La preghiera
La scoperta dell’Assoluto
La raccolta Sentimento del tempo
La raccolta di Sentimento del tempo, uscita nel 1933, segnò il ritorno a una poesia più tradizionale e l’inizio dell’avvicinamento di Ungaretti alla fede religiosa, ul- timo sostegno per l’uomo smarrito di fronte al dolore dell’esistenza e alla morte.
Il tema principale è quello della percezione dello scorrere del tempo tra passato e presente e del rapporto tra la finitezza dell’uomo e il senso dell’assoluto, su cui si innesta la riflessione sulla condizione dell’essere umano e la malinconia per la perdita di affetti e persone, con toni quasi esistenzialisti. A ciò si aggiunge, a livello biografico, la riscoperta della fede da parte del poeta nel 1928, che in alcuni testi (come La madre, del 1930) modifica la visione della realtà del poeta. Inoltre, rispetto ai versi scritti nelle trincee del primo conflitto mondiale e negli anni immediatamente successivi, si può notare che le vicende biografiche del poeta hanno minor peso.
La riflessione tuttavia, rispetto alle precedenti raccolte, si amplia e a volte anche si complica, mentre più forte di- venta l’ansia di una ricerca religiosa che anela a Dio. «Nel Sentimento del tempo — scrive ancora Ungaretti nella medesima Nota — come in qualsiasi altro momento della mia poesia sino ad oggi, quest’uomo ch’io sono, prigioniero della sua propria libertà, poiché come ogni altro essere vivente è colpito dall’espiazione d’un’oscura colpa, non ha potuto non fare sorgere la presenza d’un sogno d’innocenza. Di innocenza preadamitica, quella dell’universo prima dell’uomo. Sogno dal quale non si sa quale altro battesimo potrebbe riscattarci, togliendoci di dosso la persecuzione della memoria».
A tutto ciò si affianca un’importante evoluzione stilistica della poesia ungarettiana, che va nella direzione della ripresa della lezione dei classici della tradizione lirica (quindi soprattutto Leopardi e Petrarca) e del recupero dei versi e delle misure metriche più convenzionali. Ritorna anche la punteggiatura, e le liriche si articolano in costruzioni ampie e complesse, mentre continua la ricerca sulla parola, che lo porta spesso a un’ardita tecnica analogica, molto vicina all’Ermetismo che andava affermandosi in quegli anni. La parola tende a caricarsi di suggestioni nuove, quasi a voler colmare l’abisso infinito che divide l’uomo dall’assoluto.
La preghiera
La lirica ancora un monologo da parte di Ungaretti, perché nessuna risposta sembra venire dall’alto e il poeta si abbandona a una lunga meditazione sulla morte. La poesia è suddivisa in due parti (vv. 3–9 e vv. 10–20), con una cornice costituita dalla strofa iniziale (vv.1–2) e da quella finale (vv. 21–26). La strofa iniziale rievoca la dolce armonia che prima dell’uomo governava il mondo. Nelle Note che Ungaretti ha apposto al Sentimento del tempo, troviamo questo significativo autocommento: Quest’uomo ch’io sono, prigioniero nella sua propria libertà, poiché come ogni altro essere vivente è colpito dall’espiazione d’un’oscura colpa, non ha potuto non fare sorgere la presenza d’un sogno d’innocenza. Di innocenza preadamitica, quella dell’universo prima dell’uomo.
LA PREGHIERA
Come dolce prima dell’uomo
Doveva andare il mondo.
Il creato, in quanto opera di Dio, sarebbe di per sè incantevole prima dell’apparizione dell’uomo
L’uomo ne cavò beffe di demòni,
La sua lussuria disse cielo,
La sua illusione decretò creatrice,
Suppose immortale il momento.
L’uomo incolpò il diavolo per averlo raggirato, nel piacere dell’eros credette di provare cioè una gioia divina, stabilì, ingannandosi, che la sua facoltà di immaginare potesse davvero creare la realtà e pensò, a torto, di trovare l’eternità nell’attimo.
È stato l’uomo a corrompere l’armonia primigenia, a causa della propria superbia, che lo ha reso vittima di false illusioni: così egli ha sostituito la carne con lo spirito, credendo gioie divine quelle che invece sono mere soddisfazioni carnali. Inoltre, si è illuso di “ricreare” davvero la realtà, attraverso l’immaginazione (l’allusione è qui anche alla creazione artistica)
La vita gli è di peso enorme
Come liggiù quell’ale d’ape morta
Alla formicola che la trascina.
L’uomo si è dunque sostituito a Dio, credendosi a sua volta “creatore”. La conclusione di questo atto non è però la felicità, ma il peso enorme della vita. L’immagine è di forte impatto: l’uomo è come una formica che si ritrova a trascinare l’ala di un’ape morta, che, invece di uno strumento per il volo, diventa un peso da portare. L’ale d’ape morta è quindi il simbolo della sconfitta dell’orgoglio umano
La seconda e la terza strofa costituiscono la prima parte del testo: in questi versi il poeta presenta un duro esame di coscienza sull’estrema facilità con cui l’uomo si lascia abbagliare dalla sua stessa superbia. Il fatto che la colpa dell’infelicità umana sia da attribuire esclusivamente all’uomo è esplicitato nel verbo ne cavò: esso esprime la precisa responsabilità dell’uomo, che, nella visione ungarettiana, non è semplice vittima dell’inganno del diavolo.
Da ciò che dura a ciò che passa,
Signore, sogno fermo,
Fa’ che torni a correre un patto.Oh! rasserena questi figli.
Fa’ che l’uomo torni a sentire
Che, uomo, fino a te salisti
Per l’infinita sofferenza.Sii la misura, sii il mistero.
Purificante amore,
Fa’ ancora che sia la scala di riscatto
La carne ingannatrice.
Con il v. 10 inizia la seconda parte del testo, caratterizzata dalla vera e propria preghiera, cioè dall’insieme di invocazioni a Dio (fa’ che, in ripresa anaforica) perché la sofferenza non resti sterile e inascoltata, ma diventi uno strumento per la salvezza (scala di riscatto, v. 19).
Il lessico impiegato è tipico della Bibbia, nella quale ricorrono a più riprese i “patti” tra Dio e l’uomo, necessari dopo l’inasprimento dei loro rapporti a causa delle disobbedienze dell’uomo stesso.
Queste strofe hanno riferimenti precisi ai misteri della religione cattolica, in particolare all’incarnazione del Figlio di Dio, che assume natura umana. È proprio attraverso il dolore che Cristo ha patito con la passione e la croce che l’umanità viene riscattata dai suoi peccati. Ungaretti esorta dunque a considerare che il dolore non è inutile, ma scala di riscatto, cioè strumento di salvezza, via maestra per il Cielo.
Vorrei di nuovo udirti dire
Che in te finalmente annullate
Le anime s’uniranno
E lassù formeranno,
Eterna umanità,
Il tuo sonno felice.
La conclusione del componimento si riferisce alla palingenesi, cioè al momento in cui, alla fine dei tempi, sarà sconfitta la morte e l’umanità sarà riammessa alla vita eterna anche con il corpo.
Il testo è dunque racchiuso in una perfetta struttura circolare: dalla rievocazione della genesi (vv. 1–2) si giunge, nei versi conclusivi, alla speranza di una “nuova genesi” in Dio.
L’uomo è stato creato da Dio non per la morte, che è entrata nel mondo in seguito al peccato originale, ma per la vita eterna. Il destino ultimo che ci attende (la palingenesi) è dunque una nuova nascita tramite la quale le anime riposeranno in Dio (finalmente annullate). La preghiera di Ungaretti si conclude con questa visione ultima nella quale le anime saranno finalmente liberate da ogni legame terreno.