La locandiera
atto I, scene 1 e 3
È una commedia in tre atti, rappresentata per la prima volta nella stagione carnevalesca 1752–53 presso il teatro Sant’Angelo, a opera della Compagnia di Girolamo Medebach. Goldoni è ormai un commediografo di successo, ha già intrapreso la sua riforma della commedia, superando le tecniche della Commedia dell’arte con una costruzione teatrale fondata sul testo scritto e libera dalle maschere. La servetta — tipica protagonista femminile della Commedia dell’arte — si trasforma ora in una scaltra e avveduta padrona di locanda, protagonista di una commedia in cui il gentil sesso si vendica con astuzia e decisione delle prepotenze maschili.
Goldoni scrive nella prefazione dell’autore a chi legge:
Fra tutte le Commedie da me sinora composte, starei per dire essere questa la più morale, la più utile, la più istruttiva. Sembrerà ciò essere un paradosso a chi soltanto vorrà fermarsi a considerare il carattere della Locandiera, e dirà anzi non aver io dipinto altrove una donna più lusinghiera, più pericolosa di questa. Ma chi rifletterà al carattere e agli avvenimenti del Cavaliere, troverà un esempio vivissimo della presunzione avvilita, ed una scuola che insegna a fuggire i pericoli, per non soccombere alle cadute.
La commedia è ambientata in una locanda fiorentina solo per suggerire l’idea di uno spazio culturale e geografico differente da quello veneziano dove la commedia fu rappresentata. Inoltre l’ambiente fiorentino permette a Goldoni di mettersi al riparo da eventuali critiche suscitate dai diversi spunti satirici sulla società veneziana presenti nell’opera.
Nelle prime scene del primo atto, Goldoni presenta i personaggi, in particolare il Marchese di Forlipopoli, il Conte d’Albafiorita e il Cavaliere di Ripafratta, che rappresentano tutti il ceto sociale nobiliare. Tuttavia a ognuno di essi l’autore attribuisce un particolare carattere della nobiltà stessa: il marchese è infatti il nobile spiantato, che si vanta dell’antichità del suo titolo; il conte basa ogni sua azione sulla sua florida ricchezza, rivelando un eccessivo attaccamento al denaro.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Sala di locanda.
Il Marchese di Forlipopoli ed il Conte d’AlbafioritaMARCHESE: Fra voi e me vi è qualche differenza.
La commedia si apre con uno dei temi principali: la differenza tra aristocrazia di sangue e aristocrazia arricchita.
CONTE: Sulla locanda tanto vale il vostro denaro, quanto vale il mio.
MARCHESE: Ma se la locandiera usa a me delle distinzioni, mi si convengono più che a voi.
CONTE: Per qual ragione?
MARCHESE: Io sono il Marchese di Forlipopoli.
CONTE: Ed io sono il Conte d’Albafiorita.
MARCHESE: Sì, Conte! Contea comprata.
Il conte rappresenta la borghesia che ha acquisito titoli nobiliari col denaro e che pensa di sedurre Mirandolina con ricchi regali …
CONTE: Io ho comprata la contea, quando voi avete venduto il marchesato.
MARCHESE: Oh basta: son chi sono, e mi si deve portar rispetto.
… il marchese l’aristocrazia decaduta che può vantare solo un primato di sangue, secondo cui Mirandolina ha bisogno della sua protezione.
CONTE: Chi ve lo perde il rispetto? Voi siete quello, che con troppa libertà parlando…
MARCHESE: Io sono in questa locanda, perché amo la locandiera. Tutti lo sanno, e tutti devono rispettare una giovane che piace a me.
CONTE: Oh, questa è bella! Voi mi vorreste impedire ch’io amassi Mirandolina? Perché credete ch’io sia in Firenze? Perché credete ch’io sia in questa locanda?
MARCHESE: Oh bene. Voi non farete niente.
CONTE: Io no, e voi sì?
MARCHESE: Io sì, e voi no. Io son chi sono. Mirandolina ha bisogno della mia protezione.
CONTE: Mirandolina ha bisogno di denari, e non di protezione.
MARCHESE: Denari?… non ne mancano.
CONTE: Io spendo uno zecchino il giorno, signor Marchese, e la regalo continuamente.
MARCHESE: Ed io quel che fo non lo dico.
CONTE: Voi non lo dite, ma già si sa.
MARCHESE: Non si sa tutto.
CONTE: Sì! caro signor Marchese, si sa. I camerieri lo dicono. Tre paoletti il giorno.
MARCHESE: A proposito di camerieri; vi è quel cameriere che ha nome Fabrizio, mi piace poco. Parmi che la locandiera lo guardi assai di buon occhio.
CONTE: Può essere che lo voglia sposare. Non sarebbe cosa mal fatta. Sono sei mesi che è morto il di lei padre. Sola una giovane alla testa di una locanda si troverà imbrogliata. Per me, se si marita, le ho promesso trecento scudi.
MARCHESE: Se si mariterà, io sono il suo protettore, e farò io… E so io quello che farò.
CONTE: Venite qui: facciamola da buoni amici. Diamole trecento scudi per uno.
Il dialogo prosegue nella definizione dei due personaggi, ribadendo le caratteristiche sociali di ciascuno: il marchese sottolinea nuovamente l’importanza della “protezione” che solo un nobile di antica stirpe può dare; il conte sostiene le ragioni dell’utile e del denaro.
MARCHESE: Quel ch’io faccio, lo faccio segretamente, e non me ne vanto. Son chi sono. Chi è di là? (Chiama.)
CONTE: (Spiantato! Povero e superbo!). (Da sé.)
Nella prima scena della commedia appaiono il Conte e il Marchese esempio del realismo di Goldoni, chenon si appaga di approssimazioni, ma mira a rappresentare le varie realtà sociali con estrema precisione, cogliendo all’interno della classe le particolarità degli individui. Così i due nobili non hanno comportamenti identici, ma rappresentano altrettante tendenze all’interno del loro ceto sociale: il Marchese si vanta dell’onore e della superiorità per nascita non più rispondenti a una reale situazione. Egli è un nobile decaduto che vive al di sopra delle sue possibilità nel rimpianto per un prestigio che non c’è più; il Marchese vive nel passato senza rendersi conto di essere un relitto di un tempo perduto. “io son chi sono” afferma senza poter dimostrare chi sia, oppure dichiara che “Mirandolina ha bisogno della mia protezione” non specificando in cosa consista. I modi vuoti ed eccessivi del Marchese ricordano le sbruffonate della maschera del Capitano della commedia dell’arte.
Al contrario il Conte rappresenta la boria derivante dalla ricchezza, rappresentato dai nobili di recente formazione. Egli è un borghese arricchito per cui l’unico valore è rappresentato dal denaro con cui pensa di poter comprare ciò che vuole: “io ho comprato la contea, voi avete venduto il marchesato” e più oltre “Mirandolina ha bisogno di denari, non di protezione”. Pur apprezzando maggiormente il Conte al Marchese, Goldoni non condivide la sua arroganza che pone il denaro al di sopra di ogni cosa e di ogni valore. Soprattutto il Conte è una macchietta del borghese che rinnega le proprie origini per assumere valori e stili di vita della nobiltà senza averne l’eleganza e la raffinatezza.
[…]
SCENA TERZA
Il Marchese ed il Conte.
MARCHESE: Voi credete di soverchiarmi con i regali, ma non farete niente. Il mio grado val più di tutte le vostre monete.
CONTE: Io non apprezzo quel che vale, ma quello che si può spendere.
MARCHESE: Spendete pure a rotta di collo. Mirandolina non fa stima di voi.
CONTE: Con tutta la vostra gran nobiltà, credete voi di essere da lei stimato? Vogliono esser denari.
MARCHESE: Che denari? Vuol esser protezione. Esser buono in un incontro di far un piacere.
CONTE: Sì, esser buono in un incontro di prestar cento doppie.
MARCHESE: Farsi portar rispetto bisogna.
CONTE: Quando non mancano denari, tutti rispettano
MARCHESE: Voi non sapete quel che vi dite.
CONTE: L’intendo meglio di voi.
La lettura delle rapide scene della commedia mette in evidenza l’abilità rappresentativa dell’autore, capace di variare i personaggi, rendendoli individui e non tipi. A ciò contribuisce in particolare un uso non letterario della lingua italiana. L’italiano letterario del tempo era una lingua che ancora risentiva del latino, con una sintassi complessa, un lessico spesso aulico, lontano dall’uso quotidiano. Nella sua forma parlata, poi, l’italiano era ancora da costruire: non esisteva infatti una lingua comune a tutta la penisola, usata dalla gente nei suoi rapporti quotidiani, bensì dialetti locali o una lingua italiana ridotta però all’essenziale. L’italiano che usa il Goldoni è quindi in realtà una sorta di dialetto usato dalla nobiltà e dalla borghesia della regione centro-settentrionale della penisola italiana. Questa scelta gli consente di articolare le battute in rapidi ed essenziali dialoghi, ampiamente rivelatori del carattere dei personaggi e al tempo stesso capaci di portare avanti le vicende.
Oltre alle scelte lessicali Goldoni imita la parlata quotidiana attraverso una riduzione figure retoriche classiche (poche metafore), sostituite dall’introduzione di figure retoriche del parlato (antitesi, iperbole, allusione); la sintassi breve e rapida rende immediatezza del parlato.