La morale della politica
Machiavelli, Il principe, cap. 15
Con il capitolo 15 prende avvio una nuova sezione del Principe, di natura strettamente teorica, che si protrae fino al capitolo 19, dedicata allo studio delle qualità personali richieste a un principe nuovo. Il capitolo 15, in particolare, Machiavelli pone le premesse metodologiche dell’indagine e ne traccia una sorta di sommario. Il metodo è riducibile a un principio fondamentale: bisogna andare drieto alla verità effettuale. Il principe deve ragionare sulla base non di ciò che la realtà dovrebbe essere, ma di ciò che la realtà è; il principe idealista e obbediente a princìpi di moralità assoluta è destinato alla rovina sua e del proprio Stato; il principe che vuole conservare lo Stato deve essere tanto prudente da capire che è virtù ciò che gli permette di mantenere il potere e vizio ciò che glielo fa perdere.
La morale comune e l’osservanza delle regole di convivenza civile, che prescrivono per ogni essere umano la lealtà, l’onestà, il senso dell’onore, non sono adatte a un principe che voglia mantenere saldamente il potere. Quelle che sono comunemente considerate virtù possono infatti essere causa della sua rovina, constatato che la maggior parte degli esseri umani non ha una naturale inclinazione al bene. Il principe deve cautelarsi dall’eccessiva bontà; deve essere scaltro e sapere quando è il momento di far tacere la propria coscienza, guardare in faccia la realtà e comportarsi di conseguenza. Questa concezione — lontana da quella di tutti gli autori passati e contemporanei — è fondata su un principio di autonomia della sfera politica rispetto alla dimensione morale ed è alla base della nascita della moderna scienza politica.
De his rebus quibus homines et praesertim principes laudantur aut vituperantur.
[Di quelle cose per le quali li uomini, e specialmente i principi, sono laudati o vituperati]
Resta ora a vedere quali debbano essere e’ modi e governi di uno principe con sudditi o con li amici. E, perché io so che molti di questo hanno scritto, dubito, scrivendone ancora io, non essere tenuto prosuntuoso, partendomi, massime nel disputare questa materia, dalli ordini delli altri.
Machiavelli introduce la sua trattazione teorica definendo immediatamente l’argomento oggetto della discussione: i comportamenti di governo di un principe. Inserisce il suo contributo originale nel solco della trattazione precedente, sapendo che molti autori hanno trattato questo argomento. La tradizione degli specula principis risale fino a Platone, Aristotele e Cicerone, e comprende, fra gli altri, Tommaso d’Aquino, Marsilio da Padova, Egidio Colonna, Dante, Pontano, Bracciolini, il Panormita. Rispettoai suoi illustri predecessori, tuttavia, Machiavelli chiarisce di assumere un punto di vista differente.
Ma, sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa. E molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero; perché elli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare, impara più tosto la ruina che la perservazione sua: perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, et usarlo e non usare secondo la necessità.
Nel primo paragrafo Machiavelli pone una necessari a premessa metodologica, infatti dichiara di voler considerare la verità dei fatti (verità effettuale), piuttosto che partire da assunti teorici: contrariamente al solito, l’autore non ricorre ad alcun esempio e prende polemicamente le distanze dagli innumerevoli specula principis in circolazione, dagli umanisti (come Alberti, Salutati, Pontano) e anche dai classici (Platone, Aristotele, Cicerone), oltre che dai trattatisti medievali (Dante, Tommaso d’Aquino).
Perciò Machiavelli afferma che gli è sembrato più utile cercare di stabilire l’essenza concreta del nostro argomento, così com’è radicata nei fatti reali, piuttosto che basarsi su dati immaginari, idealizzati. Infatti compie tale scelta perché dice di voler scrivere qualcosa di utile per chi vuole capire, Machiavelli dunque si rivolge ai principi savi che hanno a cuore le sorti dello Stato non agli intellettuali, perché lo scopo del trattato è indicare la via per l’effettiva costituzione di uno Stato forte e unitario, capace di dare una svolta reale alla drammatica situazione politica italiana.
L’assunto iniziale di Machiavelli consiste nella consapevolezza che c’è una tale distanza tra come si vive e come si dovrebbe vivere, che chi trascura i fatti reali (quello che si fa) per seguire le prescrizioni della morale (quello che si doverebbe fare) va incontro alla rovina piuttosto che alla salvezza. Quindi è necessario per un principe, che voglia mantenere il suo potere, impari a poter essere anche non buono, servendosi o meno della facoltà di essere non buono secondo le necessità. Il principe, dunque, non può permettersi di essere buono quando ciò sia controproducente. La morale e la politica viaggiano su strade separate: è l’enunciazione della a-moralità come legge della politica
Scontrandosi con la tradizione precedente, Machiavelli ritiene che la politica non debba essere subordinata alla morale e che il principe, se le circostanze lo richiedono, impari anche a essere non buono. Alla base di tale concezione c’è una visione pessimistica della natura umana, come emerge dal prosieguo del capitolo. Si noti il valore puramente strumentale delle categorie etiche: esse rimangono tali, ma trasferite su un piano politico che le rifunzionalizza in vista dell’interesse dello Stato.
Il paragrafo è un esempio del procedimento dilemmatico (o con subditi o con li amici; la verità effettuale della cosa contro l’inmaginazione di epsa; come si vive opposto a come si doverrebbe vivere; la ruina contro la preservazione; o biasimo o laude.) tipico del procedere argomentativo di Machiavelli.
La parola “effettuale”, come a dire, effettiva, positiva, basata sui fatti (effetto per fatto è comune nel ’500) è creazione del Machiavelli: la parola nuova che sorge e resta celebre con l’intuizione nuova che sta ad esprimere. Questa della “realtà effettuale” è difatti la formula proverbiale del realismo storico del Machiavelli
Lasciando adunque indrieto le cose circa uno principe immaginate, e discorrendo quelle che sono vere, dico che tutti li uomini, quando se ne parla, e massime e’ principi, per essere posti più alti, sono notati di alcune di queste qualità che arrecano loro o biasimo o laude. E questo è che alcuno è tenuto liberale, alcuno misero (usando uno termine toscano, perché avaro in nostra lingua è ancora colui che per rapina desidera di avere, misero chiamiamo noi quello che si astiene troppo di usare il suo); alcuno è tenuto donatore, alcuno rapace; alcuno crudele, alcuno pietoso; l’uno fedifrago, l’altro fedele; l’uno effeminato e pusillanime, l’altro feroce et animoso; l’uno umano, l’altro superbo; l’uno lascivo, l’altro casto; l’uno intero, l’altro astuto; l’uno duro, l’altro facile; l’uno grave l’altro leggieri; l’uno relligioso, l’altro incredulo, e simili.
Nel secondo paragrafo è anticipato l’elenco delle qualità che rendono i principi meritevoli di biasimo o laude. Si può osservare come il principe è qui giudicato dal basso, secondo le apparenze… non stando ai fatti. In altre parole, Machiavelli passa in rassegna le virtù ideali del principe quali sono delineate dagli specula principis per opporre ad esse le virtù politiche reali.
Questo elenco è una lunga serie dilemmatica: liberale… misero, donatore… rapace, crudele… piatoso, fedi- frago… fedele, lascivo… casto, intero… astuto, duro… facile, grave… legieri, religioso… incredulo): vie di mezzo, per Machiavelli, sembrano impossibili. Inoltre è da notare una nota linguistica di Machiavelli, che dichiara di usare la forma misero, propria del toscano contemporaneo, perché meno ambigua della forma letteraria avaro, che può significare anche “avido” (avaro in nostra lingua è ancora colui che per rapina desidera di avere, misero chiamiamo noi quello che si astiene troppo di usare il suo).
Et io so che ciascuno confesserà che sarebbe laudabilissima cosa uno principe trovarsi di tutte le soprascritte qualità, quelle che sono tenute buone: ma, perché non si possono avere né interamente osservare, per le condizioni umane che non lo consentono, li è necessario essere tanto prudente che sappia fuggire l’infamia di quelle che li torrebbano lo stato, e da quelle che non gnene tolgano guardarsi, se elli è possibile; ma, non possendo, vi si può con meno respetto lasciare andare. Et etiam non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizii sanza quali possa difficilmente salvare lo stato; perché, se si considerrà bene tutto, si troverrà qualche cosa che parrà virtù, e seguendola sarebbe la ruina sua; e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola ne riesce la securtà et il bene essere suo.
Nel terzo paragrafo è enunciata la tesi di fondo: nel considerare l’azione di un principe si troveranno qualità che sembreranno virtù. É necessario che un principe sia tanto saggio da evitare la infamia di quegli vizii che gli torrebbano lo stato. Le modalità dell’azione politica non devono conformarsi alla morale così com’è comunemente intesa; anzi, nel sistema di riferimento della politica, i valori risultano spesso capovolti: il vizio è virtù e la virtù è vizio. Ciò che è virtù dal punto di vista etico, si rivela come un’apparenza dal punto di vista politico, poiché in questa nuova dimensione è in realtà vizio: produce cioè male e ruina.
Se a livello teorico Machiavelli fonda una nuova visione della politica, basata sulla realtà effettuale, in pratica non segue i princìpi che ha così acutamente formulato. Machiavelli predica la duttilità come fondamento della politica, la valutazione delle qualità in base agli effetti, il che imporrebbe logicamente di concludere che talora è opportuno essere buoni, talora no; talora mantenere la parola data, talora no (usarlo e non usarlo secondo la necessità); invece, Machiavelli indica comportamenti che vanno sempre adottati (sostituisce il “dover essere” della tradizione cristiana con il presunto “dover essere” della politica), prescindendo dai singoli casi e così involontariamente precipitando in quell’astrattezza che pure, a livello teorico, ha liquidato.