La poetica del fanciullino
Giovanni Pascoli delinea i caratteri della sua poetica
Il fanciullino, pubblicato in versione parziale nel 1897 sulla rivista “Il Marzocco” e poi integralmente nel 1903 in volume, racchiude i nuclei della poetica di Pascoli.
Il concetto fondamentale della poesia pascoliana consiste nel concetto secondo cui in ogni uomo vive un “fanciullino musico” che solo il poeta riesce ad ascoltare una volta raggiunta l’età adulta, quando negli altri uomini prevale la voce della ragione. Pascoli esprime in questa prosa la propria concezione poetica. Il poeta è un fanciullino, un sensitivo, un veggente capace di entrare in rapporto con il mistero profondo delle cose. Lo strumenti del poeta è la pura intuizione, che desta la meraviglia in ogni cosa che osserva. La poesia ha un valore intrinseco, non ha scopi pratici o didascalici; tuttavia la vera poesia suscita sentimenti di fratellanza tra gli uomini, che inducono gli individui ad accettare la propria condizione a stringersi in un vincolo di profonda solidarietà. “Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non istorico o maestro”.
1. È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo. Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. […]
L’incipit del saggio di Pascoli individua immediatamente la presenza del fanciullino, ma lo definisce in modo originale rispetto alla tradizione letteraria. Pascoli, infatti, afferma che il fanciullino che è in tutti noi semplicemente non ha timore di siffatte cose [la morte]. In quest’ottica si comprende la citazione di Cebes Tebano, uno dei personaggi del Fedone di Platone che discorre con Socrate nei momenti appena precedenti la sua morte. A Socrate, che afferma che non si deve temere la morte, Cebes risponde: “Come fossimo spauriti, o Socrate, cerca di persuaderci; o meglio non come spauriti noi, ma forse c’è dentro di noi anche un fanciullino che ha timore di queste cose”.
Pascoli descrive il fanciullino coincidente con lo spirito dell’infanzia, la sua voce è la voce del nostro io interiore, che gioca e si meraviglia di ogni espererienza. Maturando e sviluppando la razionalità, l’io interiore cresce e si discosta dal sentire del fanciullino, tuttavia egli fa sentire sempre la sua voce come un campanello. Il fanciullino rappresenta lo spirito poetico che è in ciascun uomo, tuttavia la ragione e i pensieri dell’età adulta impediscono a molti di percepirlo.
Non l’età grave impedisce di udire la vocina del bimbo interiore, anzi invita forse e aiuta, mancando l’altro chiasso intorno, ad ascoltarla nella penombra dell’anima. E se gli occhi con cui si mira fuor di noi, non vedono più , ebbene il vecchio vede allora soltanto con quelli occhioni che son dentro di lui, e non ha avanti sé altro che la visione che ebbe da fanciullo e che hanno per solito tutti i fanciulli.
Ogni uomo può tornare riscoprire la sensibilità poetica insita in lui se si allontana dalle passioni della vita attiva per guardare dentro di sé. Quindi tutti hanno l’opportunità di ascoltare e comprendere la poesia.
2. […] Non sono gli amori, non sono le donne, per belle e dee che siano, che premono ai fanciulli; sì le aste bronzee e i carri da guerra e i lunghi viaggi e le grandi traversie. Così codeste cose narrava al vecchio Omero il suo fanciullino, piuttosto che le bellezze della Tindaride e le voluttà della dea della notte e della figlia del sole . E le narrava col suo proprio linguaggio infantile. […]
L’esempio di poeta per eccellenza è Omero, perché Pascoli afferma che era il suo fanciullino a narrare le storie dell’epica antica, descrivendo minutamente i particolari ed entusiasmandosi sempre, perché a lui tutto sembrava nuovo e bello. Il fanciullo, infatti, predilige le imprese eroiche, i viaggi, non gli amore o gli intrighi delle dee.
3. Ma è veramente in tutti il fanciullo musico? Che in qualcuno non sia, non vorrei credere né ad altri né a lui stesso: tanta a me parrebbe di lui la miseria e la solitudine. […]
Ma io non amo credere a tanta infelicità. In alcuni non pare che egli sia; alcuni non credono che sia in loro; e forse è apparenza e credenza falsa. Forse gli uomini aspettano da lui chi sa quali mirabili dimostrazioni e operazioni; e perché con le vedono, o in altri o in sé, giudicano che egli non ci sia.
Il fanciullino, secondo Pascoli, è presente in ogni uomo, non solo nelle persone sensibili o negli artisti. Tuttavia, solitamente rimane nascosto al punto che gli uomini non si accorgono di possederlo. Il fanciullino rappresenta il risvolto irrazionale della personalità umana, ossia la nostra capacità emotiva.
Ma i segni della sua presenza e gli atti della sua vita sono semplici e umili. Egli è quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione.
Il fanciullino si manifesta nelle cose più semplici. Anzi, la sua prima caratteristica è quella di stabilire un contatto emotivo con gli altri esseri viventi. Inoltre, egli pone sullo stesso livello il sogno e la realtà, vede nel buio e sogna alla luce. Il fanciullino non aderisce tuttavia a una realtà allucinata, ma ha un metodo di conoscenza pesonale che consente di scoprire le verità inaccessibili all’occhio della ragione.
Egli ci fa perdere il tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri, ché ora vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol toccare la selce che riluce.
E ciarla intanto, senza chetarsi mai; e, senza lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle, perché egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario. E a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: Impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare. Né il suo linguaggio è imperfetto come di chi non dica la cosa se non a mezzo, ma prodigo anzi, come di chi due pensieri dia per una parola. E a ogni modo dà un segno, un suono, un colore, a cui riconoscere sempre ciò che vide una volta.
l fanciullino è come Adamo, che dà un nome nuovo alle cose. Il riferimento è al libro della Genesi (2, 19–20), nel quale Dio lascia all’uomo la facoltà di dare un nome a tutte le opere della creazione.
Il fanciullino sa guardare con meraviglia tutto ciò che lo circonda. Conservare questa meraviglia è condizione essenziale per comprendere pienamente la realtà: per questo egli “dà un nome” alle cose e anzi adatta il nome, ovvero utilizza il linguaggio non in modo imperfetto, ma in modo differente dall’uso comune. Tramite questo uso prodigo del linguaggio egli può rivelare i legami inconsueti tra le cose. Così la poesia: non scopre nulla di nuovo, ma rivela ciò che è nascosto.
Dal punto di vista stilistico il lessico dei due paragrafi rivela la duplicità dello stile pascoliano. Nel 1° paragrafo il poeta sceglie uno stile umile e semplice, adatto a presentare il fanciullino come essere ingenuo e pieno di stupore e paure. Al contrario nel 3° paragrafo lo stile si fa più complesso con inserimento di metafore chiare, ma colte (Adamo), così da mostrare il fanciullino come un essere superiore alle cose, il quale afferra le relazioni ingegnose della realtà.
C’è dunque chi non ha sentito mai nulla di tutto questo? Forse il fanciullo tace in voi, professore, perché voi avete troppo cipiglio, e voi non lo udite, o banchiere, tra il vostro invisibile e assiduo conteggio. Fa il broncio in te, o contadino, che zappi e vanghi, e non ti puoi fermare a guardare un poco; dorme coi pugni chiusi in te, operaio, che devi stare chiuso tutto il giorno nell’officina piena di fracasso e senza sole.
Ma in tutti è, voglio credere.
Pascoli ribadisce, alla conclusione di questo capitolo, che il fanciullino in tutti è, anche in uomini dei più diversi ranghi sociali: il professore, il banchiere, il contadino, l’operaio, anche se non si manifesta in modo consapevole.
4. Fanciullo, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perché d’un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporta nell’abisso della verità…[…]
Tu illumini la cosa, essi abbagliano gli occhi. Tu vuoi che si veda meglio, essi vogliono che non si veda più. Il loro insomma è il linguaggio artifiziato d’uomini scaltriti, che si propongono di rubare la volontà ad altri uomini non meno scaltriti; il tuo è il linguaggio nativo di fanciullo ingenuo, che tripudiando o lamentando parli ad altri ingenui fanciulli.
In questo passo viene messa in rilievo la contrapposizione tra il linguaggio del fanciullino e quello degli oratori. Se costoro usano un linguaggio artificioso, il fanciullino ragiona in un modo fanciullesco che però ha la capacità di lasciar comprendere immediatamente l’abisso della verità. Contro la rigidità del linguaggio imposta dagli uomini scaltri, il linguaggio infantile si fa invece portatore di valori in grado di far cogliere il reale nella sua pienezza e profondità. Per comprendere la realtà è dunque necessario spogliarsi di ogni artificio.
5. No no: non temere. Tu sei il fanciullo eterno, che vede tutto con maraviglia, tutto come per la prima volta. L’uomo le cose interne ed esterne, non le vede come le vedi tu: egli sa tanti particolari che tu non sai.
Il fanciullino è colui che osserva ogni cosa con meraviglia e vede tutto come fosse la prima volta. L’uomo moderno sa tante cose, mentre l’uomo antico era innocente e perciò simile al fanciullino.
13. La poesia benefica di per sé, la poesia che di per sé ci fa meglio amare la patria, la famiglia, l’umanità, è, dunque, la poesia pura, la quale di rado si trova. […]
Il sentimento poetico fa sentire tutti fratelli, questa è la forza morale e sociale della poesia. Però questo non è il suo scopo, perché la poesia è pura “il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non istorico o maestro”.
20. Bene! Dunque riassumo, come uomo serio che sono. La poesia, per ciò stesso che è poesia, senz’essere poesia morale, civile, patriottica, sociale, giova alla moralità, alla civiltà, alla patria, alla società.
Nell’ultimo capitolo del saggio Pascoli riassume i concetti principali espressi, ribadendo il valore morale, civile, patriottico, sociale della poesia in se stessa, che assolve a un funzione consolatoria perché il sentimento poetico fa sentire tutti fratelli, questa è la forza morale e sociale della poesia. Però questo non è il suo scopo, perché la poesia non ha finalità: è pura quindi “il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non istorico o maestro”.
Il poeta non deve avere, non ha, altro fine (non dico di ricchezza, non di gloriola o di gloria) che quello di riconfondersi nella natura, donde uscì, lasciando in essa un accento, un raggio, un palpito nuovo, eterno, suo. I poeti hanno abbellito agli occhi, alla memoria, al pensiero degli uomini, la terra, il mare, il cielo, l’amore, il dolore, la virtù; e gli uomini non sanno il loro nome. Chè i nomi che essi dicono e vantano, sono, sempre o quasi sempre, d’epigoni, d’ingegnosi ripetitori, di ripulitori eleganti, quando non siano nomi senza soggetto.
Il fanciullino scopre la poesia nelle cose e nelle situazioni che gli stanno intorno, perché solo lui riesce a cogliere la vera essenza del reale, oltre la razionalità dominante, qui rappresentata dai nomi falsi con cui si creano categorie razionali nella realtà circostante.
Quando fioriva la vera poesia; quella, voglio dire, che si trova, non si fa, si scopre, non s’inventa; si badava alla poesia e non si guardava al poeta; se era vecchio o giovane, bello o brutto, calvo o capelluto, grasso o magro: dove nato, come cresciuto, quando morto. Siffatte quisquilie intorno alla vita del poeta si cominciarono a narrare a studiare a indagare, quando il poeta stesso volle richiamare sopra sè l’attenzione e l’ammirazione che è dovuta soltanto alla poesia. E fu male. E il male ingrossa sempre più. I poeti dei nostri tempi sembrano cercare, invece delle gemme che ho detto, e trovare, quella vanità che è la loro persona.
Si riconosce nell’ultima frase il confronto polemico con l’altra modalità poetica contemporanea, quella dannunziana, che presta eccessiva attenzione alla figura del poeta stesso.
Non codesta quei primi. E tu, o fanciullo, vorresti fare quello che fecero quei primi, col compenso che quei primi n’ebbero; compenso che tu reputi grande, perchè sebbene non nominati, i veri poeti vivono nelle cose le quali, per noi, fecero essi.
È cosi?
Il fanciullo
Sì.
La vera poesia ha una valore assoluto a prescindere da colui che le dà voce, questi è solamente lo strumento per scoprirla e riprodurla, perché la vera poesia […] si trova, non si fa, si scopre, non si inventa.