La liquidazione della psicoanalisi
L’illusione di essere guarito
Il capitolo conclusivo de La coscienza di Zeno si presenta come un diario scritto da Zeno dopo l’interruzione della terapia psicoanalitica. La guerra sorprende Zeno mentre è in vacanza con la famiglia a Lucinico e lo costringe a tornare a Trieste da solo. Così, lontano dalla famiglia e dall’amministratore Olivi, decide di iniziare una nuova attività commerciale per lui rivitalizzante: la speculazione. Impegnato in questo tipo di commercio, che in tempo di guerra gli procura facili guadagni, Zeno è convinto di aver raggiunto finalmente la tanto desiderata “salute”.
Nella prima delle tre annotazioni Zeno rievoca la storia della sua cura e prende le distanze dalla scienza freudiana, chiarendo le ragioni che lo hanno indotto a congedare il Dottor S.
Zeno annuncia la sua totale guarigione causata dal successo ottenuto negli affari (come pescecane di guerra), contemporaneamente afferma che la vita stessa è una malattia e annuncia la “catastrofe inaudita” che spazzerà ogni forma di vita in terra, risanando finalmente il pianeta.
La coscienza di Zeno, capitolo VIII
3 Maggio 1915
L’ho finita con la psico-analisi. Dopo di averla praticata assiduamente per sei mesi interi sto peggio di prima. Non ho ancora congedato il dottore, ma la mia risoluzione è irrevocabile. Ieri intanto gli mandai a dire ch’ero impedito, e per qualche giorno lascio che m’aspetti. Se fossi ben sicuro di saper ridere di lui senz’adirarmi, sarei anche capace di rivederlo. Ma ho paura che finirei col mettergli le mani addosso.
In questa città, dopo lo scoppio della guerra, ci si annoia più di prima e, per rimpiazzare la psico-analisi, io mi rimetto ai miei cari fogli. Da un anno non avevo scritto una parola, in questo come in tutto il resto obbediente alle prescrizioni del dottore il quale asseriva che durante la cura dovevo raccogliermi solo accanto a lui perché un raccoglimento da lui non sorvegliato avrebbe rafforzati i freni che impedivano la mia sincerità, il mio abbandono.
La prima pagina del diario è dedicata al dottor S. ( il terapeuta che ha indotto Zeno a scrivere il suo memoriale) e riprende il preambolo in cui il medico dichiara di pubblicare il diario “per vendetta” nei confronti della sua decisione di interrompere la cura. Ritorna nel momento del distacco dal terapeuta il motivo del dissidio tra analista e paziente fondato sulla reciproca aggressività.
La requisitoria contro la psicoanalisi non lascia nulla di positivo nella teoria freudiana: Zeno contesta la teoria in quanto Freud pone la sua interpretazione come una scienza dell’uomo, che ha la presunzione — secondo Zeno — di spiegare tutti i fenomeni di questo mondo come manifestazione della libido. Per questo ride di cuore del complesso di Edipo, ironizzando sulla nobiltà di una malattia che può vantare antenati in epoca addirittura mitologica.
Ma ora mi trovo squilibrato e malato più che mai e, scrivendo, credo che mi netterò più facilmente del male che la cura m’ha fatto. Almeno sono sicuro che questo è il vero sistema per ridare importanza ad un passato che più non duole e far andare via più rapido il presente uggioso.
La ripresa della scrittura non ha più alcuno scopo terapeutico, ma serve solo a passare il tempo di inattività a cui è stato costretto dallo scoppio del conflitto. In queste pagine conclusive cambia lo stile, perché diventa diaristico, lasciando da parte l’autobiografia. Il conflitto tra Zeno e il Dottor S. conferma la dottrina freudiana quanto più Zeno si oppone al terapeuta, tanto più conferma con tale opposizione la diagnosi di nevrosi. Quindi il protagonista (l’io narrante) è per sua stessa ammissione un nevrotico, quindi è del tutto inattendibile. L’ironia sferzante nei confronti del dottore e della sua disciplina rende ancora meno certe le affermazioni del protagonista.
Tanto fiduciosamente m’ero abbandonato al dottore che quando egli mi disse ch’ero guarito, gli credetti con fede intera e invece non credetti ai miei dolori che tuttavia m’assalivano. Dicevo loro: «Non siete mica voi!». Ma adesso non v’è dubbio! Son proprio loro! Le ossa delle mie gambe si sono convertite in lische vibranti che ledono la carne e i muscoli.
Ma di ciò non m’importerebbe gran fatto e non è questa la ragione per cui lascio la cura. Se le ore di raccoglimento presso il dottore avessero continuato ad essere interessanti apportatrici di sorprese e di emozioni, non le avrei abbandonate o, per abbandonarle, avrei atteso la fine della guerra che m’impedisce ogni altra attività. Ma ora che sapevo tutto, cioè che non si trattava d’altro che di una sciocca illusione, un trucco buono per commuovere qualche vecchia donna isterica, come potevo sopportare la compagnia di quell’uomo ridicolo, con quel suo occhio che vuole essere scrutatore e quella sua presunzione che gli permette di aggruppare tutti i fenomeni di questo mondo intorno alla sua grande, nuova teoria? Impiegherò il tempo che mi resta libero scrivendo. Scriverò intanto sinceramente la storia della mia cura. Ogni sincerità fra me e il dottore era sparita ed ora respiro. Non m’è più imposto alcuno sforzo. Non debbo costringermi ad una fede né ho da simulare di averla.
Zeno dichiara la falsità delle sue osservazioni precedenti e lo scetticismo verso la psicoanalisi. Ora non è più obbligato a fingere di credere nell’efficacia della terapia.
Zeno nega la validità della terapia psicoanalitica, perché considera la psicoanalisi l’unica pratica medica che cura senza prescrivere medicine e l’unica in cui la diagnosi coincide con la cura: il Dottor S. proclama la guarigione del paziente non appena viene alla luce il complesso di Edipo di Zeno, così che la cura di Zeno aveva raggiunto la sua conclusione solo perché era stato individuata la causa del suo malessere.
Proprio per celare meglio il mio vero pensiero, credevo di dover dimostrargli un ossequio supino e lui ne approfittava per inventarne ogni giorno di nuove. La mia cura doveva essere finita perché la mia malattia era stata scoperta. Non era altra che quella diagnosticata a suo tempo dal defunto Sofocle sul povero Edipo: avevo amata mia madre e avrei voluto ammazzare mio padre.
Né io m’arrabbiai! Incantato stetti a sentire. Era una malattia che mi elevava alla più alta nobiltà. Cospicua quella malattia di cui gli antenati arrivavano all’epoca mitologica! E non m’arrabbio neppure adesso che sono qui solo con la penna in mano. Ne rido di cuore. […]
Zeno annuncia la sua piena guarigione, di cui individua il successo commerciale che lo ha reso più forte e sicuro di sé. Le frasi, però, sono volutamente equivoche, perché indicano l’impossibilità di raggiungere una sola verità. L’annuncio della sua completa guarigione è più volte ribadito Però ammette di avere ancora qualche disturbo L’insistenza sulla guarigione sembra servire a convincere il narratore stesso e suscitare l’irritazione dello psicanalista.
Da allora quelle sedute furono una vera tortura ed io le continuai solo perché m’è sempre stato tanto difficile di fermarmi quando mi movo o di mettermi in movimento quando son fermo. Qualche volta, quando egli me ne diceva di troppo grosse, arrischiavo qualche obbiezione. Non era mica vero — com’egli lo credeva — che ogni mia parola, ogni mio pensiero fosse di delinquente. Egli allora faceva tanto d’occhi. Ero guarito e non volevo accorgermene! Era una vera cecità questa: avevo appreso che avevo desiderato di portar via la moglie — mia madre! — a mio padre e non mi sentivo guarito? Inaudita ostinazione la mia: però il dottore ammetteva che sarei guarito ancora meglio quando fosse finita la mia rieducazione in seguito alla quale mi sarei abituato a considerare quelle cose (il desiderio di uccidere il padre e di baciare la propria madre) come cose innocentissime per le quali non c’era da soffrire di rimorsi, perché avvenivano frequentemente nelle migliori famiglie. In fondo che cosa ci perdevo? Egli un giorno mi disse ch’io oramai ero come un convalescente che ancora non s’era abituato a vivere privo di febbre. Ebbene: avrei atteso di abituarmivi.
Egli sentiva che non ero ancora ben suo ed oltre alla rieducazione, di tempo in tempo, ritornava anche alla cura.
La terapia psicoanalitica prevedeva due fasi principali: l’indagine nell’inconscio del paziente per riportare alla luce i conflitti profondi e i traumi rimossi, in seguito la serena accettazione, senza censure e sensi di colpa, delle proprie pulsioni erotiche o aggressive.
Tentava di nuovo i sogni, ma di autentici non ne ebbimo più alcuno. Seccato di tanta attesa, finii coll’inventarne uno. Non l’avrei fatto se avessi potuto prevedere la difficoltà di una simile simulazione. Non è mica facile di balbettare come se ci si trovasse immersi in un mezzo sogno, coprirsi di sudore o sbiancarsi, non tradirsi, eventualmente diventar vermigli dallo sforzo e non arrossire: parlai come se fossi ritornato alla donna della gabbia e l’avessi indotta a porgermi per un buco improvvisamente prodottosi nella parete dello stanzino un suo piede da succhiare e mangiare. «Il sinistro, il sinistro!», mormorai mettendo nella visione un particolare curioso che potesse farla somigliare meglio ai sogni precedenti.
Il riferimento è a un sogno riferito da Zeno poco prima, in cui egli si vede bambino intento a mangiare dei pezzettini al vertice e alla base di una donna bionda e formosa chiusa in una gabbia e seduta su una poltrona.
Dimostravo così anche di aver capito perfettamente la malattia che il dottore esigeva da me. Edipo infantile era fatto proprio così: succhiava il piede sinistro della madre per lasciare il destro al padre. Nel mio sforzo d’immaginare realmente (tutt’altro che una contraddizione, questa) ingannai anche me stesso col sentire il sapore di quel piede. Quasi dovetti recere.
Zeno dichiara di aver compreso perfettamente i meccanismi della psicoanalisi e di aver riferito ciò che il Dottor S. voleva sentirsi raccontare. Zeno scredita pienamente la psicoanalisi perché presuppone la sincerità tra medico e paziente. Invece Zeno nel suo diario ha simulato durante tutta la terapia tale sincerità, tanto da inventare un sogno. Questo episodio dimostra che la psicoanalisi si fonda su tecniche aleatorie che possono essere inficiate da un paziente minimamente astuto.
Infatti, secondo l’interpretazione di Zeno la sua guarigione deriva dal successo negli affari (Fu il mio commercio che mi guarì) ottenuto tramite speculazioni finanziarie con le quali ha approfittato senza scrupolo della crisi economica causata dalla guerra. Zeno ha assimilato la mentalità capitalistica, tipica della società borghese, che ha sempre condannato. Pertanto Zeno si sente guarito, perché si è adeguato al mondo malato che lo circonda, quindi ha perso coscienza della sua malattia.