La provvida sventura
Adelchi, Atto IV, Coro
Ritiratasi in monastero a Brescia dopo esser stata ripudiata dal marito Carlo Magno, Ermengarda — sorella di Adelchi — scopre che i re franco, di cui è ancora innamorata, si è risposato: la notizia scatena in lei una reazione emotiva fortissima che la condurrà alla morte.
parte 1^: descrizione di Ermengarda morente
Sparse le trecce morbide
Sull’affannoso petto,
Lenta le palme, e rorida
Di morte il bianco aspetto,
Giace la pia, col tremolo
Guardo cercando il ciel.
Nei versi Sparsa le trecce morbide/ sull’affannoso petto, l’aggettivo sparsa è concordato al femminile singolare della persona che viene descritta (la pia, riferito a Ermengarda), mentre le trecce morbide in funzione di accusativo esprimono il complemento di limitazione. Troviamo la stessa costruzione anche nei versi lenta le palme, e rorida/ di morte il bianco aspetto. La ricchezza di artifici retorici e il lessico elevato (latinismi, espressioni auliche) forniscono alla lirica un tono tragico.
La metrica mobile ( infatti non c’è un ritmo scandito) e la frequenza degli enjambement e degli iperbati ( unanime/preghiera vv. 7–8) elementi sottolineano la sfasatura tra livello metrico e livello sintattico.
Cessa il compianto: unanime
S’innalza una preghiera:
Calata in sulla gelida
Fronte, una man leggiera
Sulla pupilla cerula
Stende l’estremo vel.Sgombra, o gentil, dall’ansia
Mente i terrestri ardori;
Leva all’Eterno un candido
Pensier d’offerta, e muori:
Fuor della vita è il termine
Del lungo tuo martir.
Il ritmo diventa martellante solo in occasione della morte grazie alla successione di imperativi ai vv. 13–16 (Sgombra … leva … muori). La morte rappresenta la fine di un lungo dolore nel Regno dei Cieli. La sofferenza degli uomini può essere compresa soltanto se osservata in una prospettiva ultraterrena.
Tal della mesta, immobile
Era quaggiuso il fato:
Sempre un obblìo di chiedere
Che le saria negato,
E al Dio dei santi ascendere
Santa del suo patir.
2^ parte: enunciazione dei termini della dramma psicologico di Ermengarda (conflitto tra amore terreno — Carlo — e quello celeste — Dio) e tra amore per il marito e per il padre.
Nel coro sono presenti più piani temporali che corrispondono alle fasi della vita di Ermengarda: l’incipit è dedicato al presente, ma poi la narrazione si sposta al passato recente del ritiro in convento, al passato più lontano e felice del matrimonio con Carlo, per tornare al presente con una struttura circolare.
Ahi! nelle insonni tenebre,
Pei claustri solitari,
Fra il canto delle vergini,
Ai supplicati altari,
Sempre al pensier tornavano
Gl’irrevocati dì;Quando ancor cara, improvida
D’un avvenir mal fido,
Ebbra spirò le vivide
Aure del Franco lido,
E fra le nuore Saliche
Invidïata uscì:Quando da un poggio aereo,
II biondo crin gemmata,
Vedea nel pian discorrere
La caccia affaccendata,
E sulle sciolte redini
Chino il chiomato sir;E dietro a lui la furia
De’ corridor fumanti;
E lo sbandarsi, e il rapido
Redir dei veltri ansanti;
E dai tentati triboli
L’irto cinghiale uscir;
Accusativi alla greca (il biondo crin gemmata) e metonimie (dietro a lui la furia/de’ corridor fumanti) contribuiscono insieme alla plasticità del ricordo all’efficacia della descrizione, ricca di pathos.
E la battuta polvere
Rigar di sangue, colto
Dal regio stral: la tenera
Alle donzelle il volto
Volgea repente, pallida
D’amabile terror.
L’anafora della congiunzione temporale e della congiunzione copulativa scandisce l’ossessione dolorosa del ricordo che non dà tregua a Ermengarda morente (quando … quando … e dietro …).
O Mosa errante! oh tepidi
Lavacri d’Aquisgrano!
Ove, deposta l’orrida
Maglia, il guerrier sovrano
Scendea del campo a tergere
Il nobile sudor!
3^ parte: lezione morale di valore universale che descrive la provida sventura e il ruolo della Provvidenza nella vita degli uomini
Come rugiada al cespite
Dell’erba inaridita,
Fresca negli arsi calami
Fa rifluir la vita,
Che verdi ancor risorgono
Nel temperato albor:Tale al pensier, cui l’empia
Virtù d’amor fatica,
Discende il refrigerio
D’una parola amica,
E il cor diverte ai placidi
Gaudi d’un altro amor.
Le due strofe sono occupate dalla prima parte di una lunga similitudine che assimila l’erba arida al cuore a sua volta inaridito di Ermengarda: vistasi abbandonata, la donna cerca nell’amore divino la linfa vitale che possa mantenerla in vita.
Ma come il sol che reduce
L’erta infocata ascende,
E con la vampa assidua
L’immobil aura incende,
Risorti appena i gracili
Steli rïarde al suol:Ratto così dal tenue
Obblìo torna immortale
L’amor sopito, e l’anima
Impaurita assale,
E le svïate immagini
Richiama al noto duol.
Torna a divampare l’amore sensuale che, nonostante tutto, ancora accende l’animo di Ermengarda, diviso tra amore per Dio e passioni umane. Le similitudini (come rugiada … il refrigerio di una parola amica, come il sol … l’amor sopito) amplificano il contrasto tra forza dell’eros e potenza dell’amore spirituale.
Sgombra, o gentil, dall’ansia
Mente i terrestri ardori;
Leva all’Eterno un candido
Pensier d’offerta, e muori:
Nel suol che dee la tenera
Tua spoglia ricoprir,Altre infelici dormono,
Che il duol consunse: orbate
Spose dal brando, e vergini
Indarno fidanzate;
Madri che i nati videro
Trafitti impallidir.Te, dalla rea progenie
Degli oppressor discesa,
Cui fu prodezza il numero,
Cui fu ragion l’offesa,
E dritto il sangue, e gloria
Il non aver pietà,Te collocò la provida
Sventura infra gli oppressi:
Muori compianta e placida;
Scendi a dormir con essi:
Alle incolpate ceneri
Nessuno insulterà.
Il periodo si dipana lungo due strofe, che ritraggono la doppia caratterizzazione di Ermengarda, discendente da una stirpe di oppressori (i longobardi rispetto agli italici) è ora sofferente come gli oppressi. La provida sventura, quindi, accomuna Ermengarda agli oppressi, nonostante sia appartenente alla genia degli oppressori: strumento di questo passaggio salvifico è la sofferenza, attraverso la quale qualunque essere umano può redimersi.
Muori; e la faccia esanime
Si ricomponga in pace;
Com’era allor che improvida
D’un avvenir fallace
Lievi pensier virginei
Solo pingea. CosìDalle squarciate nuvole
Si svolge il sol cadente,
E dietro il monte imporpora
Il trepido occidente:
Al pio colono augurio
Di più sereno dì.
Torna al termine del coro l’esortazione a morire (Muori) serenamente, aprendosi la speranza alla pace dell’aldilà. La sofferenza trova significato nel superamento dell’Amore terreno a favore di un amore più grande ed eterno: quello verso Dio. In questo modo Ermengarda trova il senso del proprio dolore nel concetto della provida sventura, che diviene mezzo di riscatto morale.
Manzoni descrive la dimensione privata della Storia con una grande abilità introspettiva grazie alla quale il poeta delinea il ritratto di una giovane donna divorata da Amore fino al punto di morirne. L’Amore è sofferenza perché Ermengarda è mandata dal padre in sposa a Carlo, uno sconosciuto dipinto come un mostro crudele, pur di stringere alleanza tra i due regni. Nonostante ciò si innamora ugualmente di Carlo, che tuttavia la ripudia per motivi politici (rottura dell’alleanza tra franchi e Longobardi). Il dolore di Ermengarda è accresciuto perché vede padre e marito combattersi per il predominio e sa che in ogni caso soffrirà per un lutto.
Dunque sullo sfondo di fatti storici reali, Manzoni inserisce una vicenda privata esemplare: il dolore privato riscatta il male storico della sua nascita. Nella vicenda di Ermengarda, infatti, si rispecchia potenzialmente la sorte di ogni uomo che abbia sperimentato un’esistenza analoga, ma soprattutto la sorte del suo popolo, ormai sconfitto e destinato ad essere oppresso.
Manzoni attraverso questo coro sottolinea che coloro che falliscono possono essere abbandonati dagli uomini, ma non da Dio.