La pioggia nel pineto
La metamorfosi del poeta. Laudi, libro III: Alcyone
La lirica, pubblicata nel 1903, appartiene alla sezione centrale di Alcyone, dedicata all’estate.
La poesia descrive un momento dell’estate del 1902, trascorsa dal poeta in Versilia con Eleonora Duse (1858–1924), l’attrice amata da D’Annunzio. Per D’Annunzio questa vacanza è un momento di tregua, vissuto in mezzo alla natura, lontano da ogni ribalta. La lirica rappresenta un momento del percorso formativo che D’Annunzio compie verso la fusione con le forze primordiali della natura.
Lo spunto narrativo è è esile: il poeta, insieme a una donna chiamata Ermione (il mito racconta che Ermione è la bella figlia di Elena e Menelao), è sorpreso dalla pioggia mentre passeggia nella pineta di Marina di Pisa. Se si legge oltre questo dato narrativo elementare si può individuare l’Amore tra il poeta ed Ermione come tema centrale della lirica, tuttavia anche questa interpretazione lascia insoddisfatti di fronte alla poesia di D’Annunzio, infatti ogni spunto è completamente trasfigurato in una dimensione mitica e sensuale. D’Annunzio si rivela un poeta di sensazioni più che di sentimenti.
Metricamente la canzone è formata da quattro strofe di 32 versi liberi (ternari, quinari, senari, settenari, ottonari, novenari) ciascuna. L’ultimo verso di ogni strofa è costituito dal nome di Ermione.
Comprensione del testo
Il tema dominante di questa poesia è proprio l’acquazzone estivo nella pineta, che il poeta vuole rendere in chiave musicale, attraverso una serie di sensazioni uditive. Durante una passeggiata ai margini di una pineta sul litorale tirrenico, il poeta interrompe la conversazione con la sua amata invitandola a tacere e ad ascoltare parole diverse da quelle umane (parole più nuove): è il suono delle gocce di pioggia che cominciano a cadere sulla vegetazione e che a poco a poco si fanno più fitte.
Il poeta invita Ermione a tacere e ad ascoltare le varie modulazioni che le gocce di pioggia producono sulle piante del bosco, cui si unisce il verso della cicala e della rana. La sinfonia dei suoni li conduce gradualmente in una dimensione di sogno, entro la quale avvengono i riti metamorfici: entrambi si fondono nella rigogliosa vita vegetale, che avviluppa i loro corpi (il cuore è come una pèsca, gli occhi sono come sorgenti, i denti sono mandorle acerbe) e il loro essere (i pensieri, l’anima). La lirica si chiude con la ripresa del tema della pioggia, quasi a prolungare quello stato di estasi cui il poeta e la compagna sono pervenuti.
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
D’Annunzio descrive l’arrivo del temporale, dagli scrosci sempre più intensi, con la tecnica dell’impressionismo sonoro: egli cioè vuole rendere i suoni della natura attraverso il linguaggio verbale, e dunque sceglie le parole in virtù della loro possibilità fonica di descrivere lo spettacolo naturale che ha di fronte. In tal senso diventano importanti rime, assonanze, allitterazioni, voci onomatopeiche. In particolare, alla rima non è affidato un compito di demarcazione strutturale, ma quello di riprodurre i diversi suoni naturali.
Questa scelta produce uno straordinario effetto fonosimbolico, permettendo di “mimare” il diverso rumore delle gocce d’acqua sulle foglie delle varie piante.
L’aspetto musicale della lirica è subito evidenziato dagli imperativi che il poeta rivolge a Ermione: “Taci”, “odi”, “ascolta”. La figura femminile che è nominata non ha consistenza né visiva né sentimentale, è un puro “tu” che serve al poeta per creare una suggestiva atmosfera di attenzione e raccoglimento nell’ascolto dei suoni della natura.
L’indicazione vólti / silvani è significativa perché costituisce il primo segnale della trasformazione del poeta e della sua donna in due creature silvestri, tema che si svilupperà nelle prossime strofe.
L’anima è novella perché rigenerata dall’acquazzone estivo: questo porta non solo il refrigerio dalla calura dell’estate ma anche la trasformazione del poeta e della sua amata in creature silvestri
Trova spazio in questi versi una vera e propria definizione dell’amore, che per D’Annunzio non è una solida realtà, ma una favola bella, il cui potere è quello di “illudere” profondamente l’uomo e la donna. L’amore è solo un’illusione, tanto più per il poeta-superuomo, la cui aspirazione titanica alla completezza prevede la solitudine e non la condivisione.
La frase che allude all’amore (la favola bella) è estremamente vaga, e pare introdotta più che altro come un motivo musicale che, ritornando alla fine della prima e dell’ultima strofa, chiude circolarmente la poesia. Se la poesia ha un protagonista è dunque la pioggia e le mille voci della natura che essa suscita, ascoltate in ogni loro sfumatura e con una tensione spasmodica.
La struttura è basata sul fluire impressionistico di immagini e di sensazioni. Ogni strofa comprende più periodi e la sintassi, con proposizioni coordinate brevi, è spezzata dagli enjambement, che contemporaneamente dilatano il verso. La ripetizione della parola-chiave piove costruisce una simmetria sintattica, esprime fonicamente il battere ritmico della pioggia e si arricchisce di immagini nuove, che comunicano la partecipazione alla vita della natura.
• Piove… su elementi naturali (tamerici, pini, mirti, ginestre, ginepri);
• piove… su elementi umani (i nostri volti silvani, le nostre mani, i nostri vesti- menti);
• piove… su elementi sentimentali (i freschi pensieri, la favola bella).
Il lessico è semplice, ma costellato qua e là di termini ricercati e di registro alto (tamerici, mirti), anche per l’uso particolare degli aggettivi (salmastre ed arse, scagliosi e irti, divini, fulgenti di fiori accolti, folti di coccole aulenti, solitaria verdura).
Queste scelte lessicali — uniformi in tutte le strofe — non cercano l’espressività forte, perché l’intonazione rimane sommessa e uniforme, ma contribuiscono a diffondere un senso di eleganza ricercata, come un invito ad assaporare il gusto squisito di ogni singola parola.
Le rime sono libere, la parola è usata più per la sua musicalità che per il significato, e la corrispondenza parola-natura è realizzata in un accordo di suoni, di rime interne (umane, lontane; canto, pianto; dita, vita), assonanze (parole… nuove; illuse… illude), consonanze (secondo… fronde), allitterazioni (piove… pini; ginestre… ginepri) e termini onomatopeici (salmastre ed arse, fulgenti, coccole, crepitìo, croscio) che privilegiano il suono sul senso.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo vólto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
La lirica è un esempio, tra i più celebri, della parola che diventa musica. La corrispondenza tra parole, gocciole e foglie fa che le prime parlino le seconde (odo / parole più nuove / che parlano gocciole e foglie), così le parole «non umane» e «più nuove» della natura creano mediante suoni e sensazioni l’atmosfera emozionante della metamorfosi. La parola è la formula magica che traduce i suoni della natura e rivela l’essenza della realtà.
Anche la ripetizione di parole concorre a produrre l’effetto mimetico dei suoni naturali, come in questo caso, dove il verso ottiene un marcato timbro musicale.
Parallelamente alla descrizione mimetica della pioggia che cade sulla pineta, un altro tema è centrale nel testo: la trasformazione panica del poeta e della sua donna in creature vegetali. La pioggia che li lava è come un vero e proprio battesimo che permette loro di rinascere a una nuova vita, una vita silvestre (immersi/ noi siam nello spirto/ silvestre), così che essi condividono la natura stessa delle piante (d’arborea vita viventi). Anche le reiterate similitudini indicano questo profondo cambiamento.
Infatti subendo la suggestione della musica della natura, il poeta e la donna vanno incontro a una vera e propria metamorfosi, che ha la sua prima esplicita manifestazione al centro della seconda strofa, dove essi sono d’arborea vita viventi e si conclude nell’ultima strofa, dove Ermione è ormai trasformata in una sorta di ninfa silvestre (par da scorza tu esca), e cuore, occhi, denti sono assimilati a elementi vegetali.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Nella terza strofa D’Annunzio presenta uno spostamento del fuoco della narrazione che dalla coppia umana si sposta agli animali della pineta: le cicale, il cui canto si fa a poco a poco più tenue fino a spegnersi, e le rane.
D’Annunzio imita con un gioco di assonanze e di ritmi il suono della pioggia, quasi volesse gareggiare col fenomeno naturale nel creare variazioni sonore. Non si tratta di imitazioni onomatopeiche, quanto di creazione di una musica verbale non meno ricca e varia di quella che offrono le voci della natura.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Grazie a una serie di similitudini il poeta annuncia la trasformazione che i due amanti subiscono in creature silvestri, in esseri pienamente assorbiti nella vita stessa della natura: la pelle della donna non è più bianca ma è come verdeggiante (quasi fatta virente), il cuore è come pèsca, gli occhi sono come polle (sorgenti d’acqua) tra l’erbe.
I versi finali (116 E piove su i nostri vólti al 127 o Ermione) ripetono integralmente il blocco dei vv. 20–32 alla fine della prima strofa. D’Annunzio costruisce così un’ennesima eco sonora in chiusura del testo che ha la funzione di richiamare il valore sinfonico del componimento e di raggiungere una marcata coesione strutturale.
Alla conclusione della lirica si individua finalmente il vero tema della poesia: la metamorfosi dell’umano in vegetale in una sensazione panica che annulla l’identità dell’individuo. Il poeta conduce Ermione in questa dimensione superiore grazie al suo ruolo di superuomo. Rimane, tuttavia, il dubbio che ciò che più interessa al poeta sembra essere la pura e semplice traduzione delle tematiche affrontate (metamorfosi dell’umano in vegetale, immersione nella natura) in musica verbale. le parole squisite, i rimandi sonori che si creano sono forse il nucleo di ispirazione di D’Annunzio, ciò che il poeta chiama l’amor sensuale della parola, egli, perciò, celebra la forza della propria arte.