La lupa
Una novella di Vita dei campi
La novella è una delle più significative della raccolta Vita dei campi. Verga presenta la vicenda di una donna esclusa, gnà Pina, “la lupa” appunto, che è al centro della novella. Al di là dello spunto documentario (sembra che Verga si sia ispirato ad un fatto realmente accaduto), la novella mostra al meglio come la tecnica verista di Verga si presti non solo all’indagine dei motivi socio-economici alla base della società arcaica siciliana, ma anche alla rappresentazione delle pulsioni inconsce che attraversano l’animo umano e dei loro effetti spesso dirompenti.
Era alta, magra; aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna e pure non era più giovane; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano. Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai — di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell’andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso, fossero stati davanti all’altare di Santa Agrippina.
Il narratore, riproducendo l’ottica della mentalità popolare, ci concede in apertura un suo icastico ritratto. Questo punto di vista è del coro contadino, delle chiacchiere del paese, in particolari femminili, che demonizzano la gnà Pina. Nella figura della “lupa” si fondono così la sensualità animalesca e conturbante (sottolineata dalla ripetizione delle “labbra rosse”), l’esclusione dalla cerchia chiusa della comunità di paese e addirittura il paragone diabolico (“con quegli occhi di satanasso”) e l’aggressività (“che vi mangiavano […]”). La donna, quindi, rappresenta tutto ciò che è estraneo (e quindi, peccaminoso e malvagio) alla mentalità popolare, tanto da riecheggiare, nel proprio soprannome (peggiorativo come quello di Rosso Malpelo…) una suggestione dantesca.
Per fortuna la Lupa non veniva mai in chiesa, né a Pasqua, né a Natale, né per ascoltar messa, né per confessarsi. — Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un vero servo di Dio, aveva persa l’anima per lei.
Maricchia, poveretta, buona e brava ragazza, piangeva di nascosto, perché era figlia della Lupa, e nessuno l’avrebbe tolta in moglie, sebbene ci avesse la sua bella roba nel cassettone, e la sua buona terra al sole, come ogni altra ragazza del villaggio.
La situazione si complica quando, sullo sfondo dell’assolata campagna siciliana del periodo della mietitura, la “gnà Pina”si innamora di Nanni, un giovane contadino che invece vuol sposare Maricchia, figlia della protagonista. La Lupa, per realizzare il proprio progetto di seduzione, non esita a costringere Maricchia al matrimonio, così da vivere accanto all’oggetto del proprio desiderio. La “gnà Pina” diventa così un elemento fortemente disturbante all’interno della società, proprio perché trasgredisce alcuni tabù e alcune convenzioni ritenute immodificabili dalla mentalità arcaica che la circonda. Non a caso, è una frase modellata su un proverbio siciliano che la bolla agli occhi di tutti: “In quell’ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina buona”.
Una volta la Lupa si innamorò di un bel giovane che era tornato da soldato, e mieteva il fieno con lei nelle chiuse del notaro; ma proprio quello che si dice innamorarsi, sentirsene ardere le carni sotto al fustagno del corpetto, e provare, fissandolo negli occhi, la sete che si ha nelle ore calde di giugno, in fondo alla pianura. Ma lui seguitava a mietere tranquillamente, col naso sui manipoli, e le diceva: — O che avete, gnà Pina? — Nei campi immensi, dove scoppiettava soltanto il volo dei grilli, quando il sole batteva a piombo, la Lupa, affastellava manipoli su manipoli, e covoni su covoni, senza stancarsi mai, senza rizzarsi un momento sulla vita, senza accostare le labbra al fiasco, pur di stare sempre alle calcagna di Nanni, che mieteva e mieteva, e le domandava di quando in quando: — Che volete, gnà Pina? -
Una sera ella glielo disse, mentre gli uomini sonnecchiavano nell’aia, stanchi dalla lunga giornata, ed i cani uggiolavano per la vasta campagna nera: — Te voglio! Te che sei bello come il sole, e dolce come il miele. Voglio te!
— Ed io invece voglio vostra figlia, che è zitella — rispose Nanni ridendo.
La Lupa si cacciò le mani nei capelli, grattandosi le tempie senza dir parola, e se ne andò; né più comparve nell’aia. Ma in ottobre rivide Nanni, al tempo che cavavano l’olio, perché egli lavorava accanto alla sua casa, e lo scricchiolio del torchio non la faceva dormire tutta notte.
La caratterizzazione del personaggio principale investe allora molti livelli distinti. Innanzitutto, c’è il soprannome della “gnà Pina”, che la accomuna al mondo animale e ad un animale pericoloso (e tradizionalmente ritenuto uno dei simboli del male) come il lupo. La donna viene esclusa dal contesto sociale perché simbolo del peccato carnale. Oltre che nei suoi tratti fisici, la carica sessuale della Lupa si traduce nella sua forza animalesca e nell’ossessione della sua passione, che viene descritta come una forza bruciante ed insaziabile, spesso associata alla sensazione divorante della sete.
— Prendi il sacco delle olive, — disse alla figliuola, — e vieni -.
Nanni spingeva con la pala le olive sotto la macina, e gridava — Ohi! — alla mula perché non si arrestasse. — La vuoi mia figlia Maricchia? — gli domandò la gnà Pina. — Cosa gli date a vostra figlia Maricchia? — rispose Nanni. — Essa ha la roba di suo padre, e dippiù io le do la mia casa; a me mi basterà che mi lasciate un cantuccio nella cucina, per stendervi un po’ di pagliericcio. — Se è così se ne può parlare a Natale — disse Nanni. Nanni era tutto unto e sudicio dell’olio e delle olive messe a fermentare, e Maricchia non lo voleva a nessun patto; ma sua madre l’afferrò pe’ capelli, davanti al focolare, e le disse co’ denti stretti: — Se non lo pigli, ti ammazzo! -
La Lupa, simbolo dell’eros e del tabù dell’incesto, è completamente aliena alla legge della “roba”, ed anzi non esita a trasgredirla e a violarla, sacrificando la figlia, la sua dote e anche i propri averi per avere ciò che desidera.
La Lupa era quasi malata, e la gente andava dicendo che il diavolo quando invecchia si fa eremita. Non andava più di qua e di là; non si metteva più sull’uscio, con quegli occhi da spiritata. Suo genero, quando ella glieli piantava in faccia, quegli occhi, si metteva a ridere, e cavava fuori l’abitino della Madonna per segnarsi. Maricchia stava in casa ad allattare i figliuoli, e sua madre andava nei campi, a lavorare cogli uomini, proprio come un uomo, a sarchiare, a zappare, a governare le bestie, a potare le viti, fosse stato greco e levante di gennaio, oppure scirocco di agosto, allorquando i muli lasciavano cader la testa penzoloni, e gli uomini dormivano bocconi a ridosso del muro a tramontana. In quell’ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina buona, la gnà Pina era la sola anima viva che si vedesse errare per la campagna, sui sassi infuocati delle viottole, fra le stoppie riarse dei campi immensi, che si perdevano nell’afa, lontan lontano, verso l’Etna nebbioso, dove il cielo si aggravava sull’orizzonte.
Verga costruisce intorno alla Lupa un’atmosfera carica di simboli che contribuiscono ad esaltare l’animalità e la forza indomita della protagonista.
L’ambiente è selvaggio, primordiale come la personalità focosa della protagonista. La natura è rappresentata come uno spazio mitico, ancestrale, regolato solo dal trascorrere delle ricorrenze religiose e dai ritmi del lavoro contadino.
— Svegliati! — disse la Lupa a Nanni che dormiva nel fosso, accanto alla siepe polverosa, col capo fra le braccia. — Svegliati, ché ti ho portato il vino per rinfrescarti la gola -.
Nanni spalancò gli occhi imbambolati, tra veglia e sonno, trovandosela dinanzi ritta, pallida, col petto prepotente, e gli occhi neri come il carbone, e stese brancolando le mani.
— No! non ne va in volta femmina buona nell’ora fra vespero e nona! — singhiozzava Nanni, ricacciando la faccia contro l’erba secca del fossato, in fondo in fondo, colle unghie nei capelli. — Andatevene! andatevene! non ci venite più nell’aia! -
Ella se ne andava infatti, la Lupa, riannodando le trecce superbe, guardando fisso dinanzi ai suoi passi nelle stoppie calde, cogli occhi neri come il carbone.
Ma nell’aia ci tornò delle altre volte, e Nanni non le disse nulla. Quando tardava a venire anzi, nell’ora fra vespero e nona, egli andava ad aspettarla in cima alla viottola bianca e deserta, col sudore sulla fronte — e dopo si cacciava le mani nei capelli, e le ripeteva ogni volta: — Andatevene! andatevene! Non ci tornate più nell’aia!
Maricchia piangeva notte e giorno, e alla madre le piantava in faccia gli occhi ardenti di lagrime e di gelosia, come una lupacchiotta anch’essa, allorché la vedeva tornare da’ campi pallida e muta ogni volta. — Scellerata! — le diceva. — Mamma scellerata!
— Taci!
— Ladra! ladra!
— Taci!
— Andrò dal brigadiere, andrò!
— Vacci!
E ci andò davvero, coi figli in collo, senza temere di nulla, e senza versare una lagrima, come una pazza, perché adesso l’amava anche lei quel marito che le avevano dato per forza, unto e sudicio delle olive messe a fermentare.
Il brigadiere fece chiamare Nanni; lo minacciò sin della galera e della forca. Nanni si diede a singhiozzare ed a strapparsi i capelli; non negò nulla, non tentò di scolparsi. — È la tentazione! — diceva; — è la tentazione dell’inferno! — Si buttò ai piedi del brigadiere supplicandolo di mandarlo in galera.
— Per carità, signor brigadiere, levatemi da questo inferno! Fatemi ammazzare, mandatemi in prigione! non me la lasciate veder più, mai! mai!
Pina invece sfrutterà proprio le ore pomeridiane per sedurre Nanni che, convocato dalle forze dell’ordine a seguito della denuncia di sua moglie per giustificare il suo ripetuto adulterio, non potrà che confessare la propria disperazione di fronte alla Lupa e alla tentazione che lei rappresenta.
Al tormento di Nanni corrisponde la determinazione della Lupa, che è la vera forza agente del racconto e che, anche di fronte ai rappresentanti della legge, non rinuncia alla propria passione assoluta e totalizzante.
La Lupa è una figura assai originale: è infatti lei a rappresentare il polo attivo della coppia, mentre Nanni gioca un ruolo passivo e succube della femminilità di gnà Pina.
— No! — rispose invece la Lupa al brigadiere — Io mi son riserbato un cantuccio della cucina per dormirvi, quando gli ho data la mia casa in dote. La casa è mia; non voglio andarmene.
La vicenda non può che avere un esito tragico, come quello di altre novelle verghiane costruite attorno ad un problema erotico-sentimentale. Nanni riceve infatti un “calcio dal mulo” che lo porta vicino alla morte e acquieta momentaneamente la sua insostenibile passione; ma presto il legame tra il protagonista e la Lupa torna ad essere morbosamente ossessivo
Poco dopo, Nanni s’ebbe nel petto un calcio dal mulo, e fu per morire; ma il parroco ricusò di portargli il Signore se la Lupa non usciva di casa. La Lupa se ne andò, e suo genero allora si poté preparare ad andarsene anche lui da buon cristiano; si confessò e comunicò con tali segni di pentimento e di contrizione che tutti i vicini e i curiosi piangevano davanti al letto del moribondo. E meglio sarebbe stato per lui che fosse morto in quel giorno, prima che il diavolo tornasse a tentarlo e a ficcarglisi nell’anima e nel corpo quando fu guarito. — Lasciatemi stare! — diceva alla Lupa — Per carità, lasciatemi in pace! Io ho visto la morte cogli occhi! La povera Maricchia non fa che disperarsi. Ora tutto il paese lo sa! Quando non vi vedo è meglio per voi e per me… -
La diversità della Lupa ha ragioni profonde che il narratore popolare di Verga — sulla cui attendibilità di giudizio occorre sempre dubitare — non rende del tutto esplicite. Gnà Pina è del tutto estranea alla morale religiosa della comunità popolare, divenendo una sorta di incarnazione demoniaca, tanto che Nanni, per salvarsi da lei, ricorre addirittura ai conforti della fede e alla penitenza.
Ed avrebbe voluto strapparsi gli occhi per non vedere quelli della Lupa, che quando gli si ficcavano ne’ suoi gli facevano perdere l’anima ed il corpo. Non sapeva più che fare per svincolarsi dall’incantesimo. Pagò delle messe alle anime del Purgatorio, e andò a chiedere aiuto al parroco e al brigadiere. A Pasqua andò a confessarsi, e fece pubblicamente sei palmi di lingua a strasciconi sui ciottoli del sacrato innanzi alla chiesa, in penitenza — e poi, come la Lupa tornava a tentarlo:
— Sentite! — le disse, — non ci venite più nell’aia, perché se tornate a cercarmi, com’è vero Iddio, vi ammazzo!
— Ammazzami, — rispose la Lupa, — ché non me ne importa; ma senza di te non voglio starci -.
Ei come la scorse da lontano, in mezzo a’ seminati verdi, lasciò di zappare la vigna, e andò a staccare la scure dall’olmo. La Lupa lo vide venire, pallido e stralunato, colla scure che luccicava al sole, e non si arretrò di un sol passo, non chinò gli occhi, seguitò ad andargli incontro, con le mani piene di manipoli di papaveri rossi, e mangiandoselo con gli occhi neri. — Ah! malanno all’anima vostra! — balbettò Nanni.
L’unica soluzione possibile, nella mente allucinata dell’uomo, non può che essere quella più estrema, come il finale de La Lupa, in una sorta di tragedia rurale, sintetizza in maniera emblematica.
Al confronto con il mondo naturale si aggiunge l’utilizzo da parte del narratore di alcuni colori ricorrenti, che servono a caratterizzare la Lupa: in particolare, spicca il nero dei capelli di gnà Pina e il rosso, colore delle labbra della donna e simbolo della passione erotica. Lo si vede molto bene proprio nella scena finale, quando la tensione giunge al culmine e Nanni decide di uccidere la Lupa, che “seguita ad andargli incontro, con le mani piene di manipoli di papaveri rossi, e mangiandoselo con gli occhi neri”. Altra caratteristica della Lupa e della sua forza ferina, oltre al pallore che la fa sembrare “malata”, sono gli occhi “da satanasso” che diventano uno strumento di dominio e di sopraffazione nei confronti di Nanni, quasi fossero dotato di un potere magico. L’omicidio finale a colpi di scure rappresenta allora una sorta di rito di catarsi, con cui la comunità elimina dal proprio interno un elemento scomodo e perturbante. D’altra parte rappresenta una scelta coerente al proprio modo di vivere della Lupa.