La locandiera
atto 2, scene 4, 8 e 9
Nel secondo atto prosegue la strategia di conquista di Mirandolina nei confronti del Cavaliere. Prima gli manda alcuni bocconcini ben cucinati, che le valgono un ringraziamento e un complimento; poi (II, 4) gli porta un piatto di persona, come un’umile serva. Con sottile adulazione e abilità di recitazione, riesce a sedersi a tavola con lui e a sorseggiare il suo vino. A questo punto giunge inaspettato il Marchese (II, 5): per salvare la reputazione di scontrosità del Cavaliere, è la stessa locandiera ad inventare una scusa che giustifichi la propria presenza (mi è venuto un poco di male, ed egli mi ha soccorso con un bicchierin di Borgogna). Anche il Marchese offre qualcosa da bere: un bicchierino di vin di Cipro (II, 6), che il Cavaliere apprezza per cortesia, mentre Mirandolina, sprezzante, lo dichiara cattivo. Il Cavaliere ammira la coraggiosa franchezza della locandiera, mostrando di avere ormai perduto la sua glaciale compostezza.
SCENA QUARTA
Mirandolina con un tondo in mano, ed il Servitore, e detto.
MIRANDOLINA: È permesso?
CAVALIERE: Chi è di là?
SERVITORE: Comandi.
CAVALIERE: Leva là quel tondo di mano.
MIRANDOLINA: Perdoni. Lasci ch’io abbia l’onore di metterlo in tavola colle mie mani. (Mette in tavola la vivanda.)
CAVALIERE: Questo non è offizio vostro.
MIRANDOLINA: Oh signore, chi son io? Una qualche signora? Sono una serva di chi favorisce venire alla mia locanda.
CAVALIERE: (Che umiltà!). (Da sé.)
MIRANDOLINA: In verità, non avrei difficoltà di servire in tavola tutti, ma non lo faccio per certi riguardi: non so s’ella mi capisca. Da lei vengo senza scrupoli, con franchezza.
CAVALIERE: Vi ringrazio. Che vivanda è questa?
MIRANDOLINA: Egli è un intingoletto fatto colle mie mani.
CAVALIERE: Sarà buono. Quando lo avete fatto voi, sarà buono.
MIRANDOLINA: Oh! troppa bontà, signore. Io non so far niente di bene; ma bramerei saper fare, per dar nel genio ad un Cavalier sì compìto.
CAVALIERE: (Domani a Livorno). (Da sé.) Se avete che fare, non istate a disagio per me.
MIRANDOLINA: Niente, signore: la casa è ben provveduta di cuochi e servitori. Avrei piacere di sentire, se quel piatto le dà nel genio.
CAVALIERE: Volentieri, subito. (Lo assaggia.) Buono, prezioso. Oh che sapore! Non conosco che cosa sia.
MIRANDOLINA: Eh, io, signore, ho de’ secreti particolari. Queste mani sanno far delle belle cose!
Umiltà, modestia, cortesia sono le virtù che Mirandolina esibisce in questa fase decisiva del suo progetto di conquista del Cavaliere, alternandole sapientemente con accenni alle proprie virtù domestiche (Eh, io, signore, ho de’ secreti particolari. Queste mani sanno far delle belle cose!, righe 26–27). Naturalmente è tutta una finzione, nel gestire la quale Mirandolina dà prova di grande acume psicologico. È consapevole che niente può far cambiare idea al Cavaliere sulle donne, o meglio su ciò che, nella sua rigida fissazione, rappresenta la donna. Ma presentandosi radicalmente diversa dal tipo di donna che il Cavaliere teme, riesce a spiazzarlo e ad aggirare le sue difese.
CAVALIERE: Dammi da bere. (Al Servitore, con qualche passione.)
MIRANDOLINA: Dietro questo piatto, signore, bisogna beverlo buono.
CAVALIERE: Dammi del vino di Borgogna. (Al Servitore.)
MIRANDOLINA: Bravissimo. Il vino di Borgogna è prezioso. Secondo me, per pasteggiare è il miglior vino che si possa bere.
(Il Servitore presenta la bottiglia in tavola, con un bicchiere.)
CAVALIERE: Voi siete di buon gusto in tutto.
MIRANDOLINA: In verità, che poche volte m’inganno.
CAVALIERE: Eppure questa volta voi v’ingannate.
MIRANDOLINA: In che, signore?
CAVALIERE: In credere ch’io meriti d’essere da voi distinto.
MIRANDOLINA: Eh, signor Cavaliere… (Sospirando.)
CAVALIERE: Che cosa c’è? Che cosa sono questi sospiri? (Alterato.)
MIRANDOLINA: Le dirò: delle attenzioni ne uso a tutti, e mi rattristo quando penso che non vi sono che ingrati.
CAVALIERE: Io non vi sarò ingrato. (Con placidezza.)
MIRANDOLINA: Con lei non pretendo di acquistar merito, facendo unicamente il mio dovere.
CAVALIERE: No, no, conosco benissimo… Non sono cotanto rozzo quanto voi mi credete. Di me non avrete a dolervi. (Versa il vino nel bicchiere.)
MIRANDOLINA: Ma… signore… io non l’intendo.
CAVALIERE: Alla vostra salute. (Beve.)
MIRANDOLINA: Obbligatissima; mi onora troppo.
CAVALIERE: Questo vino è prezioso.
MIRANDOLINA: Il Borgogna è la mia passione.
CAVALIERE: Se volete, siete padrona. (Le offerisce il vino.)
MIRANDOLINA: Oh! Grazie, signore.
CAVALIERE: Avete pranzato?
MIRANDOLINA: Illustrissimo sì.
CAVALIERE: Ne volete un bicchierino?
MIRANDOLINA: Io non merito queste grazie.
CAVALIERE: Davvero, ve lo do volentieri.
MIRANDOLINA: Non so che dire. Riceverò le sue finezze.
CAVALIERE: Porta un bicchiere. (Al Servitore.)
MIRANDOLINA: No, no, se mi permette: prenderò questo. (Prende il bicchiere del Cavaliere.)
CAVALIERE: Oibò. Me ne sono servito io.
MIRANDOLINA: Beverò le sue bellezze. (Ridendo.)
(Il Servitore mette l’altro bicchiere nella sottocoppa.)
CAVALIERE: Eh galeotta! (Versa il vino.)
Mirandolina instaura con il Cavaliere un rapporto bivalente. Se da un lato sembra un rapporto servitrice/padrone, che lascia al nobile un rassicurante senso di comando (chi son io? […] Sono una serva di chi favorisce venire alla mia locanda, righe 10–11), dall’altro tende alla complicità (Di questo brindisi alle donne non ne tocca…; Non dia nelle debolezze degli altri. In verità, se me n’accorgo, qui non ci vengo piú). In ogni caso Mirandolina vuole rassicurare il Cavaliere e, nello stesso tempo, a livello gestuale, gli manda un chiaro richiamo sessuale bevendo dal suo stesso bicchiere.
Il Borgogna è lo strumento persuasivo che consente a Mirandolina di aggirare le difese e i pregiudizi del Cavaliere. Il climax ascendente di offerte, iniziato con la biancheria di Fiandra (tessuto raffinato, riservato a clienti di riguardo), proseguita con le pietanze preparate dalle sue stesse mani e terminata con il vino pregiato, delinea la strategia di seduzione della Locandiera che ha individuato il punto debole del Cavaliere e offre se stessa attraverso il cibo.
MIRANDOLINA: Ma è qualche tempo che ho mangiato: ho timore che mi faccia male.
CAVALIERE: Non vi è pericolo.
MIRANDOLINA: Se mi favorisse un bocconcino di pane…
CAVALIERE: Volentieri. Tenete. (Le dà un pezzo di pane.)
(Mirandolina col bicchiere in una mano, e nell’altra il pane, mostra di stare a disagio, e non saper come fare la zuppa.)
CAVALIERE: Voi state in disagio. Volete sedere?
MIRANDOLINA: Oh! Non son degna di tanto, signore.
CAVALIERE: Via, via, siamo soli. Portale una sedia. (Al Servitore.)
SERVITORE: (Il mio padrone vuol morire: non ha mai fatto altrettanto.) (Da sé; va a prendere la sedia.)
MIRANDOLINA: Se lo sapessero il signor Conte ed il signor Marchese, povera me!
CAVALIERE: Perché?
MIRANDOLINA: Cento volte mi hanno voluto obbligare a bere qualche cosa, o a mangiare, e non ho mai voluto farlo.
CAVALIERE: Via, accomodatevi.
MIRANDOLINA: Per obbedirla. (Siede, e fa la zuppa nel vino.)
CAVALIERE: Senti. (Al Servitore, piano.) (Non lo dire a nessuno, che la padrona sia stata a sedere alla mia tavola).
SERVITORE: (Non dubiti). (Piano.) (Questa novità mi sorprende). (Da sé.)
MIRANDOLINA: Alla salute di tutto quello che dà piacere al signor Cavaliere.
CAVALIERE: Vi ringrazio, padroncina garbata.
MIRANDOLINA: Di questo brindisi alle donne non ne tocca.
CAVALIERE: No? Perché?
MIRANDOLINA: Perché so che le donne non le può vedere.
CAVALIERE: È vero, non le ho mai potute vedere.
MIRANDOLINA: Si conservi sempre così.
CAVALIERE: Non vorrei… (Si guarda dal Servitore.)
MIRANDOLINA: Che cosa, signore?
CAVALIERE: Sentite. (Le parla nell’orecchio.) (Non vorrei che voi mi faceste mutar natura).
MIRANDOLINA: Io, signore? Come?
CAVALIERE: Va via. (Al Servitore.)
SERVITORE: Comanda in tavola?
CAVALIERE: Fammi cucinare due uova, e quando son cotte, portale.
SERVITORE: Coma le comanda le uova?
CAVALIERE: Come vuoi, spicciati.
SERVITORE: Ho inteso. (Il padrone si va riscaldando). (Da sé, parte.)
CAVALIERE: Mirandolina, voi siete una garbata giovine.
MIRANDOLINA: Oh signore, mi burla
CAVALIERE: Sentite. Voglio dirvi una cosa vera, verissima, che ritornerà in vostra gloria.
MIRANDOLINA: La sentirò volentieri.
CAVALIERE: Voi siete la prima donna di questo mondo, con cui ho avuto la sofferenza di trattar con piacere.
MIRANDOLINA: Le dirò, signor Cavaliere: non già ch’io meriti niente, ma alle volte si danno questi sangui che s’incontrano. Questa simpatia, questo genio, si dà anche fra persone che non si conoscono. Anch’io provo per lei quello che non ho sentito per alcun altro.
CAVALIERE: Ho paura che voi mi vogliate far perdere la mia quiete.
MIRANDOLINA: Oh via, signor Cavaliere, se è un uomo savio, operi da suo pari. Non dia nelle debolezze degli altri. In verità, se me n’accorgo, qui non ci vengo più. Anch’io mi sento un non so che di dentro, che non ho più sentito; ma non voglio impazzire per uomini, e molto meno per uno che ha in odio le donne; e che forse forse per provarmi, e poi burlarsi di me, viene ora con un discorso nuovo a tentarmi. Signor Cavaliere, mi favorisca un altro poco di Borgogna.
Per parte sua, il Cavaliere è combattuto. Mirandolina non gli è indifferente (Voi siete la prima donna di questo mondo, con cui ho avuto la sofferenza di trattar con piacere, righe 107–108), ma si vergogna d’averla al proprio tavolo, in camera propria; si preoccupa che nessuno lo sappia (Non lo dire a nessuno, che la padrona sia stata a sedere alla mia tavola, righe 83–84) e manda via il servitore con un pretesto. La donna, di rimando, confessa di sentirsi attratta da lui (Anch’io provo per lei quello che non ho sentito per alcun altro, righe 111- 112; mi sento un non so che di dentro, che non ho piú sentito, riga 116), ma dichiara di amare la libertà e, esattamente come il Cavaliere nei confronti delle donne, di non volere impazzire per gli uomini. Il bersaglio è colpito: il Cavaliere è ormai sulla strada dell’innamoramento.
CAVALIERE: Eh! Basta… (Versa il vino in un bicchiere.)
MIRANDOLINA: (Sta lì lì per cadere). (Da sé.)
CAVALIERE: Tenete. (Le dà il bicchiere col vino.)
MIRANDOLINA: Obbligatissima. Ma ella non beve?
CAVALIERE: Sì, beverò. (Sarebbe meglio che io mi ubbriacassi. Un diavolo scaccerebbe l’altro). (Da sé, versa il vino nel suo bicchiere.)
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere. (Con vezzo.)
CAVALIERE: Che c’è?
MIRANDOLINA: Tocchi. (Gli fa toccare il bicchiere col suo.) Che vivano i buoni amici.
CAVALIERE: Che vivano. (Un poco languente.)
MIRANDOLINA: Viva… chi si vuol bene… senza malizia tocchi!
CAVALIERE: Evviva…
Il linguaggio di Mirandolina è volutamente equivoco: le allusioni erotiche derivano dalla commedia dell’arte. Già prima Mirandolina aveva accennato maliziosamente a Queste mani sanno fare cose belle, ora la provocazione diventa più spudorata attraverso il primo brindisi, la cui formula tocchi suona come un chiaro invito.
scene 5^ — 7^
Mentre i due si apprestano a brindare, arriva il marchese di Forlimpopoli con una piccola bottiglia di vino di Cipro, magnificandone la qualità. Cercando la complicità del Cavaliere, Mirandolina si prende gioco del Marchese che la corteggia smaccatamente. Nella scena 7^ arriva il servitore con una bottiglia di raffinato vino delle Canarie, dono del Conte d’Albafiorita. la bottiglia non viene nemmeno aperta perché suscita la reazione rabbiosa del Marchese, il quale però, andandosene, la porta con sé.
SCENA OTTAVA
Il Cavaliere, Mirandolina ed il Servitore.CAVALIERE: Il povero Marchese è pazzo.
MIRANDOLINA: Se a caso mai la bile gli facesse male, ha portato via la bottiglia per ristorarsi.
CAVALIERE: È pazzo, vi dico. E voi lo avete fatto impazzire.
MIRANDOLINA: Sono di quelle che fanno impazzare gli uomini?
CAVALIERE: Sì, voi siete… (Con affanno.)
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere, con sua licenza. (S’alza.)
CAVALIERE: Fermatevi.
MIRANDOLINA: Perdoni; io non faccio impazzare nessuno. (Andando.)
CAVALIERE: Ascoltatemi. (S’alza, ma resta alla tavola.)
MIRANDOLINA: Scusi. (Andando.)
CAVALIERE: Fermatevi, vi dico. (Con imperio.)
MIRANDOLINA: Che pretende da me? (Con alterezza voltandosi.)
CAVALIERE: Nulla. (Si confonde.) Beviamo un altro bicchiere di Borgogna.
MIRANDOLINA: Via signore, presto, presto, che me ne vada.
CAVALIERE: Sedete.
MIRANDOLINA: In piedi, in piedi.
CAVALIERE: Tenete. (Con dolcezza le dà il bicchiere.)
MIRANDOLINA: Faccio un brindisi, e me ne vado subito. Un brindisi che mi ha insegnato mia nonna.
Viva Bacco, e viva Amore:
L’uno e l’altro ci consola;
Uno passa per la gola,
L’altro va dagli occhi al cuore.
Bevo il vin, cogli occhi poi…
Faccio quel che fate voi.
(Parte.)
Il brindisi sancisce il binomio tra vino (Bacco) e eros (Amore) in un gioco che di seduzione che il Cavaliere reputa reciproca. Questo stratagemma conclude l’opera di Mirandolina che ha esasperato il nobile misogino con gesti graduali che hanno introdotto una clima di intimità tra i due. Prima il bere dal medesimo bicchiere, poi lo scambio del pane infine il brindisi esplicito. Nella scena successiva il cavaliere — rimasto solo con il servitore — non può neanche più proseguire con l’autoinganno, richiamando esplicitamente i versi del brindisi che lo hanno portato a perdere la propria dignità
SCENA NONA
Il Cavaliere, ed il Servitore.
CAVALIERE: Bravissima, venite qui: sentite. Ah malandrina! Se nè fuggita. Se n’è fuggita, e mi ha lasciato cento diavoli che mi tormentano.
SERVITORE: Comanda le frutta in tavola? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Va al diavolo ancor tu. (Il Servitore parte.) Bevo il vin, cogli occhi poi, faccio quel che fate voi? Che brindisi misterioso è questo? Ah maladetta, ti conosco. Mi vuoi abbattere, mi vuoi assassinare. Ma lo fa con tanta grazia! Ma sa così bene insinuarsi… Diavolo, diavolo, me la farai tu vedere? No, anderò a Livorno. Costei non la voglio più rivedere. Che non mi venga più tra i piedi. Maledettissime donne! Dove vi sono donne, lo giuro non vi anderò mai più. (Parte.)
L’affermazione perentoria con cui il Cavaliere abbandona la scena appare ormai al pubblico patetica, perché suona falsa e infondata. Il nobile ormai ha rinnegato con i sentimenti le sue convinzioni misogine, anche se lotta strenuamente per mantenersi coerente alle sue dichiarazioni.