La notte tra Agilulfo e Priscilla

Il cavaliere inesistente di Italo Calvino

Luca Pirola
13 min readMar 19, 2020

Da grande conoscitore ed estimatore di Ariosto, Calvino riprende il poema cavalleresco rivitalizzando il genere letterario. I personaggi del Cavaliere inesistente sono paladini e dame, il re cristiano che guida l’esercito è Carlo Magno, la quête di ognuno di loro è il motore delle vicende. Infatti tutti i personaggi lottano per raggiungere una dimensione superiore: Agilulfo affronta le prove che gli si presentano per dare un senso alla propria vita, Rambaldo desidera conquistare Bradamante, Torrismondo è alla ricerca delle proprie origini. In particolare Agilulfo rappresenta l’individuo contemporaneo senza certezze interiori e senza identità, poichè è definito solo dalla propria funzione. L’epilogo rappresenta la mancanza di certezze dell’uomo contemporaneo, perché Agilulfo svanisce “come una goccia nel mare” metafora dell’impossibilità di esistere in un mondo che riduce la persona al suo ruolo.

La trama

La storia narra di un cavaliere senza corpo di nome Agilulfo, che nonostante ciò esisteva e indossava sempre la sua armatura bianca. Durante una battaglia con i Saraceni conobbe un giovane cavaliere, Rambaldo che si era innamorato di Bradamante, l’unico cavaliere femmina dell’esercito, la quale a sua volte era innamorata di Agilulfo. Una sera, tutti i cavalieri stavano cenando, e mentre alcuni si vantavano delle loro mirabili imprese, Agilulfo li interrompeva dicendo come erano veramente andati i fatti, quando Torrismondo ebbe da obiettare su come Agilulfo fosse diventato cavaliere: infatti , secondo quello, sua madre era Sofronia, la stessa che Agilulfo aveva salvato dai briganti, così siccome era vergine, fu nominato cavaliere. Quindi, se allora Sofronia non fosse stata vergine, Agilulfo non sarebbe diventato cavaliere e non starebbe combattendo con i Franchi. Così egli partì alla ricerca di Sofronia per sapere se Torrismondo aveva ragione. Insieme a lui partì anche Bradamante perché lo amava, Rambaldo perché amava lei e Torrismondo alla ricerca dei cavalieri del San Gral affinché dicessero di essere i suoi padri. Così, dopo molte peripezie, Sofronia svelò che era realmente vergine, ma quando lo disse era troppo tardi perché Agilulfo, per la vergogna, era scomparso per sempre, lasciando la sua armatura a Rambaldo di cui poi si innamora Bradamante.

La notte tra Priscilla e Agilulfo — analisi del testo

Agilulfo è un cavaliere dall’armatura vuota, che esiste solo attraverso la forza di volontà e la coscienza, mentre Gurdulù, il suo scudiero e compagno di avventure, esiste ma è privo di coscienza. Gurdulù diventa complementare ad Agilulfo stesso in quanto uno è privo di “individualità fisica”, l’altro privo “d’individualità di coscienza”. Durante la ricerca della propria identità Agilulfo arriva al castello di Priscilla, una vedova che si innamora di Agilulfo e decide di offrirgli una notte di passione.

prima sequenza: arrivo di Agilulfo e Gurdulù al castello, i quali una volta sconfitti gli orsi, sono accolti da Priscilla e dalle ancelle. Segue la descrizione degli esercizi di destrezza di Agilulfo, compiuti all’alba. Rambaldo lo osserva

Agilulfo irrompe sullo spiazzo dove sorge il castello. Tutt’intorno è nero d’orsi. Alla vista del cavallo e del cavaliere, digrignano i denti e s’assiepano fianco a fianco a sbarrargli la strada. Agilulfo carica mulinando la lancia. Qualcuno ne infilza, altri ne stordisce, altri ne ammacca. Sopraggiunge sul suo cavallo Gurdulú e li insegue con lo spiedo. In dieci minuti quelli che non son rimasti stesi come tanti tappeti sono andati a rimpiattarsi nelle piú profonde foreste.
S’aperse la porta del castello. — Nobile cavaliere, potrà la mia ospitalità ripagarvi di quanto io vi devo? — Sulla soglia era apparsa Priscilla, attorniata dalle sue dame e fantesche. (Tra loro era la giovane che aveva accompagnato i due fin là; non si capisce come, era già a casa e indossava non piú le vesti lacere di prima ma un bel grembiule pulito).
Agilulfo, seguito da Gurdulú, fece il suo ingresso nel castello. La vedova Priscilla era una non tanto alta, non tanto in carne, ma ben lisciata, dal petto non vasto ma messo ben in fuori, certi occhi neri che guizzano, insomma una donna che ha qualcosa da dire. Era lì, davanti alla bianca armatura di Agilulfo, compiaciuta. Il cavaliere stava sostenuto, ma era timido.

Seconda sequenza: cena tra Agilulfo e Priscilla, durante la quale la donna tenta di sedurre il cavaliere. Agilulfo mantiene un comportamento irreprensibile, ma distaccato. Gurdulù nel frattempo è intrattenuto dalle ancelle

- Cavaliere Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni, — disse Priscilla, — già conosco il vostro nome e so bene chi siete e chi non siete.
A quell’annuncio Agilulfo, come liberato da un disagio, depose la timidezza e assunse un’aria sufficiente. Cionondimeno s’inchinò, piegò un ginocchio a terra, disse: — Servo vostro, — e s’alzò di scatto.
- Ho tanto inteso parlare di voi, — disse Priscilla, — e da tempo era mio ardente desiderio incontrarvi. Quale miracolo vi ha portato su questa strada così remota?
Sono in viaggio per rintracciare prima che sia troppo tardi, — disse Agilulfo, — una verginità di or sono quindici anni.
- Non ho mai udito impresa cavalleresca che avesse una mèta così sfuggente, — disse Priscilla. — Ma se sono passati quindici anni, non ho scrupolo a farvi ritardare ancora una notte, chiedendovi di restare ospite del mio castello — . E s’avviò al suo fianco.
Le altre donne rimasero tutte con gli occhi addosso a lui, finché non sparì con la castellana in un seguito di sale. Allora si voltarono a Gurdulú.
- Oh, che bel tocco di palafreniere! — fanno, battendo le mani. Lui se ne sta lì come un babbeo, e si gratta. — Peccato abbia le pulci e puzzi tanto! — dicono. — Su, svelte, laviamolo! — Lo portano nei loro quartieri e lo spogliano nudo.
Priscilla aveva condotto Agilulfo a una tavola apparecchiata per due persone. — Conosco la vostra abituale temperanza, cavaliere, — gli disse, — ma non so come cominciare a farvi onore se non invitandovi a sedere a questo desco. Certamente, — aggiunse maliziosa, — i segni di gratitudine che ho in animo d’offrirvi non si fermano qui.
Agilulfo ringraziò, sedette di fronte alla castellana, sminuzzò qualche briciola di pane tra le dita, stette qualche momento in silenzio, si schiarì la voce, e attaccò a parlare del piú e del meno.
- Davvero strane e fortunose, signora, le venture che toccano in sorte a un cavaliere errante. Esse peraltro possono raggrupparsi in vari tipi. Primo… — E così conversa, affabile, preciso, informato, talora facendo affiorare un sospetto d’eccessiva meticolosità, subito corretto però dalla volubilità con cui passa a parlar d’altro, intercalando le frasi serie con motti di spirito e scherzi sempre di buona lega, dando sui fatti e sulle persone giudizi né troppo favorevoli né troppo contrari, tali sempre da poter esser fatti propri dall’interlocutrice, alla quale offre il destro di dir la sua, incoraggiandola con garbate domande.
- O che conversatore delizioso, — fa Priscilla, e si bea.
Tutt’a un tratto, così come aveva cominciato a discorrere, Agilulfo sprofonda nel silenzio.
- È ora che comincino i canti, — fece Priscilla e batté le mani. Entrarono nella sale le suonatrici di liuto. Una intonò la canzone che dice: «Il licorno coglierà la rosa»; poi quell’altra: «Jasmin, veuillez embellir le beau coussin».
Agilulfo ha parole d’apprezzamento per la musica e le voci.
Uno stuolo di giovinette entrò danzando. Avevano tuniche leggere e ghirlandette tra i capelli. Agilulfo accompagnava la danza battendo a ritmo coi suoi guanti di ferro sulla tavola.
Non meno festose erano le danze che si svolgevano in un’altra ala del castello, nei quartieri delle dame del seguito. Semisvestite, le giovani donne giocavano alla palla e pretendevano di far partecipare al loro gioco Gurdulú. Lo scudiero, vestito anche lui d’una tunichetta che quelle dame gli avevano prestato, anziché stare al suo posto ad aspettare che la palla gli venisse lanciata, le correva dietro e cercava d’impadronirsene in ogni modo, buttandosi a corpo morto addosso all’una o all’altra donzella, e in queste mischie spesso era colto da un’altra ispirazione e rotolava con la donna su uno dei morbidi giacigli che erano stesi là intorno.
- Oh, ma che fai? No, no, somaraccio! Ah, guardate cosa mi fa, no, voglio giocare alla palla, ah! ah! ah!
Gurdulú ormai non capiva piú niente. Tra il bagno tiepido che gli avevano fatto fare, i profumi e quelle carni bianche e rosa, ormai il suo solo desiderio era di fondersi alla generale fragranza.
- Ah, ah, è di nuovo qui, uh mamma mia, ma senti un po’, aaah…
Le altre giocavano alla palla come niente fosse, scherzavano ridevano cantavano: — Ola ola, la luna in alto vola…
La donzella che Gurdulú aveva strappato via, dopo un estremo lungo grido tornava tra le compagne, un po’ affocata in viso, un po’ stordita, e ridendo, battendo le mani: — Su, su, qua a me! — riprendeva a giocare.
Non passava molto, e Gurdulú rotolava addosso a un altra.
- Via, sciò sciò, ma che noioso, ma che irruento, no, mi fai male, ma di’… — e soccombeva
Altre donne e giovanette che non partecipavano ai giochi sedevano su panche e discorrevano tra loro;- … E perché Filomena, sapete, era gelosa di Clara ma invece… — e si sentiva abbrancare da Gurdulú alla vita, — Uh, che spavento!… invece, dicevo, Viligelmo pare che andasse con Eufemia… ma dove mi porti…? — Gurdulú se l’era caricata in spalla. … Avete capito? Quell’altra scema intanto con la sue gelosia al solito… — continuava a chiacchierare e a gesticolare la donna, penzolando dalla spalla di Gurdulú, e spariva.
Non era passato molto tempo e ritornava, scarmigliata, una spallina strappata, e si rimetteva lì, fitto fitto: — È proprio così, vi dico, Filomena fece una scena a Clara e l’altro invece…

Lo stile carnascialesco della descrizione dei giochi di Gurdulù e delle ancelle sottolinea il contrasto tra sensualità (amore materiale che si vive in cortile) e nobiltà d’animo (amore platonico nella stanza di Priscilla).

Terza sequenza: Priscilla cerca di concretizzare la seduzione, ma Agilulfo svicola ogni tentativo più o meno esplicito esasperando Priscilla; infine Agilulfo pettina Priscilla, poi si corica — ovviamente in armatura — accanto a lei. La serata termina con la contemplazione del paesaggio notturno dagli spalti del castello. All’alba Agilulfo dichiara di voler partire, perciò cerca Gurdulù e lo trova sfinito dalla notte di passione.

Dalla sala dei banchetti intanto danzatrici e suonatrici s’erano ritirate. Agilulfo si dilungò ad elencare alla castellana le composizioni che i musici dell’imperatore Carlomagno eseguivano piú di sovente.
- Il cielo s’imbruna, — osservò Priscilla.
- È notte, è notte fonda, — ammise Agilulfo.
- La stanza che vi ho riservato…
- Grazie. Udite l’usignolo là nel parco.
- La stanza che vi ho riservato… è la mia…
- La vostra ospitalità è squisita. È da quella quercia che canta l’usignolo. Avviciniamoci alla finestra.
S’alzò, le porse il ferreo braccio, s’accostò al davanzale. Il gorgheggio degli usignoli gli diede lo spunto per una serie di riferimenti poetici e mitologici.
Ma Priscilla troncò netto: — Insomma l’usignolo canta per amore. E noi…
- Ah! l’amore! — gridò Agilulfo con un soprassalto di voce così brusco che Priscilla ne restò spaventata. E lui, di punto in bianco, si lanciò in una dissertazione sulla passione amorosa.

Il dialogo tra Agilulfo e Priscilla è serrato, giocato sul tema dell’incorporeità; la prontezza linguistica corrisponde alla compostezza di Agilulfo che domina la realtà attraverso la scomposizione e la riorganizzazione. L’ordine diventa uno strumento per mantenere il controllo e rimediare all’insensatezza dell’esistenza. L’esattezza del linguaggio è un argine contro il caos della realtà. Il campo semantico dominante è quello del Medioevo “ancelle, dame, fantesche, palafreniere, licorno, ghirlandette, scudiero” che porta alla ricostruzione filologica del contesto.

Priscilla era teneramente accesa; appoggiandosi al suo braccio, lo spinse in una stanza dominata da un gran letto col baldacchino.
- Presso gli antichi, essendo l’amore considerato un dio… — continuava Agilulfo, fitto fitto.
Priscilla richiuse la porta a doppia mandata, si avvicinò a lui, chinò il capo sulla corazza e disse: — Ho un po’ freddo, il camino è spento…
- Il parere degli antichi, — disse Agilulfo, — se fosse meglio amarsi in stanze fredde oppure calde, è controverso. Ma il consiglio dei piú…
- Oh, come voi conoscete tutto dell’amore… — bisbigliava Priscilla.
- Il consiglio dei piú, pur escludendo gli ambienti soffocanti, propende per un certo natural tepore…
- Devo chiamare le donne ad accendere il fuoco?
- Lo accenderò io stesso. — Esaminò la legna accatastata nel camino, vantò la fiamma di questo o di quel legno, enumerò i vari modi di accender fuochi all’aperto o in luoghi chiusi. Un sospiro di Priscilla l’interruppe; come rendendosi conto che questi nuovi discorsi stavano disperdendo la trepidazione amorosa che s’era andata creando, Agilulfo prese rapidamente ad infiorare il suo discorso sui fuochi di riferimenti e paragoni e allusioni al calore dei sentimenti e dei sensi.
Priscilla ora sorrideva, a occhi socchiusi, allungava le mani verso la fiamma che cominciava a scoppiettare e diceva: — Quale grato tepore… quanto dev’esser dolce gustarlo tra le coltri, coricati…
L’argomento del letto suggerì ad Agilulfo una serie di nuove osservazioni: secondo lui la difficile arte di fare il letto è ignota alle fantesche di Francia e nei piú nobili palazzi non si trovano che lenzuola rincalzate male.
- O no, ditemi, anche il mio letto…? — domandò la vedova.
- Di certo il vostro è un letto da regina, superiore a ogni altro in tutti i territori imperiali, ma permettete che il mio desiderio di vedervi circondata solo di cose in ogni loro punto degne di voi mi porti a considerare con apprensione questa piega…
- Oh, questa piega! — gridò Priscilla, presa anch’essa ormai dallo struggimento di perfezione che Agilulfo le comunicava.
Disfecero il letto a strato a strato, scoprendo e recriminando piccole gibbosità, sbuffi, tratti troppo tesi o troppo rilassati, e questa ricerca ora diventava uno strazio lancinante ora un’ascesa in cieli sempre piú alti.
Buttato il letto sossopra fino al paglione, Agilulfo prese a rifarlo secondo le regole. Era un’operazione elaborata: nulla deve essere fatto a caso, e vanno messi in opera accorgimenti segreti. Egli li andava spiegando diffusamente alla vedova. Ma ogni tanto c’era un qualcosa che lo lasciava insoddisfatto, e allora ricominciava da capo.
Dalle altre ali del castello risuonò un grido, anzi un muggito o raglio, incontenibile.
- Cos’è stato? — trasalì Priscilla.
- Niente, è la voce del mio scudiero, — disse lui.
A quel grido se ne mischiavano altri piú acuti, come sospiri strillati che salivano alle stelle.
- Ma adesso che cos’è? — si domandò Agilulfo.
- Oh, sono le ragazze,- disse Priscilla, — giocano… si sa, la gioventú. E continuavano a rassettare il letto, dando orecchio ogni tanto ai rumori della notte.
- Gurdulú grida…
- Che chiasso queste donne…
- L’usignolo…
- I grilli…
Il letto era ora pronto, senza pecche. Agilulfo si voltò verso la vedova. Era nuda. Le vesti erano castamente scese al suolo.
- Alle dame ignude si consiglia, — dichiarò Agilulfo, — come la piú sublime emozione dei sensi, l’abbracciarsi a un guerriero in armatura.
- Bravo: lo vieni a insegnare a me! — fece Priscilla. — Non sono mica nata ieri! — E in così dire, spiccò un salto e s’arrampicò ad Agilulfo, stringendo gambe e braccia attorno alla corazza.
Provò uno dopo l’altro tutti i modi in cui un’armatura può essere abbracciata, poi, languidamente entrò nel letto.
Agilulfo s’inginocchiò al capezzale. — I capelli, — disse.
Priscilla spogliandosi non aveva disfatto l’alta acconciatura della sue bruna chioma. Agilulfo prese ad illustrare quanta parte abbia nel trasporto dei sensi la capigliatura sparsa. — Proviamo.
Con mosse decise e delicate delle sue mani di ferro, le sciolse il castello di trecce facendo ricadere la chioma sul petto e sulle spalle.
- Però, — soggiunse, — ha certamente piú malizia colui che predilige la dame dal corpo ignudo ma dal capo non solo acconciato di tutto punto, ma pure addobbato di veli e diademi.
- Riproviamo?
- Sarò io a pettinarvi — . La pettinò, e dimostrò la sue valentia nell’intessere trecce, nel rigirarle e fissarle sul capo con gli spilloni. Poi preparò una fastosa acconciatura di veli e vezzi. Così passò un’ora, ma Priscilla, quando egli le porse lo specchio, non s’era mai vista così bella.
Lo invitò a coricarsi al suo fianco. — Dicono che Cleopatra ogni notte, — egli le disse, — sognasse d’avere a letto un guerriero in armatura
- Non ho mai provato, — confessò lei. — Tutti se la tolgono assai prima.
- Ebbene, adesso proverete — . E lentamente, senza gualcire le lenzuola, entrò armato di tutto punto nel letto e si stese composto come in un sepolcro
- E neppure vi slacciate la spade dal budriere?
- La passione amorosa non conosce vie di mezzo. Priscilla chiuse gli occhi, estasiata.
Agilulfo si sollevò su un gomito. — Il fuoco butta fumo. M’alzo a vedere come mai il camino non tira.
Alla finestra spuntava la luna. Tornando dal camino verso il letto, Agilulfo si arrestò: — Signora, andiamo sugli spalti a godere di questa tarda luce lunare.
La avvolse nel suo mantello. Allacciati, salirono sulla torre. La luna inargentava la foresta. Cantava il chiú. Qualche finestra del castello era ancora illuminata e ne partivano ogni tanto grida o risate o gemiti e il raglio dello scudiero.
- Tutta la natura è amore…
Tornarono nella stanza. Il camino era quasi spento. S’accoccolarono a soffiare sulle braci. A stare lì vicini, le rosee ginocchia di Priscilla sfiorando le metalliche ginocchiere di lui, nasceva una nuova intimità, piú innocente.
Quando Priscilla tornò a coricarsi la finestra era sfiorata già dal primo chiarore. — Nulla trasfigura il viso d’una donna quanto i primi raggi dell’alba, — disse Agilulfo, ma perché il viso apparisse nella luce migliore fu costretto a spostare letto e baldacchino.
- Come sono? — chiese la vedova.
- Bellissima.
Priscilla era felice. Però il sole saliva rapido e per inseguirne i raggi, Agilulfo doveva spostare continuamente il letto.
- È l’aurora, — disse. La sua voce era già mutata. Il mio dovere di cavaliere vuole che a quest’ora io mi metta in cammino.
- Di già! — gemette Priscilla. — Proprio adesso!
- Mi duole, gentile dama, ma sono spinto da un compito piú grave. — Oh, era così bello…
Agilulfo chinò il ginocchio. — Benedicetemi, Priscilla . S’alza, già chiama lo scudiero. Gira per tutto il castello e finalmente lo scova, sfinito, addormentato morto, in una specie di canile. — Svelto, in sella! — Ma deve caricarlo di peso. Il sole continuando la sue ascesa campisce le due figure a cavallo sull’oro delle foglie del bosco: lo scudiero come un sacco là in bilico, il cavaliere dritto e svettante come la sottile ombra d’un pioppo.

Quarta sequenza il racconto estasiato della notte passata da Priscilla contrasta con la smemoratezza delle ancelle.

Attorno a Priscilla erano accorse dame e fantesche. — Com’è stato, padrona, com’è stato?
- Oh, una cosa, sapeste! Un uomo, un uomo…
- Ma diteci, raccontateci, com’è?
- Un uomo… un uomo… Una notte, un continuo, un paradiso… — Ma che ha fatto? Che ha fatto?
- Come si fa a dire? Oh, bello, bello…
- Ma con tutto che è così, eh? Eppure… dite..
- Adesso non saprei come… Tante cose… Ma voi, piuttosto, con quello scudiero…?
- Eh? Oh, niente, non so, tu forse? no: tu! Macché, non ricordo…
- Ma come? vi si sentiva, care mie…
- Ma, chissà, poverino, io non ricordo, neanch’io ricordo, forse tu… macché: io? Padrona, diteci di lui, del cavaliere, eh? Com’era, Agilulfo?
- Oh, Agilulfo!

L’ironia raggiunge il suo apice nel finale, quando l’amore incompiuto e disatteso di Priscilla diventa un’esperienza spirituale memorabile, mentre la notte di divertimenti delle ancelle sprofonda nella banalità. Agilulfo e Gurdulù rappresentano due aspetti antitetici e complementari, concretizzati dalle notti passate in parallelo: l’uomo di carne si diletta di giochi erotici (che poi non lasciano traccia di sé), mentre l’uomo immateriale riempie la notte con il fascino delle parole (ammaliando la vedova). Agilulfo è l’uomo artificiale, che è inesistente perché trova la sua identità solo nei prodotti e nelle situazioni; è inesistente perché “funziona” semplicemente, non ha più un’identità definita dalla storia o la natura.

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Luca Pirola
Luca Pirola

Written by Luca Pirola

History and Italian literature teacher

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