La confessione di Mirra
Alfieri, tragedie, Mirra, atto 5, scena 2
Alfieri innova la tragedia favorendo al massimo la concentrazione della vicenda: sono eliminati prologo ed epilogo, coro e personaggi secondari (come i confidenti); vengono ridotti i monologhi; sono rispettate fedelmente le unità di tempo, luogo e azione; la tragedia alfieriana si affida tutta ai dialoghi, per lo più fitti di battute brevi o brevissime.
Completamente assente risulta la sfera del soprannaturale; Alfieri bandisce dalle sue tragedie sia il fato classico sia la provvidenza del Dio cristiano. L’anima delle tragedie alfieriane è il conflitto: quello fra il tiranno e l’eroe della libertà (destinato alla sconfitta), oppure quello tutto interiore come in Saul e in Mirra.
La trama
La giovane Mirra, promessa in sposa a Pereo, all’avvicinarsi delle nozze appare sempre più angosciata; i familiari (il padre Ciniro, la madre Cecri, la nutrice Euriclea) cercano di scoprirne il motivo. Mirra, a colloquio con i genitori, cerca di tranquillizzarli e accetta di sposare Pereo. Durante le nozze, Mirra cade in preda al delirio e respinge Pereo. Nelle concitate scene che seguono, Mirra implora inutilmente prima il padre e poi la madre di darle la morte. Ciniro annuncia a Mirra il suicidio di Pereo; segue un drammatico dialogo fra padre e figlia, al termine del quale Mirra rivela di essere innamorata proprio del padre e di provare gelosia per la madre, quindi si uccide, fra l’orrore dei genitori.
SCENA SECONDA
Ciniro, Mirra.Ciniro — Mirra, che nulla tu il mio onor curassi,
creduto io mai, no, non l’avrei; convinto
me n’hai (pur troppo!) in questo dí fatale
a tutti noi: ma, che ai comandi espressi,
e replicati del tuo padre, or tarda
all’obbedir tu sii, piú nuovo ancora
questo a me giunge.
Mirra … Del mio viver sei
signor, tu solo… Io de’ miei gravi,… e tanti
falli… la pena… a te chiedeva;… io stessa,…
or dianzi,… quí… — Presente era la madre;…
deh! perché allor… non mi uccidevi?…
La scena drammatica è costruita in modo da creare lo spannung mostrando il crescendo della tensione interiore dei due personaggi: inizialmente Ciniro afferma che l’errore principale della figlia è non confidarsi con lui; poi ipotizza che la figlia sia tormentata da amore, ma la sua disperazione cresce di fronte al rifiuto della figlia di rispondere; finalmente Mirra confessa che la causa del tormento è un amore non corrisposto, ma la ragazza definisce “iniqua” la passione e rivela la sua gelosia per la madre. A questo punto Ciniro comprende. Qui si raggiunge lo spannung che è risolto con il suicidio di Mirra.
Ciniro È tempo,
tempo ormai, sí, di cangiar modi, o Mirra.
Disperate parole indarno muovi;
e disperati, e in un tremanti, sguardi
al suolo affissi indarno. Assai ben chiara
in mezzo al dolor tuo traluce l’onta;
rea ti senti tu stessa. Il tuo piú grave
fallo, è il tacer col padre tuo: lo sdegno
quindi appien tu merti; e che in me cessi
l’immenso amor, che all’unica mia figlia
io giá portai. — Ma che? tu piangi? e tremi?
e inorridisci?… e taci? — A te fia dunque
l’ira del padre insopportabil pena?
Mirra Ah!… peggior… d’ogni morte…
Ciniro Odimi. — Al mondo
favola hai fatto i genitori tuoi,
quanto te stessa, coll’infausto fine
che alle da te volute nozze hai posto.
Giá l’oltraggio tuo crudo i giorni ha tronchi
del misero Peréo…
Mirra Che ascolto? Oh cielo!
Ciniro dà a Mirra la notizia della morte di Perso, sperando di ottenere così un’immediata confessione del nome dell’amato; in realtà la notizia per Mirra rappresenta un ulteriore motivo per sentirsi in colpa e nascondere l’amore per il padre. Il tema principale della tragedia è quello dell’incesto, “orrendo e innocente amore”, infatti l’attenzione narrativa è concentrata sul dilemma interiore di Mirra, che teme la condanna morale del padre. Il dramma che Mirra vive consiste nel conflitto tra passione e razionalità.
Ciniro Peréo, sí, muore; e tu lo uccidi. Uscito
del nostro aspetto appena, alle sue stanze
solo, e sepolto in un muto dolore,
ei si ritrae: null’uomo osa seguirlo.
Io, (lasso me!) tardo pur troppo io giungo…
Dal proprio acciaro trafitto, ei giacea
entro un mare di sangue: a me gli sguardi
pregni di pianto e di morte inalzava;…
e, fra i singulti estremi, dal suo labro
usciva ancor di Mirra il nome. — Ingrata…
Mirra Deh! piú non dirmi… Io sola, io degna sono,
di morte… E ancor respiro?…
Non comprendendo la tragedia interiore della figlia, Ciniro colpevolizza esplicitamente Mirra. Non ottenendo risultati, il padre cambierà in seguito strategia, assumendo un atteggiamento di compassionevole complicità.
Ciniro Il duolo orrendo
dell’infelice padre di Peréo,
io che son padre ed infelice, io solo
sentir lo posso: io ’l so, quanto esser debba
lo sdegno in lui, l’odio, il desio di farne
aspra su noi giusta vendetta. — Io quindi,
non dal terror dell’armi sue, ma mosso
dalla pietá del giovinetto estinto,
voglio, qual de’ padre ingannato e offeso,
da te sapere (e ad ogni costo io ’l voglio)
la cagion vera di sí orribil danno. —
Mirra, invan me l’ascondi: ah! ti tradisce
ogni tuo menom’atto. — Il parlar rotto;
lo impallidire, e l’arrossire; il muto
sospirar grave; il consumarsi a lento
fuoco il tuo corpo; e il sogguardar tremante;
e il confonderti incerta; e il vergognarti,
che mai da te non si scompagna:… ah! tutto,
sí tutto in te mel dice, e invan tu il nieghi;…
son figlie in te le furie tue… d’amore.
Ciniro descrive in modo preciso la condizione della figlia, cogliendo acutamente le manifestazioni fisiche della sua passione dolorosa: il pallore, la stanchezza fisica, lo stato confusionale.
Mirra Io?… d’amor?… Deh! nol credere… T’inganni.
Ciniro Piú il nieghi tu, piú ne son io convinto.
E certo in un son io (pur troppo!) omai,
ch’esser non puote altro che oscura fiamma,
quella cui tanto ascondi.
Mirra Oimè!… che pensi?…
Non vuoi col brando uccidermi;… e coi detti…
mi uccidi intanto…
La giovane rifiuta di cedere a una passione che sa abominevole, anzi rifiuta persino di nominarla. La fanciulla è consapevole dell’abnormità del suo sentimento incestuoso, moralmente inaccettabile perché in conflitto con le radici stesse della convivenza civile, in quanto contraddice la legge naturale del sangue su cui si basano i rapporti familiari e sociali. Mirra è nell’impossibilità di incolpare altri del suo tormento, circondata com’è da persone che le vogliono bene e hanno a cuore solo la sua felicità. Mirra non sa reprimere il suo amore e cancellare il suo lato oscuro e terribile di sé. Il suo conflitto perciò è tutto interiore e drammaturgicamente si rivela nella contrapposizione insanabile fra il mondo della parola (rappresentato dai genitori, dalla nutrice, dal fidanzato che cercano di sapere da lei la verità) e il mondo del silenzio (rappresentato da Mirra stessa, che rifiutando di accettare la verità rifiuta anche solo di nominarla).
Ciniro E dirmi pur non l’osi,
che amor non senti? E dirmelo, e giurarlo
anco ardiresti, io ti terria spergiura. —
Ma, chi mai degno è del tuo cor, se averlo
non potea pur l’incomparabil, vero,
caldo amator, Peréo? — Ma, il turbamento
cotanto è in te;… tale il tremor; sí fera
la vergogna; e in terribile vicenda,
ti si scolpiscon sí forte sul volto;
che indarno il labro negheria…
Mirra Vuoi dunque…
farmi… al tuo aspetto… morir… di vergogna?…
E tu sei padre?
Ciniro E avvelenar tu i giorni,
troncarli vuoi, di un genitor che t’ama
piú che se stesso, con l’inutil, crudo,
ostinato silenzio? — Ancor son padre:
scaccia il timor; qual ch’ella sia tua fiamma,
(pur ch’io potessi vederti felice!)
capace io son d’ogni inaudito sforzo
per te, se la mi sveli. Ho visto, e veggo
tuttor, (misera figlia!) il generoso
contrasto orribil, che ti strazia il core
infra l’amore, e il dover tuo. Giá troppo
festi, immolando al tuo dover te stessa:
ma, piú di te possente, Amor nol volle.
La passíon puossi escusare; ha forza
piú assai di noi; ma il non svelarla al padre,
che tel comanda, e ten scongiura, indegna
d’ogni scusa ti rende.
Mirra — O Morte, Morte,
cui tanto invoco, al mio dolor tu sorda
sempre sarai?…
Il contrasto tra amore e dovere è uno dei conflitti tipici della tragedia classica: da un lato le passioni individuali, dall’altra la legge, il dovere, la volontà degli dei. In Mirra tale dissidio è amplificato dalla natura inconffessabile della sua passione.
I personaggi si esprimono in modo coerente con la loro disposizione d’animo. Ciniro parla con discorsi ampi che formano nuclei compatti e si articolano su più versi con largo uso dell’enjambement. Mirra, invece, è travolta dall’angosci, parla attraverso brevi frasi spezzate, frequenti sospensioni che indicano la difficoltà della confessione. La reticenza è rafforzata con pause sempre più lunghe, interiezioni, negazioni, ambiguità. Il verso è l’endecasillabo sciolto, antimelodico e frantumato per esprimere al meglio i conflitti fra i personaggi.
Ciniro Deh! figlia, acqueta alquanto,
l’animo acqueta: se non vuoi sdegnato
contra te piú vedermi, io giá nol sono
piú quasi omai; purché tu a me favelli.
Parlami deh! come a fratello. Anch’io
conobbi amor per prova: il nome.
Mirra Oh cielo!…
Amo, sí; poiché a dirtelo mi sforzi;
io disperatamente amo, ed indarno.
Ma, qual ne sia l’oggetto, né tu mai,
né persona il saprá: lo ignora ei stesso…
ed a me quasi io ’l niego.
Ciniro Ed io saperlo
e deggio, e voglio. Né a te stessa cruda
esser tu puoi, che a un tempo assai nol sii
piú ai genitori che ti adoran sola.
Deh! parla; deh! — Giá, di crucciato padre,
vedi ch’io torno e supplice e piangente:
morir non puoi, senza pur trarci in tomba. —
Qual ch’ei sia colui ch’ami, io ’l vo’ far tuo.
Stolto orgoglio di re strappar non puote
il vero amor di padre dal mio petto.
Il tuo amor, la tua destra, il regno mio,
cangiar ben ponno ogni persona umíle
in alta e grande: e, ancor che umíl, son certo,
che indegno al tutto esser non può l’uom ch’ami.
Te ne scongiuro, parla: io ti vo’ salva,
ad ogni costo mio.
Mirra Salva?… Che pensi?…
Questo stesso tuo dir mia morte affretta…
Lascia, deh! lascia, per pietá, ch’io tosto
da te… per sempre… il piè… ritragga…
Ciniro O figlia
unica amata; oh! che di’ tu? Deh! vieni
fra le paterne braccia. — Oh cielo! in atto
di forsennata or mi respingi? Il padre
dunque abborrisci? e di sí vile fiamma
ardi, che temi…
Mirra Ah! non è vile;… è iniqua
la mia fiamma; né mai…
Ciniro Che parli? iniqua,
ove primiero il genitor tuo stesso
non la condanna, ella non fia: la svela.
Mirra Raccapricciar d’orror vedresti il padre,
se la sapesse… Ciniro…
Ciniro Che ascolto!
Mirra Che dico?… ahi lassa!… non so quel ch’io dica…
Non provo amor… Non creder, no… Deh! lascia,
te ne scongiuro per l’ultima volta,
lasciami il piè ritrarre.
Ciniro Ingrata: omai
col disperarmi co’ tuoi modi, e farti
del mio dolore gioco, omai per sempre
perduto hai tu l’amor del padre.
L’ultima carta di Ciniro è negare il proprio affetto a Mirra al fine di farle confessare il nome dell’amato. Di fronte a questa prospettiva Mirra cede e tradisce il proprio segreto.
Mirra Oh dura,
fera orribil minaccia!… Or, nel mio estremo
sospir, che giá si appressa,… alle tante altre
furie mie l’odio crudo aggiungerassi
del genitor?… Da te morire io lungi?…
Oh madre mia felice!… almen concesso
a lei sará… di morire… al tuo fianco…
Ciniro Che vuoi tu dirmi?… Oh! qual terribil lampo,
da questi accenti!… Empia, tu forse?…
Mirra Oh cielo!
che dissi io mai?… Me misera!… Ove sono?
Ove mi ascondo?… Ove morir? — Ma il brando
tuo mi varrá…1
Ciniro Figlia… Oh! che festi? il ferro…
Mirra Ecco,… or… tel rendo… Almen la destra io ratta
ebbi al par che la lingua.
Ciniro … Io… di spavento,…
e d’orror pieno, e d’ira,… e di pietade,
immobil resto.
La mescolanza di spavento e orrore, ira e pietà rende efficacemente lo sbigottimento e la sorpresa di Ciniro, padre affettuoso e commiserevole nei confronti dell’animo sconvolto della figlia. L’ambiguità e la contraddizione sconvolgono tutti gli equilibri, rendendo le persone irresolute e incapaci di agire.
Mirra Oh Ciniro!… Mi vedi…
presso al morire… Io vendicarti… seppi,…
e punir me… Tu stesso, a viva forza,
l’orrido arcano… dal cor… mi strappasti…
ma, poiché sol colla mia vita… egli esce…
dal labro mio,… men rea… mi moro…
Ciniro Oh giorno!
Oh delitto!… Oh dolore! — A chi il mio pianto?…
Mirra Deh! piú non pianger,… ch’io nol merto… Ah! sfuggi
mia vista infame;… e a Cecri… ognor… nascondi…
Ciniro Padre infelice!… E ad ingojarmi il suolo
non si spalanca?… Alla morente iniqua
donna appressarmi io non ardisco;… eppure,
abbandonar la svenata mia figlia
non posso…
Il suicidio della protagonista rappresenta una sconfitta della volontà: invano Mirra ha supplicato tutti di ucciderla, così da morire innocente; invece finisce per provocare la morte dell’innocente e innamorato Pereo, e quando si getta infine sulla spada del padre, lo fa solo dopo avere rivelato la propria colpa, cedendo da ultimo alla passione e provocando la condanna inorridita dei genitori.