angoscia dell’uomo che non comprende quale sia il suo scopo nell’esistenza.
I temi della poesia di Caproni
Caproni scrive che i luoghi “hanno lasciato orme nel mio carattere e, qua e là, nei miei versi: e non davvero come elementi pittorici, ma anch’essi come laterizi (o metafore) de quell’umana condizione che ho sempre cercato di esprimere”.
Il poeta è spettatore affascinato del mondo fisico, capace di percepirlo e descriverlo in termini concreti e sensoriali. Il realismo di Caproni, tuttavia, è apparente, in quanto la realtà è effimera: è simbolo che rimanda ad un “altro” nascosto sotto la superficie. Pertanto non è possibile un completo abbandono nella Natura, tanto che i luoghi contemplati da Caproni sono per lo più città, spazi urbanizzati. Prima di tutto Livorno, la città dell’infanzia, il luogo dei ricordi e dei primi affetti. In seguito Genova, luogo di formazione umana e culturale, dove il poeta ha compiuto la scoperta del mondo al di fuori del sé; infine Roma, capitale affascinante, ma spaventosa, da cui il provinciale Caproni è attratto, ma allo stesso tempo intimorito pe la mancanza di punti di riferimento. Tutte le città cantate da Caproni fanno da scenario per la rappresentazione dell’umanità quotidiana, in quanto lui costruisce un’epica della gente comune, tutti siamo novelli Ulisse alla ricerca della propria identità perduta.
Le figure femminili sono un altro tema portante della lirica di Caproni. Prima fra tutte la madre descritta come una creatura vitale che comunica energia a chi le sta vicino; la positività della madre non è scalfita dall’ombra del dolore e della morte che gravano su di lei. Altre donne significative per Caproni sono Olga, la fidanzata morta prematuramente, e Rosa (detta Rina), la moglie. Le due donne rappresentano due poli antitetici: il ricordo della fidanzata assilla a lungo il poeta come ricordo di una stagione illusoria e sensuale, mentre Rosa rappresenta gioie e angustie della vita matrimoniale. È un punto di riferimento nella vita che continua.
La metafora del viaggio è, forse, l’immagine che accompagna più di ogni altra la produzione di Caproni, il quale afferma che “la vita umana è come un viaggio inarrestabile verso la morte”. L’assillo della fine, del senso dell’esistenza occupa la riflessione di Caproni dagli anni Sessanta in poi, quando il poeta avvia una crisi personale che lo porta a cercare di scoprire l’Assoluto. La crisi religiosa si esprime con il tema della discesa nel Limbo e dell’incontro con i morti, perciò la poesia diventa meditazione morale e riflessione esistenziale. La vita è rappresentata come un viaggio – soprattutto in treno – perché il convoglio ferroviario che corre sui binari dà l’immagine di un viaggio predestinato, obbligato, in cui l’individuo non può decidere orari, tappe, destinazione.
Interludio — analisi del testo
La lirica Interludio, dalla raccolta Stanze della funicolare, pubblicata nel 1950, anno della morte della madre.
Le stanze della funicolare appartengono alla tematica del viaggio ricorrente nei versi di Caproni e ne costituiscono la fase ancora giovanile, quando il poeta non ha ancora approfondito la sua filosofia e non ha evoluto conseguentemente il linguaggio espressivo.
L’attraversamento della città di Genova in a bordo della funicolare conserva tratti realistici, con accenni descrittivi dei quartieri di volta in volta intravisti attraverso i vetri della navicella ; l’occhio ne fissa gli aspetti distintivi ed annota le varie stazioni in cui avviene l’alt con la discesa dei viaggiatori.
E intanto ho conosciuto l’Erebo
‒ l’inverno in una latteria.
Ho conosciuto la mia
Prosèrpina, che nella scialba
veste lavava all’alba
i nebbiosi bicchieri.Ho conosciuto neri
tavoli ‒ anime in fretta
posare la bicicletta
allo stipite, e entrare
a perdersi fra i vapori.
E ho conosciuto rossori
indicibili ‒ mani
di gelo sulla segatura
rancida, e senza figura
nel fumo la ragazza
che aspetta con la sua tazza
vuota la mia paura
La parafrasi apparentemente propone la descrizione di una latteria appena aperta all’alba (la ragazza che la gestisce sta lavando i pavimenti e i bicchieri). Dopo che il poeta è entrato arrivano altri avventori che lasciano la bicicletta — mezzo di trasporto usato nonostante la stagione invernale — all’ingresso. La macchina del caffè diffonde nel locale i vapori delle bevande calde.
L’ambiente è definito dagli aggettivi negativi: la ragazza è scialba (poco attraente) con le mani paonazze per il gelo, i tavoli sono neri, l’odore preponderante è quello della segatura rancida. Tale descrizione diffonde una sensazione di oppressione, di negatività diffusa, tanto che il poeta accosta la latteria all’ingresso dell’Oltretomba [Erebo è il nome greco che significa “tenebra”, tradizionalmente usato per indicare le oscurità dell’Ade abitate dalle anime dei defunti]. Inoltre, l’allitterazione di er disseminata in tutta la poesia richiama la parola chiave “Erebo” (v.1) per enfatizzare l’idea del regno dei morti.
Caproni sceglie di descrivere un ambiente povero, popolare, una latteria, non una pasticceria del centro cittadino, definendolo come Erebo, nome dell’Oltretomba pagano, dove regna una Proserpina che non ha nulla di speciale, anzi è una ragazza qualunque, annoiata dal lavoro antelucano e ripetitivo. Il fumo, l’oscurità, l’azione del perdersi in questo locale mostrano l’inferno quotidiano di un’Italia povera e lavoratrice, composta da operai anonimi, che non hanno nulla di speciale, tanto che non assumono identità specifiche, ma sono semplicemente abbozzate (anime in fretta, v. 8). La povertà trasforma la vita di tutti i giorni in un inferno quotidiano, popolato da spettri che svaniscono nel fumo.
Lo stipite a cui è appoggiata la bicicletta rappresenta il confine tra il regno dei vivi e quello dei morti. Non a caso la bicicletta è il mezzo di trasporto libero che permette al conducente di fermarsi quando vuole o di scegliere il percorso. Ad essa si contrappone il treno (o la funicolare o il tram) che rappresentano il percorso predestinato della vita. In ogni caso il viaggio della vita termina con l’ingresso nel mondo dei morti. La paura finale espressa da Caproni esprime il timore del mistero della morte, che il poeta non riesce ancora a svelare e a esorcizzare.
Il mito permette a Caproni di andare oltre la realtà sensibile per rendere la dimensione metafisica del luogo: la poesia è dunque una rivelazione della Verità sottolineata dall’anafora di “ho conosciuto” (vv. 1, 7, 12).