La missione di Dante

Inferno, canto II

Luca Pirola
8 min readFeb 23, 2022

Il secondo canto costituisce l’esordio dell’Inferno: esso è dominato dal tema del dubbio del pellegrino di essere degno di riuscire a compiere il viaggio ultraterreno e quello dell’incontro tra Virgilio e Beatrice.

Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno

m’apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra.

Sul far della sera, Dante da solo (Virgilio è un’ombra, perciò non conta) si trova a dover affrontare le fatiche del viaggio nell’Inferno; il poeta anticipa l’argomento dicendosi pronto ad affrontare le fatiche (guerra, v.4) del cammino e della pietà suscitata dai dannati, promettendo di riferirne per quanto potrà ricordare (la mente che non erra, v. 6 è la memoria del poeta)

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate.

L’invocazione alle Muse dà inizio ufficialmente alla Cantica; grazie all’allegoria che associa le Muse all’alto ingegno Dante può invocare le divinità pagane. Con alto ingegno il poeta intende il suo valore intellettuale che rende possibile la sua creazione letteraria. Riprende poi il tema della memoria (o mente … io vidi, v. 8) già visto all’inizio della Vita Nuova.

Io cominciai: “Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s’ell’è possente,
prima ch’a l’alto passo tu mi fidi.

Tu dici che di Silvïo il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente.

Però, se l’avversario d’ogne male
cortese i fu, pensando l’alto effetto
ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale

non pare indegno ad omo d’intelletto;
ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
ne l’empireo ciel per padre eletto:

la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u’ siede il successor del maggior Piero.

Dante si rivolge a Virgilio, considerando che Dio (l’avversario d’ogne male, v. 16) ha concesso a Enea (di Silvïo il parente, v. 11. Silvio è figlio di Enea a Lavinia) di visitare l’Inferno quando era ancora vivo, perché Enea era stato scelto come capostipite di coloro che avrebbero fondato la Roma imperiale, scelta poi come sede papale, Dio dovrebbe supporotare chi è dotato di intelletto, cioè chi compie questo viaggio con il sostegno della fede.

Il complesso periodo ricalca i tecnicismi retorici della filosofia scolastica (‘l chi e ‘l quale, v. 18 e la quale e ‘l quale, v. 22).

Per quest’andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto.

Ciò che Enea apprese durante il suo viaggio (andata, v. 25), cioè le profezie di Anchise, fu utile per sconfiggere Turno e stabilirsi nel Lazio. Questo evento per Dante è provvidenziale perché è all’origine dell’avvento del Papato, che si stabilirà a Roma (papale ammanto, v. 27 è metonimia per Papato)

Andovvi poi lo Vas d’elezïone,
per recarne conforto a quella fede
ch’è principio a la via di salvazione.

San Paolo (Vas d’elezione, v. 28, gli Atti degli Apostoli lo definiscono “vaso in cui si raccoglie la volontà di Dio”) visitò l’oltretomba per trovare il conforto della fede cristiana.

Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri ’l crede.

Per che, se del venire io m’abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono”.

Dante conclude esprimendo i propri dubbi sulla sua capacità di affrontare un viaggio simile: perché deve affrontarlo? Chi gli dà il permesso di compierlo? Il poeta si dichiara indegno, non essendo né Enea né san Paolo. Dante si premura di affermare che il suo viaggio è voluto da Dio, non è folle (v.35) come il viaggio motivato dalla curiosità dell’uomo.

E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle,

tal mi fec’ïo ’n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la ’mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta.

La similitudine paragona Dante all’indeciso: come colui che cambia idea e abbandona i suoi propositi, così è fatto il poeta che sul pendio oscuro (il sole che illuminava il colle è calato) e intende abbandonare l’impresa intrapresa tanto frettolosamente.

“S’i’ ho ben la parola tua intesa”,
rispuose del magnanimo quell’ombra,
“l’anima tua è da viltade offesa;

la qual molte fïate l’omo ingombra
sì che d’onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand’ombra.

Virgilio risponde che Dante è colpito dalla viltà che spesso impedisce di realizzare quanto intrapreso per semplice timore. Il poeta la tino è definito magnanimo (v. 44), un termine della scolastica che indica chi si rende degno di grande rispetto perché consapevole delle proprie capacità e della dignità dell’uomo. Qui costituisce un antitesi con la viltà di Dante.

Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi
nel primo punto che di te mi dolve.

Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi.

Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella:

Virgilio racconta a Dante il motivo del suo soccorso: mentre era nel limbo (tra color che sono sospesi, v.52) un donna beata e bella (v. 53, Beatrice, figura della teologia e della sapienza divina) gli è apparsa dicendogli con angelica voce (v. 57); l’apparizione di Beatrice richiama esplicitamente le descrizioni stilnovistiche nei tratti angelici e nella endiadi beata e bella.

“O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto ’l mondo lontana,

l’amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che vòlt’è per paura;

e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.

Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c’ ha mestieri al suo campare,
l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata.

I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare.

Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui”.

Beatrice descrive la condizione di Dante impaurito dalla lupa, e chiede a Virgilio di soccorrerlo con le sue parole — ornata perché poetica (v. 67) — e con tutte le sue arti (mestieri, v. 68). Dice che Amore la spinse ad agire e che ricorderà spesso il nome del poeta davanti a Dio. L’amore si rivela ancora una volta strumento di salvezza, strada verso il Paradiso, per Dante, infatti Amore è l’amore giovanile di Beatrice per Dante e contemporaneamente l’amore divino di tutti i beati. Dopo la vita Nuova Beatrice torna nell’opera di Dante, assurta definitivamente alla dimensione celeste di guida nel Paradiso.

Tacette allora, e poi comincia’ io:

“O donna di virtù sola per cui
l’umana spezie eccede ogne contento
di quel ciel c’ ha minor li cerchi sui,

tanto m’aggrada il tuo comandamento,
che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;
più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento.

L’interpretazione del passo è controversa, ma i più concordano nel riferire donna di virtù (v.76) a Beatrice — già definita regina delle virtudi nella Vita Nuova — allegoria della sapienza divina: grazie ad essa è possibile andare oltre il limite di ciò che si trova sulla Terra, ovvero superare i confini del cielo della Luna, che ha minor li cerchi sui (v. 78).

Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro
de l’ampio loco ove tornar tu ardi”.

L’Inferno è definito come centro (v. 83) perché è al centro della terra, a sua volta posta al centro dell’Universo.

“Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente”, mi rispuose,
“perch’i’ non temo di venir qua entro.

Temer si dee di sole quelle cose
c’ hanno potenza di fare altrui male;
de l’altre no, ché non son paurose.

I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale.

Donna è gentil nel ciel che si compiange
di questo ‘mpedimento ov’io ti mando,
sì che duro giudicio là sù frange.

Dopo aver spiegato che, essendo beata per grazia di Dio, le fiamme dell’Inferno non le fanno paura, Beatrice spiega che in Paradiso c’è una Donna gentile (v.94) — la Vergine Maria, advocata christianorum, che si rammarica tanto per l’impedimento che blocca Dante da intercedere per lui. La Madonna rappresenta la Grazia preveggente.

Questa chiese Lucia in suo dimando
e disse: — Or ha bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo raccomando -.

Maria incarica santa Lucia — allegoria della Grazia illuminante — di provvedere al soccorso.

Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov’i’ era,
che mi sedea con l’antica Rachele.

Disse: — Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t’amò tanto,
ch’uscì per te de la volgare schiera?

Non odi tu la pieta del suo pianto,
non vedi tu la morte che ’l combatte
su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? -.

A sua volta santa Lucia affida il compito del soccorso a Beatrice, che sedeva vicina a Rachele — allegoria della vita contemplativa — perché l’amore per lei aveva permesso a Dante di elevarsi oltre gli altri poeti volgari. Uscire per te de la volgare schiera (v. 105) può anche essere interpretato in modo più ampio secondo l’idea stilnovistica: l’amore per Beatrice ha nobilitato Dante al punto da distoglierlo dagli interessi mondani.

La metafora della fiumana ove ‘l mar non ha vanto (v.108) rappresenta i flutti delle passioni e degli istinti, incarnati dalle tre fiere del primo canto.

Al mondo non fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
com’io, dopo cotai parole fatte,

venni qua giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
ch’onora te e quei ch’udito l’ hanno”.

Poscia che m’ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse,
per che mi fece del venir più presto.

E venni a te così com’ella volse:
d’inanzi a quella fiera ti levai
che del bel monte il corto andar ti tolse.

Infine Beatrice invia Virgilio a indicare la corretta via a Dante. Il cerchio enigmatico aperto dalla comparsa fioca di Virgilio nel primo canto può chiudersi, i dubbi del pellegrino risolversi e il viaggio riprendere.

Dunque: che è perché, perché restai,
perché tanta viltà nel core allette,
perché ardire e franchezza non hai,

poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
e ’l mio parlar tanto ben ti promette?”.

Poiché il viaggio di Dante risponde alla volontà divina, Virgilio chiede il motivo dell’indugio (alleate, v.122) di Dante. Le tre donne benedette (Maria, Lucia e Beatrice) si sono mosse intercedendo per lui e la presenza di Virgilio promette una guida certa.

Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo,

tal mi fec’io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
ch’i’ cominciai come persona franca:

“Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch’ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse!

Tu m’ hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
ch’i’ son tornato nel primo proposto.

Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:
tu duca, tu segnore e tu maestro”.
Così li dissi; e poi che mosso fue,

intrai per lo cammino alto e silvestro.

Rinfrancato e rassicurato, con volontà rinnovata, come un piccolo fiore che si rialza dopo il gelo della notte, Dante riprende il viaggio arduo e selvaggio (alto e silvestre, v. 142). Virgilio è qui definito duca, segnore e maestro, (v. 140) cioè guida, reggitore dei pensieri e modello della mente di Dante.

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Luca Pirola
Luca Pirola

Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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